La simulazione nel diritto civile: guida completa di giurisprudenza

in Giuricivile, 2018, 7 (ISSN 2532-201X)

Nel codice civile manca una definizione esatta del fenomeno simulatorio. Il legislatore, infatti, non definisce espressamente la simulazione indicandone la sola disciplina, da cui si evince essere uno strumento non sanzionato perché non espressivo di patologia negoziale e lasciato all’autonomia privata, poiché ritenuto meritevole di tutela.

I contraenti, cioè, possono dar vita ad un regolamento solo apparente: gli effetti che figurano nel negozio sono inesistenti o diversi rispetto a quelli effettivamente perseguiti.

Più chiaramente, con la simulazione assoluta le parti fingono di stipulare un contratto, ma nella realtà non vogliono stipulare alcun rapporto contrattuale, con la simulazione relativa le parti fanno apparire un contratto diverso da quello realmente concluso o dal punto di vista del contenuto del contratto, dando luogo ad una simulazione relativa oggettiva o, con riguardo ai soggetti dell’accordo, attraverso il fenomeno dell’interposizione fittizia.

Dottrina: le teorie sulle simulazione

Chiarito cosa si intende per simulazione, la dottrina ricostruisce il fenomeno, di massima, attorno a due teorie.

Secondo taluni, la divergenza tra volontà e dichiarazione fa rilevare tanto il negozio simulato quanto il negozio dissimulato; esistono, cioè, due volontà distinte, ma collegate che creano un meccanismo in cui convivono i piani dell’efficacia interna (negozio dissimulato tra le parti) e il piano dell’efficacia esterna (negozio simulato rispetto ai terzi). In questo caso la dottrina ha spiegato il fenomeno in termini causali: il negozio simulato, cioè, sarebbe privo di causa poiché le parti non vogliono la produzione di alcun effetto mentre il negozio dissimulato avrebbe una causa propria.

Dottrina maggioritaria (Gazzoni) e giurisprudenza maggioritaria (da ultimo S.U. 23601/2017 sul canone integrativo occulto della locazione non abitativa), diversamente, ricostruiscono il fenomeno simulatorio in chiave unitaria, alla luce della teoria della causa in concreto: il negozio simulato è l’effettivo intento delle parti che mirano ad un unico risultato.

Così precisato, cuore pulsante del fenomeno simulatorio è l’accordo simulatorio di cui è discussa la natura giuridica: per alcuni l’accordo simulatorio avrebbe natura negoziale; per altri, più chiaramente, l’accordo simulatorio sarebbe una dichiarazione di scienza perché inidoneo a costruire, modificare o estinguere i rapporti giuridici.

Più correttamente, però, come precisato dalle Sezioni Unite, a più riprese, occorre distinguere tra accordo simulatorio e controdichiarazioni: l’accordo simulatorio ha natura negoziale perché crea uno strumento negoziale idoneo a produrre effetti giuridici; le controdichiarazioni non hanno natura negoziale, ma sono mere dichiarazioni di scienza, di solito veste formale in cui è inserito l’accordo simulatorio, ma da esso distinte, con mera funzione probatoria. Così chiarito è evidente che l’accordo simulatorio deve essere necessariamente contemporaneo o anteriore al negozio simulato; le controdichiarazioni possono essere anche successive ad esse.

Gli effetti della simulazione

In quanto fenomeno di apparenza contrattuale, come chiarito in precedenza, la simulazione è soggetta ai principi di autoresponsabilità per le parti e affidamento per i terzi che spiegano i limiti previsti per la prova.

Più chiaramente, occorre distinguere gli effetti della simulazione rispetto alle parti e rispetto ai terzi: ai sensi dell’art. 1414 c.c. il negozio simulato non produce mai effetto tra le parti (nella simulazione assoluta, cioè, restano immutate le posizioni delle parti; nella simulazione relativa rileva il contratto dissimulato). In tal senso, parte della dottrina discorre di nullità del contratto simulato, ma in opposizione si osserva che un contratto non può essere allo stesso tempo nullo per le parti ed efficace rispetto ai terzi, che la nullità solitamente, e diversamente dalla simulazione, è rilevabile d’ufficio dal giudice, che la legittimazione ad agire per far rilevare la simulazione è relativa e non assoluta come avviene nella nullità. Più correttamente, allora, si discorre di inopponibilità del contratto simulato tra le parti.

Diversamente, rispetto ai terzi (intendendosi per terzo colui che non è stato parte del contratto simulato nemmeno a mezzo di rappresentante) occorre distinguere:

  • i) i terzi pregiudicati dal contratto simulato;
  • ii) i terzi aventi causa del simulato acquirente;
  • iii) i creditori.

Preliminarmente occorre chiarire che l’intesa tra le parti, come detto, non è illecita e non è sanzionata dal legislatore e pertanto non è fonte di responsabilità nei confronti dei terzi. Se, poi, la simulazione non è pregiudizievole per i terzi, vale , anche per essi, il negozio simulato per il principio dell’apparenza; gli aventi causa del titolare apparente, se in buona fede, prevalgono rispetto alle parti, agli aventi causa e ai creditori del simulato alienante, sempre che, in caso di diritti immobiliari di cui al 2643 c.c., la trascrizione dell’acquisto preceda la trascrizione della domanda di simulazione.

Se, invece, la simulazione è pregiudizievole per i terzi, questi possono dimostrare che il negozio è simulato e far valere la situazione reale. In tal senso, secondo quanto previsto dal legislatore, i terzi pregiudicati possono dare prova della simulazione con qualsiasi mezzo, anche con testimoni e presunzioni. La prova è, cioè, libera perché per loro la vicenda simulatoria è mero fatto giuridico.

Quanto ai creditori delle parti occorre distinguere:

  • i) creditori del simulato alienante;
  • ii) creditori del simulato acquirente.

I primi (creditori del simulato alienante) conservano nei confronti del debitore la garanzia patrimoniale sul bene apparentemente alienato. Possono agire per far accertare la simulazione, ma non prevalgono sui terzi in buona fede. Per il creditore sarà allora  preferibile agire con azione revocatoria: anche l’acquisto a titolo gratuito è infatti suscettibile di revoca, dunque diviene inefficace. I creditori del simulato acquirente, diversamente, possono agire sul bene acquistato in via simulata e la simulazione non può essere opposta ai creditori che in buona fede hanno già compiuto atti esecutivi.

L’azione di simulazione

L’azione per far valere la simulazione, più nel dettaglio, è l’azione di simulazione che è azione di accertamento (negativo) della inefficacia del contratto simulato i cui legittimati attivi sono le parti e i terzi interessati e i legittimati passivi sono i partecipi dell’accordo simulatorio.

Se è vero che le parti dell’accordo possono anche essere legittimati attivi all’azione, diversi sono però i limiti di prova per queste e per i terzi.

I terzi pregiudicati, come accennato, possono, infatti, darne prova con qualsiasi mezzo, anche con testimoni e presunzioni. La prova è libera perché per loro la vicenda simulatoria è mero fatto; le parti, diversamente, incontrato i limiti di prova previsti dal 1417 c.c. che si giustificano per il principio di autoresponsabilità secondo cui l’ordinamento permette la simulazione, ma accolla ai simulanti il rischio di non poterla provare.

È allora chiaro il rilievo che ha definire quando un soggetto è parte e quando è terzo.

In tal senso, la giurisprudenza ha chiarito che l’erede, in qualità di successore a titolo universale non è terzo, mentre è terzo il legatario. Ancora, il legittimario pretermesso è terzo rispetto all’accordo simulatorio e dovendo questo agire prima con l’azione di simulazione (per far rientrare il bene nell’asse ereditario) e poi con l’azione di riduzione, si ammette la possibilità di proporre entrambe le azioni contestualmente.

Sempre a detta della giurisprudenza, il curatore fallimentare, per i suoi innumerevoli compiti, è terzo quando agisce nell’interesse dei creditori; non è terzo quando agisce nell’interesse del fallito.

L’interposizione fittizia

Così chiarito in merito all’azione di simulazione oggettiva, occorre soffermarsi sull’interposizione fittizia con la quale si stabilisce, per effetto di accordo precedente o contestuale alla stipula di un contratto, che quello di essi che è chiamato a concludere con un terzo, non è effettivo destinatario degli effetti che vanno a riversarsi nella sfera giuridica del partecipe dell’accorso simulatorio.

Più chiaramente, come anticipato, l’interposizione fittizia è simulazione relativa soggettiva e si sostanzia in un accordo a tre tra alienante, acquirente e terzo che appare titolare e si distingue dall’interposizione reale, accordo a due che non rientra nel fenomeno simulatorio, ma nel mandato o più genericamente nel fenomeno dell’interposizione gestoria, poiché l’interposto contratta con il terzo in nome proprio con l’obbligo di ritrasferire i diritti all’interponente.

Tratto distintivo della interposizione fittizia, allora, è la necessaria partecipazione del terzo all’intesa tra interposto e interponente; non occorre un trasferimento poiché per effetto dell’accordo a tre già sussiste un’intesa dissimulata che vale ad attribuire direttamente gli effetti nella sfera giuridica dell’interponente (diversamente dall’interposizione reale che richiede il ritrasferimento)

In quanto accordo a tre, discusso è stato in giurisprudenza il litisconsorzio necessario del terzo nell’azione di simulazione: è il caso del venditore tizio che stipula contratto di vendita del bene con caio (interposto), sapendo che per effetto della simulazione il vero bene sarà trasferito a sempronio (interponente)

A tal proposito, le Sezioni Unite (S.U. 11523/2013) hanno affermato, in merito, che nella simulazione relativa della compravendita effettuata per interposizione fittizia dell’acquirente, l’alienante, terzo rispetto all’accordo simulatorio (venditore), non è litisconsorte necessario se nei suoi riguardi il negozio è stato integralmente eseguito e manca ogni suo interesse ad essere parte del giudizio, per i principi del giusto processo, ragionevole durata del processo  e effettività della tutela.

La simulazione fraudolenta

A completamento dell’analisi occorre soffermarsi sul fenomeno della simulazione fraudolenta.

Come detto, la simulazione è ammessa dall’ordinamento perché meritevole di tutela, ma è chiaro che non può diventare mezzo per eludere le norme imperative in aderenza al principio “fraus omnia corrumpit”.

Per la dottrina che intende la simulazione chiave unitaria, la simulazione fraudolenta realizza un’operazione negoziale nulla per illiceità della causa ex artt. 1418 c.c. e 1343 c.c.

Per la dottrina che, diversamente, intende la simulazione in chiave di collegamento negoziale, le parti con due negozi leciti realizzano un fine illecito e il contratto è nullo ex art. 1344 poiché in frode alla legge.

Per le Sezioni Unite S.U. 23601/2017 in tema di locazione non abitativa, la soluzione non va, però, data sul piano causale (anche se si afferma l’illiceità della causa già riconosciuta in giurisprudenza) ma sul piano della violazione di norme imperative affermando che “ a seguito dell’elevazione della norma tributaria a norma imperativa, pertanto, la convenzione negoziale deve essere ritenuta …intrinsecamente nulla, oltre che per essere stato violato parzialmente nel quantum l’obbligo di (integrale) registrazione, anche perché ab origine caratterizzata da una causa illecita per contrarietà a norma imperativa (ex art. 1418, comma 1, c.c.), tale essendo costantemente ritenuto lo stesso articolo 53 Cost. – la cui natura di norma imperativa (come tale, direttamente precettiva) è stata, già in tempi ormai risalenti, riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 5 del 1985; Cass. ss. uu. n. 6445 del 1985)…”.

Redattore di manuali per la preparazione post – universitaria in materia di diritto civile e diritto amministrativo. Coordinatore e revisore scientifico di opere collettanee in materia di diritto civile e societario, diritto penale e diritto amministrativo. Ha conseguito il diploma di SSPL ed è laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II con tesi in diritto processuale civile su “La rimessione in termini nel processo civile”.

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