La rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto

in Giuricivile, 2019, 10 (ISSN 2532-201X)

La nullità del contratto acquisisce notevole rilevanza nell’ambito del nostro ordinamento. La stessa è da qualificare come species dell’invalidità[1], in quanto, codificata nel 1942, quale rimedio in grado di prevenire vizi generali del regolamento contrattuale.

Il regime della nullità rileva in merito alla repressione di vizi confliggenti con interessi sovraindividuali.

Nell’alveo dell’invalidità, è possibile annoverare anche l’annullabilità, patologia che incide sul contratto, in quanto di per sè incompatibile con l’ordinamento. Intento del legislatore è, in questo caso, garantire la corretta formazione della volontà delle parti.

Il discrimine, tra queste due tipologie di invalidità, ha subito un’erosione grazie all’evoluzione del concetto di nullità. Quest’ultima è stata recepita non solo quale rimedio per l’ordinamento, ma anche come strumento in grado di tutelare gli interessi delle parti. In tal senso, si è ritenuto possibile ascrivere il regime della nullità alla prevenzione dello squilibrio contrattuale, garantendo la stipulazione di un contratto equilibrato.

In questo contesto, si inseriscono le cosiddette nullità di protezione[2], poste a presidio dell’interesse di uno dei contraenti. Il proliferare di tale forme di nullità ha portato a ritenere applicabile, alle stesse, un regime misto tra nullità ed annullabilità[3]. Il concetto di nullità è, quindi, stato inteso quale strumento in grado di tutelare anche interessi di tipo particolare.

Il contrasto giurisprudenziale

Si confrontano sul punto due orientamenti: da un lato, coloro[4]  che risultano inclini a negare la possibilità per il giudice di rilevare d’ufficio la nullità del contratto, sulla scorta del rispetto del principio della domanda; dall’altro, la giurisprudenza, più recente, volta a ritenere possibile il rilievo d’ufficio.

Tale ultimo orientamento prende avvio dall’analisi del dato letterale dell’art. 1421 c.c., che espressamente chiarisce come la nullità del contratto possa essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e debba essere rilevata d’ufficio dal giudice.

Secondo la giurisprudenza, la logica codicistica è da ravvisare nella necessità di sanzionare le nullità quali gravi forme di patologie negoziali, con riflessi di carattere generale.

Significativo è l’excursus giurisprudenziale culminato con la nota pronuncia delle sezioni unite del 2014.

L’indagine prende avvio dal rapporto tra nullità e domanda attorea.

Le pronunce delle Sezioni Unite

Merita di essere analizzata la pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 24828 del 2012. Nel caso di specie, la problematica del rilievo della nullità si pone in relazione alla proposizione di una domanda di risoluzione del contratto.

La Corte supera la giurisprudenza dominante, incline a rapportare la nullità con il rispetto del principio della domanda, raffrontando l’azione di nullità rispetto alla domanda di risoluzione del contratto.

In primis, si ritiene che il potere conferito al giudice, ex art 1421 c.c., risulti giustificato “in ragione della tutela di valori fondamentali dell’ordinamento giuridico”.  Ciò determina la necessità di compiere una valutazione prodromica in ordine ai vizi contrattuali, tali da determinare la nullità, rispetto all’eventuale risoluzione del contratto. [5]

Dal punto di vista processuale, si pone in rilievo l’indagine circa il rapporto tra giudice e parti.

Assume rilevanza l’art. 183 cpc che, sin dall’originaria versione, prevedeva il dovere del giudice di indicare alle parti le questioni rilevabili d’ufficio. Tale obbligo, con il regime delle preclusioni, è stato reso ancora più stringente, determinando, dunque, il manifestarsi di un principio di collaborazione tra giudice e parti. [6]

In tal senso, rilevano recenti pronunce della Corte di Giustizia, nelle quali viene disposto l’obbligo, non la mera facoltà, da parte del giudice nazionale di esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola, qualora disponga degli elementi di fatto e di diritto per valutarla, e, in tal caso, disapplicarla, a condizione che il consumatore non si opponga.

A partire dal dettato europeo, i giudici nazionali hanno interpretato la normativa processuale, in particolare l’art 183, comma IV cpc, che dispone che il giudice debba indicare alle parti “le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione”.

La dottrina prevalente ha ravvisato, nel predetto testo normativo, la fonte di un obbligo per il giudice di informare le parti in ordine alle questioni rilevabili d’ufficio.

L’art. 101, comma II cpc, introdotto nel 2009, ha ampliato il fondamento dell’art. 183, comma IV cpc, introducendo il principio del contraddittorio, quale presupposto per il rilievo officioso dell’eccezione di nullità del contratto.

Il rilievo d’ufficio della nullità risulta, dunque, essere fondato sulla possibilità per il giudice di indicare alle parti la questione rilevabile d’ufficio, sollecitando il contraddittorio in merito alla stessa.

Si avranno differenti risvolti processuali, qualora la domanda attorea venga estesa anche all’accertamento della nullità. In tale circostanza, infatti, la pronuncia del giudice sulla nullità non colliderà con il rispetto del principio della domanda, con il conseguente formarsi di un giudicato esplicito relativo alla nullità.

Diversamente, laddove la domanda attorea non venga ampliata all’accertamento della nullità del contratto, il giudice, che rigetta la domanda di risoluzione, motivando sulla nullità, determinerà il formarsi di un giudicato implicito su tale questione.

Il decisum delle Sezioni Unite pone problematiche in merito al regime delle nullità di protezione, ipotesi di invalidità per le quali viene riconosciuto espressamente il potere di far valere in giudizio il vizio negoziale al solo soggetto che la norma intende proteggere.

Il mancato riferimento alle stesse sembrerebbe limitare il principio della rilevabilità d’ufficio della nullità a quelle che operano a tutela dell’interesse generale, con deroga per le ipotesi delle nullità relative.

Dirimente è la pronuncia delle Sezioni Unite del 2014.[7]

Due sono le principali novità introdotte dalla Corte: a) una sistematica delle impugnative negoziali e dell’azione di nullità; b) il rilievo d’ufficio anche delle cosiddette nullità di protezione.

Sulla ricostruzione della pronuncia del 2012, limitata al rilievo d’ufficio della nullità nell’ipotesi di risoluzione del contratto, si riconosce l’omogeneità di tutte le azioni di impugnativa negoziale (adempimento, rescissione, annullamento e risoluzione), quale conseguenza del fatto che oggetto delle stesse siano comunque le situazioni soggettive sostanziali sorte dal contratto e che la funzione cui sono rivolte sia incompatibile con la dimensione della nullità contrattuale.[8]

Il giudice, dunque, potrà procedere all’esame delle predette impugnative, soltanto dopo aver verificato che non sussistano ragioni di nullità.

Secondo l’impostazione offerta dalle Sezioni Unite, l’invalidità deve emergere dai fatti allegati, anche attraverso la documentazione prodotta. Il giudice, infatti, avrà il compito di stimolare il contraddittorio sulla stessa, in ossequio all’art 101 cpc, anche laddove si tratti di nullità speciali.[9]

Risvolti diversi si avranno laddove la nullità sia stata rilevata dal giudice e la parti decidano di proporre domanda di accertamento della nullità o chiedano di pronunciarsi su quella originaria: nel primo caso, la pronuncia del giudice sulla nullità non colliderà con il principio della domanda; nel secondo caso, si dovrà stabilire se, ed in quali casi, si formi il giudicato sull’invalidità del contratto.

Tema strettamente collegato al rilievo d’ufficio della nullità è, infatti, il formarsi del giudicato.

In tal senso, è necessario configurare diverse situazioni, a seconda che il giudice rigetti o accolga la domanda attorea.

Una prima ipotesi si configura laddove le parti richiedano l’accertamento della nullità ed il giudice si pronunci su quest’ultima. In tal caso, si avrà il formarsi di un giudicato esplicito sulla nullità.

Ulteriore ipotesi, invece, qualora il giudice rigetti la domanda originaria, accompagnata dalla dichiarazione, contenuta nella motivazione, che tale rigetto risulta fondato sulla nullità. Si avrà, secondo la Corte, l’idoneità alla formazione del giudicato esplicito sull’invalidità.

Nel caso in cui, invece, il giudice accolga la domanda originaria, allora si formerà un giudicato implicito sulla non nullità del contratto. Tale giudicato si formerà anche laddove il giudice non rilevi d’ufficio la nullità, pur scorta in un primo momento.

Qualora il giudice rigetti la domanda originaria sulla base della ragione più liquida, si pone il problema del formarsi o meno di un giudicato implicito circa la validità del contratto.

Se, infatti, il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, in mancanza di un rigoroso obbligo per il giudice di rispettare l’ordine logico-giuridico delle questioni, secondo la Corte, non si può ritenere, che il rigetto della domanda sulla scorta della ragioni più liquida possa determinare il formarsi di un giudicato implicito sulla non nullità del contratto. [10]

Oggetto del giudizio viene, infatti, individuato nel rapporto contrattuale, con la conseguenza che, qualunque sia l’azione proposta, compito del giudice è verificare se il contratto sia in grado di produrre o meno gli effetti. Tale problematica non si pone, laddove il giudice, per ragioni di celerità, decida la questione non indagando il rapporto contrattuale, ma sulla base della ragione più liquida.

L’attuale intervento giurisprudenziale

La tematica relativa al giudicato si pone, altresì, in rapporto con la possibilità di rilevare d’ufficio la nullità in appello.

Le Sezioni Unite, nella pronuncia del 2014, infatti, quanto alla proponibilità in appello della domanda di nullità, ritengono che il combinato disposto tra art 1421 c.c. e 345 cpc, che vieta la proposizione di nuove domande, porterebbe a ritenere che la domanda di nullità sarebbe da considerare nuova.

Tuttavia, se la domanda di nullità è ammessa senza preclusioni in primo grado, non dovrebbe trovare alcun ostacolo neppure nell’art 345 cpc, trattandosi di un’attività della parte derivante dalla sollecitazione del giudice, seppure tardiva.

É intervenuta, sul punto, la Cassazione nel 2017.[11]

La decisione della Corte si pone in rapporto con il principio dei nova in appello.[12]

Le novità apportate con la presente pronuncia sono da ravvisare nella possibilità del giudice dell’appello di rilevare d’ufficio la nullità del contratto, anche se, nel corso del giudizio di primo grado, la validità dello stesso non fosse stata discussa della parti e neppure fosse stata prospettata dal giudice. Ciò è sintomo del fatto che, pur in presenza di un giudicato interno sulla validità del contratto, risulti legittimo il rilievo d’ufficio della nullità.

Tale pronuncia si contrappone a quanto affermato da parte della giurisprudenza, in merito al regime dei nova in appello. Sulla scorta di ciò, il giudice del gravame non può dichiarare la nullità di un atto negoziale per un motivo basato su fatti diversi e nuovi rispetto a quelli dedotti da colui che ha proposto impugnazione. In particolare, laddove la pronuncia di primo grado abbia, con l’accoglimento della domanda attorea, nel caso di specie, di condanna, determinato il formarsi di un giudicato implicito in ordine alla validità del rapporto contrattuale.

Ritenere che, il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, significa che lo stesso è in grado di coprire non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto fatte valere in giudizio, ma anche tutte le possibili questioni, proponibili sia in via di azione, sia in via di eccezione, che sebbene non dedotte nello specifico, costituiscono precedenti logici essenziali e necessari della pronuncia.

Rilevanti, in tal senso, una serie di pronunce della Cassazione[13], che delimitano il concetto di giudicato implicito.

Nello specifico, affermando che il giudicato viene a formarsi anche in merito a precedenti logici che devono essere necessariamente esaminati dal giudice per giungere ad una determinata decisione. Fondamento di ciò è da ravvisarsi nel fatto che la nullità del contratto costituisce una questione pregiudiziale, in senso logico, rispetto alle altre domande.

Le Sezioni Unite, invece, giustificano la rilevabilità d’ufficio della nullità, anche in grado di appello, nonostante il formarsi di un giudicato implicito, ritenendo la nullità quale eccezione in senso lato, relativa ad un fatto già allegato in primo grado.[14]

Ciò sul presupposto che oggetto del processo, come già ritenuto nella precedente pronuncia del 2014, risulta essere circoscritto al rapporto contrattuale. Di conseguenza, compito del giudice è verificare, sempre, il modo di essere del contratto in sé.


Bibliografia e note

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Lucilla Galanti, Nullità contrattuale tra giudicato esterno e giudicato implicito, in Riv. trim. di dir. e proc. civ., 2015, p. 1359

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Stefano Pagliantini, Spigolando a margine di Cassazione 26242 e 26243: la sanzione e protezione nel prisma delle prime precomprensioni interpretative, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2015, p. 185

Ilaria Pagni, Il “sistema” delle impugnative negoziali dopo le Sezioni Unite, in Giurisprudenza Italiana, 2015, p. 70

Nicola Rizzo, Commento a Cassazione Sezioni Unite 26242 del 2014, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata,  2015, p. 299

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Claudio Scognamiglio, Il pragmatismo dei principi: le Sezioni Unite ed il rilievo officioso delle nullità, in La Nuova Giurisprudenza Civile, 2015, p. 197

Claudio Scognamiglio, Commento a Cassazione Sezioni Unite 14828 del 2012, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2013, p. 15

Roberto Senigaglia, Il problema del limite al potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità di protezione, in Europa e dir. priv.,  2010, p. 835

Giovanni Verde, Sulla rilevabilità d’ufficio delle nullità negoziali, in Riv. dir. proc. civ., 2015, p. 747

Giustino Verì, La Cassazione torna sul rilievo d’ufficio della nullità, pregiudiziale logico – giuridica (non solo delle impugnazioni negoziali ma anche) del risarcimento del danno, in Dir. civ. cont., 2016

[1] Si definisce invalidità la forma patologica dell’agire umano, intesa quale vizio originario del contratto. Differisce rispetto all’inefficacia, che interessa il rapporto contrattuale in senso stretto, rendendo quest’ultimo inidoneo a produrre effetti ulteriori.

[2] A titolo esemplificativo, è possibile richiamare la disciplina prevista in tema di codice del consumo. Il predetto testo normativo è stato introdotto con l’obiettivo di rendere il contratto sufficientemente simmetrico, evitando possibili squilibri ai danni del consumatore. Tra i rimedi finalizzati a garantire la tutela del consumatore, il legislatore, all’art. 36 del codice del consumo (“la nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”), ha collocato le “nullità di protezione”, rimedio posto a presidio del contenuto minimo ed inderogabile del contratto concluso con il consumatore.

[3] Una delle problematiche, che ha maggiormente interessato la dottrina, è stata la definizione dei caratteri delle nullità di protezione. Tradizionalmente, si riteneva che fossero due: 1. necessaria parzialità degli effetti, in quanto la legge prevede che il vizio della singola clausola non determini mai la nullità dell’intero contratto; 2. relatività della legittimazione ad agire. In ordine a quest’ultimo aspetto, le nullità di protezione venivano inquadrate nello schema delle nullità relative, ai sensi della deroga prevista dall’art. 1421 c.c.

Parte della dottrina ha, però, verificato come la legittimazione ad agire fosse estesa anche a terzi estranei al contratto e, addirittura, a chiunque potesse vantare un interesse meritevole di tutela per l’ordinamento. In tal senso, si è ritenuto possibile rilevare d’ufficio tali forme di nullità, benchè ciò necessiti di essere correlato con il carattere non disponibile dell’interesse protetto. La rilevabilità d’ufficio, infatti, talvolta collide con l’interesse stesso del consumatore. Parte della dottrina, ha, dunque, ritenuto necessario bilanciare il rilievo d’ufficio della nullità, con l’effettivo interesse del consumatore (l’orientamento prevalente, infatti, esclude che la nullità possa essere rilevata dal professionista).

[4] Il rapporto tra rilievo d’ufficio della nullità e principio della domanda si pone nei termini del confronto tra art 1421 c.c. ed art. 112 cpc. Parte della giurisprudenza ritiene il principio dell’art. 112 cpc, quale limite invalicabile della domanda attorea, consente al giudice di pronunciarsi d’ufficio solo sulle eccezioni che rientrino tra quelle proponibili esclusivamente dalle parti e che non amplino la domanda. In tal senso, dunque, la nullità del contratto potrà essere rilevata soltanto ove si ponga, rispetto alla domanda dell’attore, in termini di mera difesa e non anche nella diversa ipotesi in cui costituisca un’eccezione di parte in senso stretto.

[5] La Cassazione ritiene che la domanda di risoluzione contrattuale presuppone un contratto valido. Di conseguenza, l’eventuale nullità dello stesso necessita di essere valutata in via pregiudiziale.

[6] In seguito al rilievo officioso di una questione, la parti possono formulare una domanda che sia conseguenza del rilievo. Tale principio risulterebbe, altresì, rafforzato dall’art. 101, comma II cpc e 153 cpc. Entrambi ampliano il rapporto tra giudice e parti stabilendo, nel primo caso, che il giudice, in fase di riserva della decisione, qualora ritenga di dover porre a fondamento della stessa una questione rilevata d’ufficio, debba assegnare alle parti un termine per presentare memorie ed osservazioni inerenti alla stessa. Nel secondo caso, si introduce la facoltà di essere rimessa in termini la parte che sia incorsa in decadenza per cause non imputabili.

[7] Cassazione Sezioni Unite n. 26242/2014: “il rilievo ex officio di una nullità negoziale – sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o di protezione – deve ritenersi consentito, semprechè la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata “ragione più liquida”, nell’azione di adempimento e in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), senza, per ciò solo, negarsi la diversità strutturale dalla nullità di queste ultime sul piano sostanziale, poichè tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo ed omogeneo, affatto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale.”

[8] Come per la domanda di risoluzione del contratto, anche per la altre azioni di impugnativa negoziale, quale l’adempimento, la rescissione e l’annullamento, si postula la validità del contratto, Di conseguenza, la verifica della nullità assume funzione pregiudiziale rispetto alle altre impugnative.

 

[9] Le Sezioni Unite sono chiare nel ritenere che la domanda di nullità non incorra nelle previsioni di cui all’art. 183 cpc, quanto piuttosto nell’alveo dell’art. 101 cpc. L’espressione “memorie contenenti osservazioni sulla questione”, contenuta nel predetto articolo, viene, infatti, intesa in senso ampio, non limitato all’attività solo assertiva, quale quella riservata all’interveniente adesivo indipendente, ma anche tale da consentire sia la proposizione della domanda formalmente tardiva, sia le correlate istanza probatorie.

[10] La facoltà del giudice di definire il processo celermente, sulla base della ragione più liquida, è motivo ostativo alla sovrapponibilità dell’oggetto del processo, ossia il rapporto contrattuale, e del giudicato, che può non coprire la nullità se tale problema non risulta essere stato affrontato dal giudice.

[11] Cassazioni Sezioni Unite 7294/2017, “Allorquando il giudice di primo grado abbia deciso su pretese che suppongono la validità ed efficacia di un rapporto contrattuale oggetto delle allegazioni introdotte nella controversia, senza che nè le parti abbiano discusso nè lo stesso giudice abbia prospettato ed esaminato la questione relativa a quella di validità ed efficacia, si deve ritenere che la proposizione dell’appello sul riconoscimento della pretesa, poiché tra i fatti costitutivi della stessa per come riconosciuta dal primo giudice vi è il contratto, implichi un’eccezione cd. in senso lato, relativa ad un fatto già allegato in primo grado. Ciò risultava e risulta giustificato, in ognuno dei regimi dell’art. 345 cpc succedutisi nella storia del codice di rito, dalla previsione, sempre rimasta vigente, del potere di rilevazione d’ufficio delle eccezioni soggette a rilievo officioso.”

[12] É necessario richiamare sul punto il dettato dell’art. 345 cpc, il quale dispone che, nel giudizio d’appello non possano proporsi domande nuove e, se proposte, debbano essere dichiarate inammissibili d’ufficio. Nello specifico, il secondo comma ritiene che non possano proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio.

[13] Cass. 17069/2014, Cass. s.u. 26242 e 26243/2014. Nella fattispecie oggetto della prima pronuncia, la Corte ritiene formatosi il giudicato implicito sulla validità del contratto, sulla scorta del rigetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo di condanna all’adempimento contrattuale. Il percorso argomentativo si fonda sull’analisi del rapporto tra azione di nullità e di adempimento del contratto. Sulla scorta di quanto, già sostenuto dalle Sezioni Unite nel 2014, si precisa che la valutazione relativa alla nullità del contratto costituisce una questione pregiudiziale in senso meramente logico rispetto alla domanda di adempimento. Di conseguenza, il giudicato si forma, non soltanto su ciò che la sentenza espressamente afferma o nega, ma anche sulle questioni ed accertamenti che rappresentano precedenti logico-giuridici ineludibili della decisione.

[14] In merito al concetto di eccezioni in senso lato, è possibile richiamare la pronuncia della Cass. 17069 del 2014. La Corte, aderendo ad un orientamento ormai consolidato, ribadisce che l’eccezione di giudicato esterno si colloca tra quelle in senso lato, connotate dalla rilevabilità officiosa, anzichè tra quelle in senso stretto, caratterizzate dalla necessaria istanza di parte. La problematica discende dall’analisi dell’art. 112 cpc, ai sensi del quale il giudice non può pronunciarsi d’ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti. Tale norma è stata sottoposta ad una duplice interpretazione: da un lato, laddove la legge non consenta espressamente la rilevabilità officiosa, le eccezioni potrebbe essere sollevate solo dalle parti; dall’altro lato, dal dettato dell’articolo in questione, ne deriverebbe una restrizione legislativa alla rilevabilità d’ufficio di una questione da parte del giudice. A dirimere il contrasto, è intervenuta una risalente pronuncia (Cass. s.u. 1099/1998), che ha statuito che il normale regime delle eccezioni è quello della rilevabilità d’ufficio. Di conseguenza, laddove non vi sia un’espressa previsione legislativa, le eccezioni debbono intendersi in senso lato.

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