La rappresentanza: profili generali e funzionali. Il problema della rappresentanza senza potere

in Giuricivile, 2019, 9 (ISSN 2532-201X)

Sommario

  1. Inquadramento sistematico – normativo dell’istituto della rappresentanza
  2. Fonti della rappresentanza e profili generali dell’istituto
  3. La rappresentanza diretta e indiretta
  4. La procura in generale. Rapporti tra procura e mandato
  5. Abuso del potere rappresentativo: conflitto di interessi e contratto con sé stesso
  6. La rappresentanza senza potere e la responsabilità risarcitoria del falsus procurator
  7. Rappresentanza apparente

 

1. Inquadramento sistematico-normativo dell’istituto della rappresentanza

1.1. Gli atti giuridici che regolano gli interessi di una persona possono essere compiuti direttamente e personalmente dall’interessato, o invece da una persona diversa, che agisce in luogo di lui. In quest’ultimo caso si verifica una sostituzione nell’attività giuridica, di cui la rappresentanza costituisce la figura più importante.

1.2. Preliminare alla disamina di tale ultimo istituto è la distinzione tra parte in senso formale e parte in senso sostanziale, che corrisponde alla distinzione del contratto inteso come atto e contratto inteso come rapporto. Con la prima espressione si indica il soggetto che manifesta materialmente la volontà contrattuale. Con la seconda si fa riferimento al soggetto cui sono imputati gli effetti giuridici dell’atto, secondo le particolarità del caso (a seconda che si tratti di rappresentanza diretta o indiretta). Normalmente vi è coincidenza tra tali soggetti, ma può anche accadere che tale coincidenza non ci sia: infatti la legittimazione, ossia la competenza a disporre di un diritto, può non collimare con la titolarità del diritto stesso. Qualora non venga ad esistere tale coincidenza, la legge deve valutare se tale dissociazione è riferibile o meno ad un abuso o se invece è riconducibile alla scelta del titolare dell’interesse di non agire direttamente e personalmente, ma di farsi sostituire da altri.

Una fonte particolare di legittimazione è il potere di rappresentanza, che legittima una persona a incidere direttamente sui rapporti giuridici altrui, nei limiti, beninteso, del potere.

La rappresentanza dunque, si configura allorquando vi è una divergenza tra parte formale e parte sostanziale, e quindi, tra soggetto titolare del diritto e soggetto legittimato a disporre dello stesso.

2. Fonti della rappresentanza e profili generali dell’istituto

2.1. Secondo l’art. 1387 c.c. il potere di rappresentanza può essere conferito: a) dalla legge; b) dall’interessato. Nel primo caso si parla di rappresentanza legale; nel secondo di rappresentanza volontaria. Profilo comune alle due tipologie di rappresentanza, sebbene le stesse originino da fonte diversa, è che entrambe sono forme di svolgimento di un’attività giuridica nell’interesse altrui. Tuttavia la rappresentanza volontaria costituisce uno strumento di ampliamento della sfera di attività giuridica del soggetto e soddisfa l’esigenza che questi si faccia sostituire da altri nell’attività giuridica. La rappresentanza legale invece, soddisfa quello specifico interesse per il quale è prevista dalla legge e si caratterizza come necessaria, essendo l’unico strumento che evita la paralisi dell’attività giuridica del rappresentato (es. incapace). Si può dunque rilevare che le due forme di rappresentanza divergono, oltre che in relazione alla fonte, anche con riferimento al profilo funzionale, in quanto, mentre la rappresentanza legale mira a rendere possibile a soggetti incapaci (es. art. 320 c.c.) il compimento di atti altrimenti preclusi, la rappresentanza volontaria è legata all’opportunità del singolo, che preferisce agire a mezzo di un sostituto. E ciò rientra tra i singoli aspetti dell’autonomia negoziale, che riconosce al singolo la libertà di compiere l’atto personalmente o a mezzo di sostituti, alla quale si contrappone l’obbligo di agire personalmente previsto, in alcuni casi, dalla legge (es. art. 311 c.c.)[1].

2.2. Il nucleo comune della rappresentanza è l’agire nell’interesse altrui: tale profilo, come si dirà, contraddistingue sia la rappresentanza diretta che quella indiretta, le quali divergono in relazione alla circostanza che solo nella prima si ha la “spendita del nome” del rappresentato, che manca nella seconda. L’agire in nome proprio o in nome altrui ha rilevanti implicazioni sotto il profilo della imputazione giuridica degli effetti dell’atto compiuto dal rappresentante: se infatti quest’ultimo agisce in nome e per conto del rappresentato, gli effetti dell’atto si produrranno direttamente nella sfera giuridica di quest’ultimo, dando luogo alla rappresentanza “diretta”. Viceversa, qualora il rappresentante agisce per conto altrui, ma in nome proprio, gli effetti dell’atto si producono nella sfera del rappresentante, dando luogo al fenomeno della rappresentanza indiretta.

2.3. Diversa dalla figura del rappresentante è la figura del nuncius, il quale, a differenza del primo, non esprime una volontà propria ma si limita a trasmettere a una parte la volontà di un altro soggetto.

2.4. Oggetto della rappresentanza possono essere tutti i negozi giuridici, ad eccezione dei negozi personalissimi, come il testamento e la sua revoca, la donazione e i negozi familiari.

Per il matrimonio è prevista, in via eccezionale, la possibilità della celebrazione per procura, ma il procuratore non è un rappresentante quanto un nuncio, non potendo determinare alcun elemento del contenuto del negozio matrimoniale se non la data della celebrazione.

Il rappresentante può compiere atti giuridici non negoziali, come diffide o pagamenti. E può anche solo limitarsi a ricevere atti giuridici per conto del rappresentato: in tal caso è configurabile la rappresentanza passiva.

2.5. Presupposto di validità degli atti del rappresentante è: a) la capacità d’agire del rappresentato; b) la capacità naturale del rappresentante.

Con riferimento al profilo sub a), vi è da rilevare che per il rappresentato è richiesto tale tipo di capacità in quanto lo stesso deve poter controllare, in modo adeguato, l’operato del rappresentante. La capacità del dominus si pone come condizione legale di efficacia del rapporto di rappresentanza, al punto che la sopravvenuta incapacità è causa di estinzione del potere rappresentativo.

In relazione al profilo sub b), l’aver la legge richiesto per il rappresentante la sola capacità naturale comporta che il contratto stipulato dallo stesso è annullabile qualora egli si trovi in stato di incapacità di intendere o di volere e il contratto medesimo risulti pregiudizievole per il rappresentato.

2.6. Poiché la volontà costitutiva del negozio compiuto nell’esercizio del potere di rappresentanza è quella del rappresentante, essendo egli parte formale del rapporto, presupposto affinché l’atto sia valido ed efficace è che la volontà del rappresentante sia immune da vizi che rendono il contratto annullabile. Tuttavia, se il vizio riguarda elementi predeterminati dal rappresentato, il contratto è annullabile solo se era viziata la volontà di quest’ultimo (art. 1390 c.c.).

2.7. Infine, nei casi in cui è rilevante lo stato di buona o mala fede, ossia la conoscenza o ignoranza di determinate circostanze, deve aversi riguardo alla persona del rappresentante, sia nell’ipotesi di rappresentanza volontaria che in ipotesi di rappresentanza legale. Gli stati soggettivi del rappresentato rilevano solo nella misura in cui questi abbia predeterminato gli elementi del negozio (art. 1391 c.c.). In nessun caso il rappresentato in mala fede può giovarsi dello stato di ignoranza o di buona fede del rappresentante (art. 1391 c. 2, c.c.). Si può dunque cogliere la ratio degli art. 1390 e 1391 c.c., tenuto conto che l’atto rientra nella sfera di decisione del rappresentante, il quale, a differenza del nuncius, non si limita a trasmettere la volontà del rappresentato ma collabora attivamente alla sua formazione.

3. La rappresentanza diretta e indiretta

3.1. Con l’espressione rappresentanza diretta si fa riferimento al potere di un soggetto (rappresentante) di agire non solo per conto, ma anche in nome di un altro soggetto (rappresentato). Vi è dunque la spendita del nome di quest’ultimo, che consente di distinguere la rappresentanza diretta da quella indiretta: in quest’ultima infatti, il rappresentante agisce nell’interesse altrui ma in nome proprio. Con rilevanti implicazioni in punto di imputazione degli effetti dell’atto compiuto dal rappresentante: questi ultimi infatti, solo in caso di rappresentanza diretta, si produrranno direttamente in capo al rappresentato.

Con riferimento alle fonti della rappresentanza diretta, le stesse possono essere ravvisate nella legge (rappresentanza legale) o nella procura conferita dall’interessato (rappresentanza negoziale). La spendita del nome deve essere espressa solo in caso di rappresentanza negoziale. Ciò significa che il rappresentante deve portare a conoscenza dell’altro contraente la circostanza che agisce in nome di un altro soggetto, il quale, in tal modo, acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dal contratto[2].

In caso di rappresentanza legale invece, i poteri del rappresentante sono stabiliti direttamente dalla legge e il titolo per il quale il rappresentante  spende il nome del rappresentato risiede nella legge stessa, per cui è inutile la spendita espressa del nome del rappresentato: è sufficiente che si sappia che chi agisce è il rappresentante legale del soggetto[3].

Il rappresentante, agendo nell’interesse e in nome del rappresentato, assume il ruolo di parte formale del contratto stipulato, essendo colui che formalmente partecipa all’atto, mentre la veste di parte sostanziale, ossia di destinatario degli effetti del contratto, è assunta dal rappresentato, effettivo titolare del negozio.

Presupposto affinché il contratto concluso dal rappresentante produca direttamente effetti nei confronti del rappresentato è che il rappresentante agisca in nome e per conto dell’interessato, entro i limiti dei poteri a lui conferiti dal rappresentato (art. 1388 c.c.). Peraltro, sia pure nei limiti dei poteri conferiti, il rappresentante può trattare con il terzo ed esprimere una volontà propria: e in tale circostanza risiede la distinzione con il nuncius, che, come anticipato, si limita semplicemente a trasmettere una volontà altrui.

3.2. Nella rappresentanza indiretta invece il rappresentante agisce nell’interesse ma non in nome del rappresentato. Pertanto lo stesso, pur agendo per conto altrui, spende il proprio nome e non quello di quest’ultimo. Ciò si riverbera sulla concreta imputazione degli effetti giuridici degli atti compiuti dal rappresentante: infatti, in tale caso, questi ultimi produrranno i loro effetti direttamente nella sua sfera giuridica. Effetti che saranno poi trasferiti, con un successivo negozio, nella sfera giuridica del rappresentato. In questo modo il rappresentato non diventa né parte sostanziale né parte formale del contratto concluso dal rappresentante. Ciò che rileva quindi nella rappresentanza indiretta é il rapporto interno tra quest’ultimo e il rappresentato, dal quale si ricava l’obbligo, per il primo, di trasferire, a favore del rappresentato, gli effetti giuridici sorti direttamente nella sua sfera giuridica con l’atto posto in essere.

4. La procura in generale. Rapporti tra procura e mandato

4.1. Con il termine procura si intende il negozio giuridico unilaterale per mezzo del quale il rappresentato conferisce ad un terzo il potere di agire in suo nome. Si pone dunque come atto di conferimento del potere di rappresentanza diretta.

Sotto il profilo funzionale, la procura serve ad attribuire la legittimazione ad agire per conto di altri e a far conoscere ai terzi che il delegato ha il potere di compiere atti giuridici in nome del delegante. La procura dunque riguarda il lato esterno, il rapporto tra il rappresentante e i terzi che devono essere messi in grado di conoscere se e quali poteri di rappresentanza abbia un soggetto[4].

Come rileva parte della dottrina[5], la procura risolve il problema della legittimazione del rappresentante nei confronti del terzo, attraverso la creazione di un potere di agire, ma non già di un dovere. Essa regola e disciplina la modalità esterna di esercizio di un potere. E in tale prospettiva il comportamento del rappresentante, nell’accogliere la procura, potrà indurre un legittimo affidamento nel dominus: si è in presenza cioè di un soggetto che ha indotto un’aspettativa. Se poi questi non compie ciò che prefigurava la procura, può essere ritenuto responsabile per la violazione dell’altrui affidamento. Sulla base di queste considerazioni si può dunque ritenere che il procuratore possa essere considerato tenuto ad agire, secondo un’aspettativa giuridica del dominus, senza peraltro, il fondamento tecnico di un obbligo specifico.

Dibattuta è la natura giuridica della procura. Per alcuni si tratterebbe di un atto recettizio, che produce i suoi effetti soltanto quando giunge a conoscenza del rappresentante o del terzo[6]. Altri invece negano la natura recettizia della procura, poiché la comunicazione non è un elemento essenziale ai fini della validità dell’atto e non risponde ad una esigenza di tutela del destinatario. Il carattere recettizio della procura è stato affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte[7].

La procura può essere generale o speciale: nel primo caso concerne tutti gli affari del rappresentante; nel secondo caso è concessa con riferimento a singoli atti giuridici. Inoltre può essere collettiva, se è conferita ad un unico soggetto da più rappresentanti per uno stesso affare o se un unico soggetto conferisce il potere rappresentativo a più persone. In tal caso, salva espressa disposizione, il potere rappresentativo si presume conferito disgiuntamente a ciascun rappresentante.

Sotto il profilo formale, la forma della procura deve essere quella che la legge prescrive per il contratto che il rappresentante deve concludere (art. 1392 c.c.).

Il potere di rappresentanza si estingue per cause attinenti sia alla procura, sia al rapporto interno di gestione tra rappresentante e rappresentato. Sono cause di estinzione della procura, tra le altre, la rinuncia del rappresentante, la revoca, la sopravvenuta incapacità, la morte o il fallimento del rappresentante o rappresentato. Le stesse sono opponibili al terzo solo se lo stesso le ha colposamente ignorate. Spetta al rappresentato l’onere di provare le circostanze che escludono l’affidamento del terzo.

Relativamente alla revoca della procura, vi è da rilevare che trattasi di un negozio unilaterale a forma libera, con cui il rappresentato priva di efficacia la procura conferita. La stessa è sempre possibile, trattandosi di atto unilaterale, salvo che il potere sia conferito anche (o esclusivamente) nell’interesse del rappresentante (cd. procurator in rem suam), ma la revoca e le modificazioni della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. Infatti essa è opponibile a questi ultimi solo se è stata adeguatamente pubblicata.

Il rappresentante è tenuto a restituire il documento dal quale risultano i suoi poteri, quando gli stessi sono cessati (art. 1397 c.c.). Ciò consente, almeno in astratto, di tutelare il rappresentato da eventuali abusi del rappresentante, il quale potrebbe proseguire nella gestione degli interessi anche dopo la cessazione dei suoi poteri[8].

4.2. Nella rappresentanza diretta sussistono solitamente due rapporti, l’uno avente rilevanza esterna, che trova la sua fonte nella procura, in virtù del quale, come anticipato, il rappresentante acquista la legittimazione a spendere il nome del rappresentato nei rapporti con i terzi, e uno interno, detto anche rapporto di gestione, in base al quale il rappresentante è tenuto a compiere un’attività giuridica nell’interesse del rappresentato. Tipico rapporto di gestione è il contratto di mandato, con il quale una parte (mandatario), si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto di un’altra (mandante). Due sono le tipologie di mandato: quella con rappresentanza e quella senza rappresentanza.

Nel mandato con rappresentanza il mandatario compie gli atti giuridici non solo nell’interesse ma anche in nome del mandante, in virtù della procura conferita al mandatario: pertanto gli effetti si producono direttamente e immediatamente in capo a costui (art. 1704 c.c.). In tale prospettiva occorre dar atto dei profili differenziali intercorrenti tra mandato e rappresentanza, che sono istituti strutturalmente e funzionalmente diversi: il primo è un contratto, destinato a produrre effetti solo tra le parti, e fa nascere in capo al mandatario l’obbligo di compiere atti giuridici per conto del mandante. La rappresentanza è invece un potere – potere di compiere atti che si ripercuotono nella sfera di un altro soggetto – e nasce (salvo quella legale) da un atto unilaterale, la procura, destinata a valere essenzialmente nei confronti dei terzi.  Come rileva parte della dottrina[9], “il mandato con rappresentanza nasce dalla giustapposizione di un contratto tra mandante e mandatario e di un atto unilaterale (la procura conferita dal mandante al mandatario)”.

Nel mandato senza rappresentanza invece, il mandatario agisce in nome proprio e per conto del mandante (art. 1705 c.c.): il rapporto giuridico si instaura esclusivamente tra il mandatario e il terzo. Quest’ultimo non ha alcun rapporto con il mandante, e gli atti produrranno i loro effetti solo in capo al mandatario, pur quando i terzi siano a conoscenza del mandato. Sarà poi il mandatario, in esecuzione dell’incarico, a ritrasferire in capo al mandante, con un successivo contratto, i diritti acquistati. Tale principio, in particolare, è applicato rigorosamente per gli acquisti di immobili e mobili registrati: in caso di inadempimento, il mandante dovrà chiedere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di ritrasferire il bene acquistato (art. 1706 c. 2 c.c.; 2932 c.c.)[10].

5. Abuso del potere rappresentativo: conflitto di interessi e contratto con sé stesso

5.1. Principio fondamentale in materia di rappresentanza è che il rappresentante deve esercitare il potere rappresentativo nell’interesse del rappresentato, ossia curando gli interessi di quest’ultimo. Questo non significa che la cura esclusiva dell’interesse di quest’ultimo sia un elemento essenziale della rappresentanza: è infatti consentito al rappresentante perseguire, accanto all’interesse del rappresentato, un interesse proprio o altrui, a condizione che non contrasti con quello facente capo a quest’ultimo. In tal caso il negozio concluso dal rappresentante non è annullabile, e il rappresentato dovrà subirne gli effetti.

Tuttavia, in base al principio desumibile dall’art. 1394 c.c., il contratto concluso dal rappresentante può essere annullato se è stato concluso in conflitto di interessi col rappresentato, qualora il conflitto fosse conosciuto o conoscibile dal terzo.

E’ configurabile un conflitto di interessi se il rappresentante conclude un contratto con il quale persegue un interesse proprio o di altro soggetto inconciliabile con l’interesse del rappresentato, tale per cui all’utilità conseguita dal rappresentante per sé o per il terzo corrisponde un danno per il rappresentato.

Per la valida configurazione di un conflitto di interessi non ha rilievo la circostanza che l’atto compiuto sia vantaggioso o svantaggioso per il rappresentato: è sufficiente che il rappresentante sia portatore di interessi (patrimoniali o non patrimoniali) inconciliabili con quelli del rappresentato.

Inoltre, in base all’art. 1395 c.c., è annullabile, su istanza del rappresentato, il “contratto con sé stesso”. Con tale espressione si fa riferimento al contratto con cui il rappresentante assume la posizione di parte sostanziale contrapposta a quella del rappresentato o in cui assume la rappresentanza delle parti contrapposte.

Presupposto per l’annullabilità del contratto con sé stesso è la violazione, da parte del rappresentante, del divieto di agire contro l’interesse del rappresentato. Il legislatore presume dunque l’esistenza di un conflitto di interessi. Per escludere l’annullabilità del contratto concluso il rappresentante non può limitarsi a provare l’inesistenza di un generico conflitto di interessi, ma deve dimostrare, alternativamente: i) l’esistenza di una specifica autorizzazione rilasciata dal rappresentato, che consenta al rappresentante di stipulare il negozio; ii) la predeterminazione, da parte del rappresentato, del contenuto del contratto. Come chiarito dalla Suprema Corte[11], l’autorizzazione del rappresentato e la predeterminazione del contenuto del contratto, pur essendo ipotesi alternative, “non escludono che l’autorizzazione, per escludere la possibilità di un conflitto e la conseguente annullabilità del contratto, possa essere accompagnata da una predeterminazione degli elementi negoziali sufficienti ad assicurare la tutela del rappresentato”. Più di recente il giudice di legittimità[12] ha ritenuto che in tema di annullabilità del contratto concluso dal rappresentante con sé stesso, l’autorizzazione data dal rappresentato al rappresentante a concludere il contratto con sé stesso in tanto può considerarsi idonea ad escludere la possibilità di un conflitto di interessi, e quindi l’annullabilità del contratto, in quanto sia accompagnata dalla “puntuale determinazione degli elementi negoziali sufficienti ad assicurare la tutela del rappresentato”. Ne consegue che, alla luce del principio enucleato dalla Suprema Corte, tale autorizzazione non è idonea quando risulti generica.

6. La rappresentanza senza potere e la responsabilità risarcitoria del falsus procurator

6.1. Come anticipato, è configurabile un abuso del potere rappresentativo quando il rappresentante impiega i suoi poteri in contrasto con gli interessi del rappresentato.

In generale, con l’espressione rappresentanza senza potere si indica la situazione in cui un soggetto pone in essere atti giuridici in nome e per conto di un altro soggetto senza che gli sia stato conferito alcun potere rappresentativo o eccedendo i limiti di quest’ultimo (nel caso in cui gli fosse stato validamente conferito). Pertanto, rappresentante senza potere, “falsus procurator”, è colui che contrae come rappresentante senza averne il potere, oppure superando i limiti dei poteri a lui conferiti. Nel primo caso si parla comunemente di difetto di potere, nel secondo di eccesso di potere (art. 1398 c.c.).

In particolare, ricorre il difetto di potere quando il falso rappresentante agisce sulla base di un atto di conferimento del potere rappresentativo invalido ab origine o divenuto inefficace per scadenza del termine o a seguito di revoca. Ricorre invece l’eccesso di potere quando il soggetto ha agito al di là dei poteri a lui validamente conferiti. Elemento che accomuna entrambe le ipotesi è che vi è un’attività svolta in nome e per conto di un altro soggetto senza il necessario potere rappresentativo.

Con riferimento al regime giuridico dell’atto compiuto dal falsus procurator, lo stesso va ravvisato nell’inefficacia, in quanto trattasi di un’attività che non può essere ricondotta alla sfera giuridico – patrimoniale del rappresentato.

In particolare l’inefficacia opera verso: i) il rappresentato, in quanto, non sussistendo il potere di rappresentanza in capo al falsus procurator, il suo nome è stato speso illegittimamente, con la conseguenza che il negozio rimane estraneo alla sua sfera giuridica; ii) il rappresentante, in quanto egli stipula il negozio in nome del rappresentato, senza assumere alcun impegno e senza compiere alcun atto dispositivo in nome proprio; iii) il terzo, perché gli effetti verso i terzi presuppongono l’operatività del contratto verso il rappresentato, non intendendo il terzo impegnarsi nei confronti del rappresentante.

L’inefficacia del negozio concluso dal falsus procurator non è rilevabile d’ufficio dal giudice, ma deve essere fatta valere dallo pseudo rappresentato. A colui che ha stipulato con lo pseudo rappresentante compete eventualmente il solo risarcimento del danno per aver confidato, senza sua colpa, nell’operatività del contratto.

6.2. Il contratto concluso dal falsus procurator comporta dunque l’obbligo, per quest’ultimo, di risarcire i danni cagionati al terzo che abbia confidato, senza colpa, nell’esistenza del potere di rappresentanza. La responsabilità dello pseudo rappresentante per i danni cagionati al terzo ha natura precontrattuale, e in tale prospettiva il risarcimento è limitato all’interesse negativo, ossia alle spese, alle occasioni perdute di stipulare un altro valido contratto.

Presupposti di tale responsabilità sono: i) la consapevolezza del soggetto di aver agito senza potere; ii) l’assenza di colpa da parte del terzo, il quale può, a norma dell’art. 1393 c.c., controllare l’esistenza e l’estensione dei poteri del rappresentante (art. 1393 c.c.); iii) la mancata ratifica, da parte del soggetto falsamente rappresentato, del contratto concluso dal falsus procurator. Sotto il profilo funzionale, la ratifica è l’atto mediante cui il soggetto falsamente rappresentato manifesta all’altro contraente la volontà di fare propri gli effetti del negozio concluso in suo nome dal falsus procurator. In attesa della ratifica il contratto è inefficace. Il terzo contraente però non se ne può liberare unilateralmente, occorrendo a riguardo un accordo con il falsus procurator. Il terzo può anche invitare il rappresentato a ratificare il contratto entro un certo termine, scaduto il quale costui non può più esercitare il potere di ratifica (art. 1399 c.4 c.c.). Trattasi di una facoltà attribuita al terzo contraente a tutela del suo interesse a far cessare la situazione di incertezza relativa all’efficacia del negozio.

Una volta intervenuta la ratifica, il contratto produce effetti fin dal momento in cui è stato concluso (art. 1399 c. 2 c.c.), ma non può operare in pregiudizio dei terzi, ossia di coloro che hanno acquistato, prima della ratifica, diritti incompatibili con il contratto.

7. Rappresentanza apparente

L’apparenza giuridica è configurabile allorquando una situazione giuridica inesistente appare esistente ad un soggetto a causa del comportamento di altro soggetto. Il principio dell’apparenza esprime una particolare forma di autoresponsabilità per il falso affidamento suscitato nei terzi.

La particolarità di tale istituto è che, sebbene venga in rilievo una situazione giuridica inesistente, quest’ultima può rilevare giuridicamente.

Anche se non espressamente previsto dalla legge, il fenomeno dell’apparenza giuridica imputabile è ormai una regola di diritto a tutti gli effetti.

La stessa può assumere due forme: i) quella dell’apparenza pura, caratterizzata dalla presenza di una situazione di fatto difforme da quella di diritto, nonché dall’errore scusabile della parte o del terzo che abbiano confidato nello schema apparente; ii) quella dell’apparenza colposa, contraddistinta, oltre che dalla presenza dei suindicati elementi, anche dalla colpa del soggetto contro cui l’apparenza è invocata.

Esaurite tali osservazioni preliminari, occorre domandarsi se tale istituto sia in un certo qual modo compatibile con la rappresentanza negoziale.

Al riguardo vi è da rilevare che secondo la Suprema Corte[13], l’apparenza giuridica non integra un istituto di carattere generale con connotazioni definite e precise ma, al contrario, opera nell’ambito dei singoli negozi giuridici secondo il vario grado di tolleranza di questi, in ordine alla prevalenza dello schema apparente su quello reale. In particolare, per quanto attiene alla rappresentanza negoziale, mentre é irrilevante l’apparenza di diritto pura, che non può mai prevalere sul mancato conferimento dei poteri rappresentativi, dovendosi in tal caso applicare la disciplina di cui all’art 1398 c.c. e 1399 c.c., può assumere invece rilievo l’apparenza colposa, nel caso in cui si accerti un malizioso o negligente comportamento del rappresentato apparente tale da fare presumere la volontà di conferire al procuratore i suddetti poteri. Anche questa ultima forma di apparenza, peraltro, deve ritenersi inoperante, nel caso in cui sia individuabile una colpa inescusabile nel soggetto che versi in errore. Colpa che sussiste sia qualora tale errore avrebbe potuto essere evitato mediante l’impiego della normale prudenza nella condotta degli affari, sia nella ipotesi in cui il conferimento dei poteri rappresentativi debba assumere la forma scritta ad substantiam.

Posta dunque la compatibilità dello schema dell’apparenza colposa con l’istituto della rappresentanza negoziale, si può definire rappresentante apparente colui che, in base a circostanze univoche, mostra di avere un potere rappresentativo di cui in realtà è privo. Chi non ha il potere di rappresentanza è qualificabile dunque come falso rappresentante, con rilevanti implicazioni in punto di regime giuridico degli eventuali atti compiuti.

Il rischio della falsa rappresentanza ricade di regola sul terzo poiché il presunto rappresentato non può sottostare agli effetti giuridici di un negozio che gli è estraneo. Il rimedio che la legge accorda al terzo in tal caso è, come già si è visto trattando del falsus procurator, quello del risarcimento dei danni nei confronti del falso rappresentante e precisamente dei danni subiti per aver confidato nell’efficacia del contratto. Il contratto concluso dal falso rappresentante è tuttavia efficace nei confronti del rappresentato se questi ha dato causa all’apparente legittimazione e il terzo abbia senza sua colpa confidato nella realtà di tale legittimazione. La situazione di apparenza creata o causata dall’apparente rappresentato deve essere tale da giustificare l’affidamento di una persona normalmente diligente. L’apparenza non rileva viceversa se il terzo conosceva o avrebbe dovuto conoscere con un comportamento normalmente diligente la situazione reale. L’apparenza non rileva inoltre quando la situazione reale sia stata resa conoscibile mediante l’osservanza degli oneri di pubblicità – notizia. Secondo il giudice di legittimità[14] il principio dell’apparenza del diritto può essere invocato con riguardo alla rappresentanza negoziale allorché, indipendentemente dalla richiesta di giustificazione dei poteri del rappresentante ex art. 1393 c.c., “non solo vi sia la buona fede del terzo che abbia concluso atti con il falso rappresentante, ma vi sia anche un comportamento colposo del rappresentato, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente”.

L’ipotesi più comune di procura apparente imputabile al rappresentato è quella della rappresentanza tollerata, riscontrabile quando il rappresentato, pur sapendo che il falso rappresentante agisce in nome di esso rappresentato, non interviene per far cessare detta ingerenza.

Ulteriore e ultimo profilo di indagine concerne il regime giuridico applicabile agli atti compiuti dal rappresentante apparente. Come anticipato in precedenza costui, qualificabile come falso rappresentante, sarà assoggettato alla disciplina applicabile a quest’ultimo. L’eventuale contratto da lui concluso pertanto è, nella generalità delle ipotesi, inefficace. E’ tuttavia efficace nei confronti del rappresentato se questi ha dato causa all’apparente legittimazione e il terzo abbia, senza sua colpa, confidato nella realtà di tale apparente legittimazione.


[1] Parte della dottrina inoltre riconduce all’istituto della rappresentanza la rappresentanza “organica”. Con tale termine si fa riferimento agli organi della persona giuridica, che hanno la funzione di manifestare la volontà dell’ente nei rapporti con i terzi.

[2] Come ha chiarito Cass. sent. n. 15235/2001, nella rappresentanza negoziale, l’esternazione del potere rappresentativo può avvenire anche senza espressa dichiarazione di spendita del nome del rappresentato, purché il comportamento del rappresentante sia tale, per univocità e concludenza, da portare a conoscenza dell’altro contraente la circostanza che egli agisce per un soggetto diverso, nella cui sfera giuridica gli effetti del contratto sono destinati a prodursi direttamente.

[3] Cass. sent. n. 4261/1974

[4] Tale precisazione consente di cogliere la ratio dell’art. 1393 c.c.: appunto perché il terzo contraente ha interesse a conoscere se chi si presenta come rappresentante di altri è effettivamente investito del necessario potere ed entro quali limiti, lo stesso ha diritto di esigere dal rappresentante la giustificazione dei suoi poteri e se la procura è conferita per atto scritto, di ottenerne copia.

[5] F. Alcaro, Diritto privato, Terza edizione, pag. 383 e ss.

[6] U. Natoli, Rappresentanza (dir. priv.), in Enc. Dir., XXXVIII, Milano, 1987, pag. 486

[7] Cass., sez. un. sent. n. 22234/2009

[8] Tuttavia questa tutela è facilmente aggirabile poiché, al rappresentante basta fare una copia dei documenti dai quali risultano i suoi poteri rappresentativi. Per questo il rappresentato, dopo aver ritirato i documenti, ha l’onere di rendere nota ai terzi l’estinzione della procura, con le modalità previste per la revoca.

[9] M. Paradiso, Corso di Istituzioni di Diritto Privato, Decima edizione, pag. 578

[10] Quando si tratti invece di beni mobili, esigenze di snellezza, hanno suggerito una deroga al principio: il mandante può direttamente rivendicare come propri, sia nei confronti del venditore, sia nei confronti del mandatario, i beni acquistati (salvo i diritti dei terzi derivanti dal possesso titolato). Il mandante dunque, potendo esercitare l’azione di rivendica che compete al proprietario, è considerato diretto acquirente dei beni, facendo così prevalere le esigenze pratiche sulla configurazione teorica. Del resto, a ulteriore tutela del mandante, è previsto altresì che, se dall’esecuzione del mandato deriva un credito, il mandante può senz’altro esercitarlo direttamente nei confronti del terzo debitore. E si tratta, in buona sostanza, di una estensione del tipo di tutela che sta alla base dell’azione surrogatoria.

[11] Cass. sent. n. 14982/2002

[12] Cass. sent. n. 4143/2012

[13] Sent. n. 7473/2013

[14] Cass. sent. n. 15645/2017

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