A lungo si è discusso sulla disciplina applicabile al contratto di leasing, figura contrattuale atipica, ma nominata, prima conosciuta alla sola interpretazione giurisprudenziale.
Una definizione si è tradizionalmente individuata nella L. 183/1976 che all’art. 17 afferma che “per operazioni di locazione finanziaria si intendono le operazioni di locazione di beni mobili o immobili, acquistati o fatti costruire dal locatore, su scelta e indicazione del conduttore che ne assume tutti i rischi, e con facoltà per quest’ultimo di divenire proprietario dei beni locati al termine della locazione, dietro versamento di un prezzo prestabilito”.
Inoltre, la l. 259/1993 ha ratificato la Convenzione UNIDROIT che disciplina il leasing finanziario internazionale, concluso, cioè, tra soggetti con sede di affari in Stati contraenti diversi.
Si specifica che si discorre di leasing finanziario, contratto con causa di finanziamento, distinto dal leasing operativo.
Il leasing finanziario: disciplina e requisiti
Più nel dettaglio, si è individuato il leasing finanziario come un’operazione trilaterale con la quale il soggetto utilizzatore si rivolge ad una società di leasing, affinché quest’ultima acquisti dal fornitore la proprietà del bene mobile o immobile, per poi concederlo in godimento allo stesso utilizzatore dietro versamento di un corrispettivo periodico.
Diversamente, il leasing operativo è un’operazione a struttura bilaterale in cui lo stesso produttore, verso corrispettivo, concede in godimento il bene standardizzato al conduttore.
E’ evidente, allora, che il leasing operativo non ha mai posto particolari problemi di disciplina posto che realizza un contratto tipico, ricondotto, a seconda della prospettiva, allo schema della locazione, dell’affitto o del negozio.
Da sempre discussa è, invece, la fattispecie di leasing finanziario, fattispecie contrattuale definita lungamente socialmente tipica.
In assenza di una disciplina normativa, è stato compito di dottrina e giurisprudenza ricostruirne gli elementi caratteristici che abitualmente rilevano nel contratto di leasing:
- il canone periodico che l’utilizzatore è tenuto a pagare, determinato con riferimento al costo del bene, agli interessi sul capitale investito, alle spese di gestione e all’utile della società di leasing;
- la durata del contratto non può eccedere la vita economica del bene;
- i rischi sono a carico esclusivo dell’utilizzatore;
- alla scadenza del contratto l’utilizzatore può scegliere tra due formule l’acquisto della proprietà attraverso il pagamento del prezzo residuo o la restituzione del bene;
- nel caso di inadempimento di una delle obbligazioni poste in capo al concessionario il contratto viene risolto e il concessionario è tenuto a restituire il bene, pagare i canoni scaduti, pagare una
Più complesso è stato individuare la qualificazione giuridica dell’operazione, talvolta ricondotta al contratto di locazione, talaltra alla vendita a rate con applicabilità dell’art. 1526 c.c. che prevede in caso di risoluzione per inadempimento del compratore la restituzione da parte del venditore delle rate riscosse.
Leasing di godimento e leasing traslativo
La problematica individuazione della disciplina è stata, poi, complicata dalla giurisprudenza che nel leasing finanziario ha individuato due sottocategorie, a seconda dello scopo concreto che le parti intendono realizzare: il leasing di godimento e il leasing traslativo.
Il primo (il leasing di godimento) ha ad oggetto un bene consumabile, che esaurisce la sua utilità economica nell’ambito di un arco temporale coincidente con la durata del contratto.
Nel secondo (leasing traslativo), invece, la durata del contratto non è connessa alla vita economica del bene, poiché l’intento delle parti è traslativo. Così inteso, i canoni corrisposti dall’utilizzatore non rappresentano solo il corrispettivo per il godimento del bene, ma anche una parte del prezzo e ciò in quanto, al termine dell’operazione, il bene non avrà esaurito la sua utilità economica, ma conserverà per l’utilizzatore un valore residuo.
La distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo era poi particolarmente significativa in caso di inadempimento dell’utilizzare per il mancato pagamento delle rate del prezzo che legittimano la risoluzione del contratto. Infatti, si riteneva che nel leasing di godimento trovasse applicazione l’art. 1458 c.c. con esonero del concedente dall’obbligo di restituire i canoni già percepiti; nel leasing traslativo, viceversa, riconducendosi la fattispecie ad una vendita a rate, trovasse applicazione l’art. 1526 c.c. con conseguente dovere per il concedente di restituire le rate riscosse.
Se questo era il panorama giurisprudenziale, le Sezioni Unite, intervenute a chiarire gli strumenti di tutela a disposizione dell’utilizzatore in caso di inadempimento del fornitore, hanno qualificato il contratto di leasing finanziario come contratto collegato.
Più nel dettaglio, il Supremo Consesso ha confermato l’opzione del collegamento negoziale, seppur atipico, tra il contratto di compravendita tra fornitore e società di leasing ed il contratto di leasing, tra società di leasing ed utilizzatore.
Si chiarisce, cioè, che se è vero che la vicenda è trilatera, coinvolgendo tre soggetti distinti, purtuttavia i due atti mantengono la loro sostanziale autonomia: l’utilizzatore è terzo rispetto al contratto di vendita; il fornitore è terzo rispetto al contratto di fornitura.
Il leasing finanziario realizzerebbe, allora, un’ipotesi di collegamento negoziale tra contratto di leasing in senso proprio e contratto di fornitura, venendo quest’ultimo concluso con lo scopo, noto al fornitore, di far conseguire all’utilizzatore il godimento ed eventualmente la disponibilità giuridica del bene compravenduto (S.U. 19785/2015).
Appariva, allora, superata la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, almeno ad opera delle Sezioni Unite.
Il riferimento al leasing di godimento e al leasing traslativo però, ha continuato a trovare spazio nella giurisprudenza di legittimità, chiamata a pronunciarsi anche sull’art. 72 quater L.F. che detta un’unica disciplina per locazione finanziaria (superando la distinzione tra leasing di godimento e traslativo) diversa e separata dalla vendita con riserva di proprietà, di cui al successivo art. 73 LF.
Ebbene, come detto, la giurisprudenza ha ritenuto comunque che non potesse ritenersi superato il discrimen tra le due forme di leasing, con le conseguenze che da esso derivano per l’inadempimento (con applicazione analogica dell’art. 1526 c.c. per il leasing traslativo in caso di inadempimento dell’utilizzatore), affermando che l’art. 72 quater L.F. non potesse applicarsi al di fuori del fallimento, per i rapporti già pendenti.
La giurisprudenza recente
Da ultimo, però, l’orientamento giurisprudenziale sembra essere stato superato una volta per tutte dal legislatore, di recente intervenuto con la L. 124/2017, legge annuale per il mercato e la concorrenza che all’art. 1, co. 136 detta una disciplina unitaria per il leasing finanziario chiarendo che “per locazione finanziaria si intende il contratto con il quale la banca o l’intermediario finanziario iscritto nell’albo di cui all’articolo 106 del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento, e lo fa mettere a disposizione per un dato tempo verso un determinato corrispettivo che tiene conto del prezzo di acquisto o di costruzione e della durata del contratto. Alla scadenza del contratto l’utilizzatore ha diritto di acquistare la proprietà del bene ad un prezzo prestabilito ovvero, in caso di mancato esercizio del diritto, l’obbligo di restituirlo”.
Ai commi successivi si detta, poi, una disciplina in caso di grave inadempimento e fallimento dell’utilizzatore, novità assoluta che ha fatto affermare a gran parte della dottrina la tipizzazione della figura negoziale. Ebbene, la Cassazione, con pronuncia recente, concorda con la tipizzazione del contratto di leasing finanziario. La questione muove dalla necessità di verificare al caso di specie l’applicabilità in via analogica dell’art. 1526 c.c., più volte richiamato dalla giurisprudenza tradizionale in materia di leasing finanziario traslativo.
Dalla tipizzazione del contratto deriva, allora, il definitivo superamento del ricorso in via analogia all’art. 1526 c.c. per la disciplina dell’inadempimento del leasing “traslativo”. In sintesi, la Legge n. 4 del 4 agosto 2017 tipizza il contratto di leasing finanziario, ma non individua alcuna separazione concettuale tra leasing di “godimento” e “traslativo”, conseguendone che sia quando il contratto sia finalizzato al solo “godimento” del bene, sia quando abbia causa traslativa ricade comunque nelle fattispecie di nuovo conio ed è assoggettabile alle nuove regole indicate in punto di inadempimento dell’utilizzatore.