L’amministrazione di sostegno

in Giuricivile.it, 2022, 10 (ISSN 2532-201X)

Introdotto nel nostro ordinamento nel 2004, l’istituto dell’amministrazione di sostegno viene posto dal legislatore accanto alle preesistenti discipline dell’interdizione e dell’inabilitazione, rappresentando una novità di notevole rilievo. In questa trattazione ci si soffermerà, senza presunzione di completezza, sugli scopi dell’istituto, sulla rilevanza del decreto di nomina dell’amministratore di sostegno in relazione in particolare alle fattispecie non disciplinate e sul dibattito relativo alla possibilità o meno di nominare un amministratore di sostegno per infermità esclusivamente fisiche.

Scopo dell’istituto e rapporti con l’interdizione e l’inabilitazione

L’amministrazione di sostegno è stata introdotta nel codice civile dalla legge 6/2004 agli articoli da 404 a 413, nel medesimo titolo dedicato all’interdizione e all’inabilitazione, evidenziandone la comune attitudine alla tutela dei soggetti più vulnerabili.

Ma perché il legislatore ha avvertito l’esigenza di introdurre una nuova forma di protezione di tali soggetti? In che rapporto si pone rispetto alle discipline preesistenti? Per cercare di dare una risposta bisogna innanzitutto indagare i presupposti dei singoli istituti.

Orbene, il presupposto per attivare i procedimenti di interdizione e di inabilitazione è l’infermità di mente non transitoria, che nel primo caso deve essere grave e nel secondo non deve essere tanto grave da giustificare il ricorso all’interdizione. L’articolo 404 cc indica quali presupposti per la nomina dell’amministratore di sostegno la menomazione fisica o psichica che renda l’interessato impossibilitato anche in via transitoria a provvedere ai propri interessi. Se dunque la nomina dell’amministratore di sostegno può avvenire per una menomazione psichica anche transitoria, è giocoforza ritenere che ad essa si può far luogo altresì per una menomazione psichica permanente. Se ne deduce che nel caso di infermità mentale non transitoria le discipline applicabili sono alternativamente quella dell’ interdizione, quella dell’ inabilitazione e quella dell’ amministrazione di sostegno.

L’articolo 414 cc sembra confermare tale alternatività quando afferma che il maggiorenne e il minore emancipato sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare  la  loro adeguata protezione, mentre il testo previgente alla legge 6/2004 sanciva un categorico “devono essere interdetti“. Anche la Corte di Cassazione[1] si è pronunciata in merito al rapporto tra questi istituti, spingendosi ad affermare la residualità dell’interdizione, la quale si pone come extrema ratio alla luce delle più gravi conseguenze che ne derivano, da attivarsi dunque solo se altre misure non siano idonee ad assicurare un’adeguata protezione.

In effetti ciò appare chiaro se si considera che un interdetto non può compiere senza la rappresentanza legale del tutore alcun atto negoziale, e non può compiere nemmeno atti personalissimi come ad esempio fare testamento[2], mentre il beneficiario di amministrazione di sostegno può compiere tutti gli atti, anche se di straordinaria amministrazione, che non rientrino tra quelli che il decreto di nomina impone siano posti in essere con la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno.

Tale residualità emerge con ancora maggiore chiarezza se si guarda alla lettera dell’articolo 1 della legge 6/2004, da cui si rinviene lo scopo della disciplina dedicata all’amministrazione di sostegno e cioè tutelare le persone prive di autonomia, limitando il meno possibile la loro capacità di agire, e si percepisce come il legislatore abbia voluto creare un istituto malleabile, plasmabile rispetto alle singole esigenze, che lungi dall’essere uguale ai preesistenti, sia invece uno strumento elastico ed adattabile alle varie fattispecie. Spetterà poi al giudice valutare se la misura dell’amministrazione di sostegno sia congrua o meno rispetto alle circostanze del caso concreto.

La scelta dell’amministratore di sostegno, il ricorso e la nomina

L’amministratore di sostegno può essere scelto dallo stesso soggetto interessato in prospettiva della sua eventuale futura incapacità, con atto pubblico o scrittura privata autenticata. Tale scelta può anche essere compiuta dai genitori con le stesse modalità, ed altresì per testamento, beninteso non congiuntamente dato che nel nostro ordinamento vige il divieto di testamento congiuntivo[3]. Se non sia stata effettuata alcuna scelta o comunque se sussistono gravi motivi, il giudice potrà designare altri soggetti che ricoprano l’incarico, preferendo le persone più vicine all’interessato: il coniuge o la persona stabilmente convivente, il genitore, il figlio, il fratello, il parente non oltre il quarto grado[4].

L’amministratore di sostegno viene nominato dal giudice tutelare del luogo di residenza dell’interessato, su ricorso dello stesso beneficiario anche se già incapace[5], del coniuge o della persona stabilmente convivente, dei parenti entro il quarto grado o  affini entro il secondo, del tutore o del curatore. Anche il pubblico ministero, nonché i responsabili dei servizi sociali del comune di riferimento che siano a conoscenza della situazione dell’interessato possono proporre ricorso.

Il giudice emette decreto motivato di nomina entro sessanta giorni dalla presentazione dell’istanza. Qualora le circostanze lo richiedano, nelle more tra il ricorso e la nomina dell’amministratore definitivo, il giudice può nominare un amministratore di sostegno provvisorio autorizzandolo contestualmente al compimento degli atti.

L’importanza del decreto di nomina e le fattispecie non disciplinate

Il decreto con il quale il giudice tutelare nomina l’amministratore di sostegno, delinea perfettamente i contorni dell’istituto e ne prova  la duttilità; con esso il giudice oltre alle generalità del beneficiario e dell’amministratore, alla durata dell’incarico (che può essere anche a tempo illimitato), indicherà l’oggetto delle attribuzioni dell’amministratore di sostegno. A tal fine l’articolo 405 cc sancisce che il decreto di nomina deve indicare gli atti che l’amministratore può compiere in nome e per conto del beneficiario in qualità dunque di rappresentante legale, e gli atti per i quali è richiesta solo la sua assistenza, laddove il negozio sarà frutto del consenso da entrambi legittimamente manifestato.

A riprova di quanto questo istituto sia adattabile alle esigenze del caso concreto, qualunque modifica alle attribuzioni dell’amministratore di sostegno andrà annotata nel registro tenuto presso l’ufficio del giudice tutelare[6], per cui è la stessa normativa ad evidenziare la possibilità che le esigenze di tutela possano variare in qualunque momento, dato che la misura potrebbe oggi interessare alcuni atti ed in seguito altri. In ogni caso la capacità di agire del beneficiario sarà limitata soltanto rispetto a quegli atti per i quali è prevista la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno, mentre per tutti gli altri il beneficiario conserva la piena capacità.

Inoltre non vi sarà alcuna estensione automatica delle discipline riguardanti l’interdizione e l’inabilitazione; in questo senso l’articolo 411 cc costituisce norma di chiusura quando afferma che il giudice tutelare nel decreto con cui nomina l’amministratore di sostegno, oppure in successive sue modifiche, può estendere determinate limitazioni che riguardano l’interdetto e l’inabilitato anche al beneficiario di amministrazione di sostegno. Ciò è utile a risolvere tutta una serie di ipotesi non disciplinate, perciò, solo per fare qualche esempio, se il decreto di nomina non rinvia all’articolo 591 cc, il beneficiario avrà la piena capacità di fare testamento, dato che come anche sancito dalla Corte di Cassazione[7]in assenza di apposita previsione da parte del giudice tutelare è da escludere l’estensione per via analogica dell’incapacità di testare sancita dall’articolo 591 cc per l’interdetto. Nello stesso senso la Corte Costituzionale la quale con sentenza 144 del 2019 ha sancito che la rappresentanza dell’amministratore di sostegno in ambito sanitario non può spingersi fino al punto di rifiutare le cure salvavita in assenza di una specifica attribuzione di tale potere da parte del giudice tutelare nel decreto di nomina, o eventualmente in una sua successiva modifica.

Altro campo nel quale sono sorte delle perplessità è quello della capacità di donare del beneficiario di amministrazione di sostegno. Il dubbio è sorto dall’articolo 774 cc secondo il quale chi non ha la piena capacità non può donare. In effetti il beneficiario di amministrazione di sostegno se anche per un solo atto deve essere rappresentato o assistito, non ha la piena capacità, e considerato che l’articolo 777 cc esclude la rappresentanza nelle donazioni, il beneficiario sarebbe sempre privo della facoltà di donare. Tuttavia la Cassazione[8] ha affermato che senza un riferimento nel decreto di nomina o in successive modifiche, non vi può essere un’automatica esclusione della capacità di donare, e ciò si può dedurre dal combinato disposto degli articoli 411 cc e 774 cc.

Amministratore di sostegno e menomazione solo fisica

Punto tuttora dibattuto in dottrina è se l’amministratore di sostegno possa essere nominato per disabilità solo fisiche, quando cioè non risultino in alcun modo alterate le facoltà mentali del soggetto. A tal proposito è utile ricordare come l’art. 404 cc indica tra i presupposti per la nomina dell’amministratore di sostegno la disabilità fisica o psichica, menzionandole chiaramente in alternativa tra loro. Secondo un orientamento[9], la menomazione esclusivamente fisica non potrebbe giustificare il ricorso all’amministrazione di sostegno in quanto si tradurrebbe in una previa rinuncia da parte del beneficiario alla propria capacità d’agire. In questi casi infatti, l’interessato potrebbe avvalersi di strumenti quali la procura ed il mandato per raggiungere gli stessi obbiettivi, senza perdere la capacità di compiere da solo l’atto.

In realtà la Cassazione[10] ha affermato che quando la persona è anche solo fisicamente impossibilitata a provvedere ai propri interessi, può accedere all’amministrazione di sostegno. Secondo un altro orientamento[11], l’ammissibilità si ricaverebbe anzitutto dalla lettera dell’articolo 404 cc, e altresì dal combinato disposto degli articoli 405 e 409 cc. Secondo l’articolo 405 cc, il decreto di nomina deve contenere gli atti che il beneficiario può compiere con la rappresentanza dell’amministratore di sostegno, e l’articolo 409 cc sancisce che il beneficiario conserva la capacità di agire per gli atti per i quali il giudice non abbia disposto la rappresentanza esclusiva dell’amministratore di sostegno. Da ciò la dottrina ha dedotto la possibilità per il giudice tutelare di nominare un amministratore di sostegno non esclusivo ma con legittimazione concorrente con quella del beneficiario, il quale in tal caso manterrebbe la piena capacità di agire.

Per semplificare, se l’amministratore di sostegno è stato nominato in qualità di rappresentante  con legittimazione concorrente per il compimento degli atti dispositivi su beni immobili, ed il beneficiario volesse stipulare un atto di compravendita immobiliare, egli conserva comunque la facoltà di compiere l’atto da solo, senza la rappresentanza dell’amministratore di sostegno[12]. Da ultimo è da segnalare una pronuncia della Cassazione[13] che prima facie sembra escludere la possibilità di nominare un amministratore di sostegno in casi di infermità esclusivamente fisica, ma che in realtà, tenendo conto della volontà dell’interessato, fonda il discrimen sull’applicazione o meno della disciplina, sull’esistenza di una rete familiare che possa comunque offrire supporto alla persona del beneficiario.

In estrema sintesi, il caso riguardava una donna cieca che rifiutava la nomina dell’amministratore di sostegno in quanto si riteneva in grado di tutelare i propri interessi. La signora era assistita dalla figlia che provvedeva insieme ad altri familiari alle sue necessità. La Corte afferma: “[… ] In tema di amministrazione di sostegno, l’equilibrio della decisione deve essere garantito dalla necessità di privilegiare il rispetto dell’autodeterminazione della persona interessata, così da discernere le fattispecie a seconda dei casi: se cioè la pur riscontrata esigenza di protezione della persona (capace ma in stato di fragilità) risulti già assicurata da una rete familiare all’uopo organizzata e funzionale, oppure se, al contrario, non vi sia per essa alcun supporto e alcuna diversa adeguata tutela; nel secondo caso il ricorso all’istituto può essere giustificato, mentre nel primo non lo è affatto, in ispecie ove all’attivazione si opponga in modo giustificato, la stessa persona del cui interesse si discute […]”.


[1] Cass. Civ. 4866/2010

[2] V. art. 591cc

[3] V. art. 589 cc

[4] V. art. 408 cc

[5] Una cosa è la scelta che può avvenire da parte dello stesso interessato in previsione di una eventuale futura incapacità, altro è il ricorso per la nomina che va comunque presentato presso il giudice tutelare.

[6] V. art. 49bis disp. att. cod.civ.

[7] Cass. civ. 12460/2018

[8] Cass. civ., ibidem

[9] CIAN-TRABUCCHI, Commentario breve al codice civile, Cedam, 2020, art. 404, II

[10] Cass. civ. 12998/2019; si veda anche il decreto di nomina del giudice tutelare del Tribunale di Parma n. 536/2004, che ha riconosciuto la necessità di nominare un amministratore di sostegno in ipotesi di impedimento solo fisico.

[11] L. GENGHINI, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, sec. ed., pp. 1062 ss.

[12] V. Decr. n. 536/2004 Giud. Tut. Trib. Parma, sopra citato.

[13] Cass. ord. 29981/2020

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