Le valutazioni patrimoniali nella redazione del bilancio societario: il nuovo art. 2621 c.c.

in Giuricivile, 2020, 11 (ISSN 2532-201X)

Dopo meno di tre anni dalla riforma “di sistema” del 2012, interveniva la legge di riforma 27 maggio 2015, n. 69, recante “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”, che in ambito societario si è occupata delle false comunicazioni sociali.

La nuova disposizione ha promosso una fattispecie delittuosa per tutte le imprese non quotate (art. 2621) e quella più specifica avente ad oggetto le false comunicazioni sociali delle società quotate (art. 2622 c.c.).

Il nuovo assetto normativo creava non pochi problemi di natura interpretativa nei soggetti che professionalmente si occupano della redazione dei bilanci e della relativa revisione, laddove, nel dettato dell’art. 2621 c.c., non era più presente il riferimento “ancorché oggetto di valutazioni”, esplicito riferimento al cd. falso valutativo.

A fare chiarezza sui dubbi interpretativi, emersi dalla riforma della legge 69/2015, interveniva la Cassazione penale a Sezioni Unite con la sentenza n° 22474 del 27/05/2016.

Il chiarimento delle Sezioni Unite

La Suprema Curia intervenendo a Sezioni Unite con la sopra riferita pronuncia relativamente alla fattispecie del falso in bilancio valutativo, rappresentava che “sussiste il reato di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di valutazione, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente si discosti consapevolmente da tali criteri   in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni senza darne adeguata informazione giustificativa”.

A giusta ragione, il Supremo Collegio evidenziava l’assunto secondo il quale “Se, in tema di false comunicazioni sociali, la modifica con cui l’art.  9  della  legge  27  maggio  2015,  n.  69,  che ha eliminato, nell’art.2621 cod. civ., l’inciso ‘ancorché oggetto di valutazioni’, abbia determinato un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie, ovvero se tale effetto non si sia verificato”.

Nelle argomentazioni del testo citato viene messo in risalto che, laddove, si fosse voluto negare  valore alle informazioni oggetto di valutazione, si sarebbe giunti a conseguenze aberranti, posto che il bilancio, “in tutte le sue componenti (stato patrimoniale, conto economico, rendiconto finanziario, nota integrativa), è un documento dal contenuto essenzialmente valutativo…. i cui criteri sono indicati dalla legge, come chiaramente evincibile dal disposto di cui all’art.2426 cod. civ”.

Pertanto, sempre a mente del medesimo scritto citato, il redattore del bilancio “necessariamente deve effettuare una stima ponderale delle singole componenti del bilancio, attribuendo – alla fine – un valore in denaro a ciascuna di esse…”.

Posto che “attraverso il bilancio, si forniscono, infatti, notizie sulla consistenza e sulle  prospettive di un’azienda e ciò, evidentemente, non solo a garanzia dei diretti (e attuali) interessati, vale a dire i soci e i creditori, ma anche a tutela dei futuri ed ipotetici soggetti che potrebbero entrare in contatto con la predetta azienda…”.

Sulla scia delle medesime considerazioni i Giudici di Piazza Cavour concludevano, affermando che “sterilizzare il bilancio con riferimento al suo contenuto valutativo significherebbe negarne la funzione e stravolgerne la natura” “e quindi incidere negativamente su quel bene della trasparenza societaria, che si è visto costituire il fondamento della tutela penalistica del bilancio”.

In questo modo, la Cassazione evidenzia a chiare note che “le scienze contabilistiche appartengono al novero delle scienze a ridotto margine di opinabilità”, infatti, in materia di bilanci le “valutazioni non sono libere, ma vincolate normativamente e/o tecnicamente”.

E così argomentando giungeva ad attribuire ai principi contabili generalmente condivisi (IAS e OIC) “dai quali, pertanto, ci si può discostare solo fornendo adeguata informazione e giustificazione” (Cass., Sez. V pen. 15 giugno 2017, n. 29885) una chiara ed evidente funzione normativa.

Una successiva pronuncia chiarisce la posizione della Cassazione

L’assunto giurisprudenziale in precedenza narrato ha così suscitato nei destinatari diretti della norma in questione, ossia nei soggetti che professionalmente si occupano della redazione dei bilanci e della relativa revisione, non poche perplessità e/o difficolta operative, rilevato che spesso i principi nonché i criteri di valutazione da seguire nella redazione dei bilanci (IAS e OIC) non risultano essere sempre così chiari e dettagliati come vorrebbe far intendere la sentenza riportata, presentandosi, anzi, spesso complessi e a largo margine di discrezionalità.[1]

Sulla base delle precitate problematiche la Cassazione rimodulava e meglio rifiniva il principio ermeneutico in precedenza espresso sottolineando con la sentenza 8 novembre 2016, n. 46689 [2], che non ogni principio contabile costituisce norma cogente ai fini del falso in bilancio, ma soltanto quelli con un grado di dettaglio e chiarezza tale da escludere incertezza interpretativa,  sottolineando che il magistrato nel perseguire il fine di tutelare il valore dell’informazione societaria e scongiurare la possibilità che il bene più prezioso su cui si fondano i mercati possa essere inquinato dovrà porsi “il problema del grado di dettaglio di detti criteri”.

Conclusioni

Possiamo, dunque, concludere che la normativa civilistica e le norme a presidio della redazione del bilancio di esercizio non possano non tenere conto di tale importante dato ermeneutico fornito dai Giudici di Piazza Cavour relativamente al tema delle valutazioni patrimoniali nel bilancio societario.

Elementi che, indiscutibilmente, concorrono alla correttezza e alla veridicità delle informazioni contenute nel bilancio, che nella sua funzione primaria ricalca quella di fornire informazioni sull’andamento della gestione e sugli aspetti economici e patrimoniali della vita societaria.


Bibliografia

  • Corriere Tributario 35/2017

[1]  In proposito, cfr. M. Bini, “Il falso valutativo”, in Le Società, n. 2/2017, per cui: “la Cassazione fa affidamento sull’esistenza di principi di valutazione caratterizzati da un dettaglio tale da evitare distorsioni nel processo valutativo, mentre così non è”. L’Autore, infatti, rammenta: “Basti pensare ai principi contabili internazionali (IAS/IFRS) adottati dalle società quotate, da banche e gruppi assicurativi i quali, con riguardo proprio alle poste di bilancio più complesse da valutare, si limitano a definire il ‘quando’ ed il ‘cosa’ valutare ed alcune regole molto generali che tuttavia non forniscono una guida sul ‘come’ compiere la valutazione stessa e con quale grado di dettaglio”

[2]  In tale giudizio, la contestazione riguardava le modalità di contabilizzazione delle riserve tecniche, che sarebbero state appostate in violazione del principio contabile OIC 23. La Corte ha escluso che siano state commesse irregolarità idonee ad ingannare in  concreto i terzi in quanto, al momento della redazione del bilancio, il criterio OIC 23 risultava di difficile comprensione (“oscuro”), com’è dimostrato da una successiva riformulazione correttiva.

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