La decadenza nel diritto civile

in Giuricivile, 2019, 7 (ISSN 2532-201X)

Un istituto affine alla prescrizione è la decadenza. L’affinità è tale che, nel codice del 1865, non esisteva una disciplina della decadenza e l’esistenza di un’effettiva differenza fra i due istituti era discussa[1].

Disciplina e differenza tra prescrizione e decadenza

Se il decorso dei termini di prescrizione comporta l’estinzione del diritto o la presunzione relativa del suo soddisfacimento, la fissazione di termini di decadenza è finalizzata ad evitare l’eccessiva pendenza nel tempo dei rapporti giuridici, costringendo il creditore che intenda far valere il proprio diritto ad attivarsi entro un tempo determinato, che non è nemmeno soggetto a cause di interruzione o di sospensione come può invece accadere alla prescrizione[2]. Peraltro, se la regola dell’impossibilità di applicare l’interruzione alla decadenza è assoluta, non altrettanto può dirsi per la sospensione[3]: per esempio, a seguito della sostituzione dell’art. 245 c.c. da parte dell’art. 19 del d.lgs. 154/2013, è prevista la sospensione del termine entro cui va esercitata l’azione di disconoscimento di paternità, tradizionalmente considerato di decadenza e non di prescrizione, resta sospeso finché permane lo stato di interdizione o di abituale grave infermità di mente della parte interessata a promuovere l’azione. Parte della dottrina[4] spiega tale sottrazione a interruzione e sospensione affermando che nella prescrizione si ha riguardo principalmente all’inazione del titolare del diritto, mentre nella decadenza prevale il fatto obiettivo del mancato esercizio del diritto entro un certo termine, a prescindere dallo stato soggettivo del titolare del diritto. Di conseguenza, se il diritto colpito da prescrizione può essere in taluni casi opposto in via di eccezione, non così il diritto colpito da decadenza[5].

Le condizioni personali della persona onerata sono dunque di regola ininfluenti sulla decorrenza del termine[6]: tuttavia, la Corte Costituzionale tende ad escludere il decorso del termine decadenziale a carico di chi non sia in grado di conoscere il fatto che ne determina l’inizio[7].

Contrariamente alla prescrizione, poi, le parti possono stabilire convenzionalmente dei termini di decadenza, ma il patto è nullo se il termine concordato rende eccessivamente difficile ad una delle parti l’esercizio del diritto (art. 2965 c.c.)[8], con una valutazione da effettuarsi caso per caso[9], con un criterio secondo alcuni oggettivo, che prescinda dalla mala fede, dolo o colpa della parte che approfitti della decadenza e dell’errore dell’altra, secondo altri, invece, temperato dalla valutazione della particolare situazione in cui si sia trovato il soggetto obbligato a svolgere una certa attività per evitare la decadenza, ad esempio in relazione alle condizioni di salute[10].

Il termine può essere fissato in un contratto o addirittura con testamento o altri atti unilaterali[11]: di conseguenza, se la finalità della prescrizione è sempre di interesse pubblico, la decadenza può essere d’interesse pubblico come d’interesse privato[12].

Anche il giudice può fissare dei termini di decadenza quando una parte deve effettuare una certa dichiarazione o compiere un certo atto[13].

Si può evitare di incorrere nella decadenza soltanto esercitando puntualmente e ritualmente il diritto oppure per effetto del riconoscimento compiuto prima della scadenza del termine dal soggetto contro il quale il medesimo diritto può essere fatto valere (art. 2966 c.c.)[14].

Nell’ambito della categoria degli atti impeditivi vanno distinti i casi in cui è rilevante la volontà del soggetto e quelli in cui essa è irrilevante, per cui solo nei primi è necessario indagare sui motivi che abbiano ostacolato o reso impossibile il compimento del fatto impeditivo[15].

In materia di decadenza vale il principio di tipicità degli atti. Di conseguenza, gli atti impeditivi devono essere quelli indicati dalla legge e avere i requisiti dalla stessa prevista per produrre il relativo effetto. Pur non essendo necessario l’uso di formule sacramentali, occorre che la volontà di compiere lo specifico atto impeditivo sia manifestata inequivocabilmente[16].

E’ discusso se siano ammissibili atti equivalenti dell’atto impeditivo tipico. Anche coloro che negano tale possibilità per il diritto processuale e per il diritto amministrativo, tendono ad ammetterla nel diritto civile qualora nell’atto impeditivo si ravvisi l’esercizio di un diritto soggettivo, come accade, ad esempio, nel caso di richiesta di pagamento parziale effettuata dal creditore ex art. 1181 c.c., che vale a impedire la decadenza e a far sì che il creditore possa chiedere il pagamento del residuo senza essere assoggettato a termine di decadenza[17].

E’ altresì controverso in dottrina e giurisprudenza se, qualora l’atto da compiere consista in una domanda giudiziale, la decadenza possa essere impedita dalla domanda proposta tempestivamente ma divenuta successivamente inefficace per estinzione del processo: non si può fare riferimento all’art. 2945 c.c., che si riferisce all’efficacia interruttiva della prescrizione dell’atto introduttivo del processo estinto, poiché le norme sull’interruzione della prescrizione non si applicano alla decadenza. Fermo restando che il problema non si pone qualora la domanda giudiziale sia solo uno dei mezzi interruttivi della prescrizione, perché in tal caso essa ha valore di intimazione stragiudiziale, secondo una prima teoria, l’impedimento della decadenza è un effetto autonomo e immediatamente perfetto della domanda giudiziale, non richiedendo la legge che il giudizio venga, oltre che instaurato, portato a compimento; secondo un’altra tesi[18], invece, dal momento che l’estinzione del processo rende inefficaci gli atti compiuti (art. 310 c.p.c.), essa comporta il venir meno dell’efficacia della domanda in quanto tale. Questa seconda tesi, tuttavia, contrariamente a quanto affermano i suoi sostenitori, secondo i quali non vi sarebbe distinzione, ai fini dell’impedimento della decadenza, fra domanda nulla e domanda di un processo estinto, implica l’accettazione dell’idea che la domanda giudiziale costituisca un impedimento della decadenza sottoposto a condizione risolutiva e, dunque, che la differenza vi sia. Del resto, la stessa disciplina dal codice di procedura civile prevista per l’estinzione distingue fra effetti permanenti, che cessano con l’estinzione del processo, mentre gli effetti istantanei non possono essere eliminati dalla causa sopravvenuta: conseguentemente, deve ritenersi che la proposizione della domanda impedisca la decadenza salvando per sempre l’azione su cui opera la decadenza stessa[19].

Nel caso di diritti disponibili, l’effetto impeditivo della decadenza può derivare anche dal riconoscimento del diritto proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto, riconoscimento che può avvenire anche in forma tacita purché univocamente incompatibile con la volontà di avvalersi dell’eccezione di decadenza e addirittura successivamente alla scadenza del termine di decadenza stesso[20].

Una volta compiuto l’atto impeditivo, l’effetto impeditivo si produce e il diritto è soggetto al termine di prescrizione (art. 2967 c.c.), con decorrenza dal momento iniziale di esso, tenendo conto delle cause di sospensione e d’interruzione eventualmente verificatesi, che spesso coincidono con la causa di interruzione della decadenza[21].

Se le parti possono da un lato introdurre termini di decadenza convenzionali (in maniera chiara e univoca, prevalendo la tesi della non perentorietà del termine in caso di dubbio[22]), dall’altro non possono derogare alla disciplina legale dei termini di decadenza né possono rinunciarvi se si tratta di diritti indisponibili (art. 2968 c.c.). Negli altri casi, invece, sarà consentito anche modificare i termini di decadenza previsti dalla legge o rinunciarvi, anche tacitamente[23].

Bisogna quindi verificare se gli artt. 2939 e 2940 c.c., il primo riferito all’opponibilità della prescrizione da parte dei terzi e il secondo relativo all’irripetibilità del pagamento del debito prescritto siano applicabili anche alla decadenza. Si ritiene che l’art. 2939 sia applicabile anche alla decadenza, ma si sottolinea che in certi casi la decisione se opporre o meno la decadenza è così personale da escludere nel terzo l’interesse ad opporla (ad esempio in materia di famiglia)[24].

Relativamente all’art. 2940, bisogna distinguere caso per caso, a seconda che debba ritenersi o meno ammissibile la rinuncia alla decadenza: se il debitore poteva rinunciare ad opporre al creditore la decadenza ma ha effettuato il pagamento, ciò dimostra che vi ha rinunciato e non può più ripetere il pagamento, mentre se la rinuncia non era consentita dalla legge il debitore che ha pagato indebitamente potrà agire per la ripetizione dell’indebito entro l’ordinario termine di prescrizione[25].

La decadenza non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, a meno che, trattandosi di diritti indisponibili, il giudice debba rilevare le cause d’improponibilità dell’azione (art. 2969 c.c.): tale norma viene giustificata affermando che, con la scadenza del termine, il diritto non è estinto ma solo paralizzato, per ragioni che solo le parti possono dedurre e sulle quali il giudice non ha alcun potere d’iniziativa[26]. Il giudice, viceversa, può intervenire a rilevare d’ufficio l’avvenuta decadenza solo se essa sia disposta per un interesse generale che trascenda quello del titolare del diritto soggetto alla decadenza stessa: si parla, in tal caso, di decadenza di ordine pubblico[27].

Esempi di tale tipo di decadenza sono quella prevista per l’esercizio del diritto alla prestazione previdenziale, quella per il disconoscimento di paternità, quella dell’espropriato dalla facoltà di opporsi alla stima dell’indennità per decorso del termine, quella per la proponibilità dell’istanza del contribuente per il rimborso dei versamenti diretti o dei tributi indebitamente versati e quella del diritto a pagare in misura ridotta una sanzione amministrativa[28].

Sono invece esempi di decadenza non rilevabile d’ufficio quella per la proposizione dell’azione di spoglio, quella per l’esercizio del diritto di prelazione da parte del coerede, quella per la richiesta da parte del coerede di rimozione delle opere fatte da un terzo con materiali propri, quella per la risoluzione della vendita per vizi della cosa vendita da parte del compratore, quelle previste in materia di appalto[29], quella per l’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore, quella per impugnare la rinuncia o la transazione avente ad oggetto diritti dell’affittuario di fondo rustico, quella stabilita nell’interesse esclusivo e a favore del contribuente[30].

Criteri discretivi di prescrizione e decadenza

Prescrizione e decadenza, pur così simili (tanto che gli stessi criteri discretivi introdotti in giurisprudenza appaiono generici[31]), hanno una disciplina sensibilmente diversa, ed è dunque opportuno stabilire se un termine sia di prescrizione e decadenza. Non sorgono particolari problemi per i termini di prescrizione indicati dal codice civile fra gli artt. 2947-2952, né per i termini convenzionali, dal momento che i privati possono stabilire termini di decadenza ma non termini di prescrizione. Sono da considerarsi di decadenza anche tutti quei termini stabiliti dalla legge per il compimento di atti diversi dal vero e proprio esercizio del diritto (come denunce, riserve, avvisi e protesti)[32].

Negli altri casi, bisogna considerare, in primo luogo, il dato letterale, per cui si parlerà di prescrizione se la norma utilizza il verbo “prescrivere”, mentre negli altri casi si parlerà di decadenza. Tale criterio non è però dirimente, dato che la terminologia, specie nella legislazione speciale, non è sempre uniforme, per cui bisognerà tenere conto anche:

  • della finalità della norma, legata alla necessità del compimento in tempi rapidi di determinati atti (criterio teleologico-sostanziale);
  • del fatto che il decorso determini impedisca l’acquisto nella decadenza ed estingua in diritto nella prescrizione (criterio teleologico-formale);
  • del fatto che il decorso del termine comporti l’estinzione di un potere nella decadenza e di un diritto nella prescrizione;
  • del fatto che la decadenza operi come preclusione nel processo mentre la prescrizione sia causa di estinzione di un diritto completo;
  • della durata del termine (essendo la brevità del termine una caratteristica del termine di decadenza) e del carattere eccezionale del diritto[33].

Esempi codicistici di decadenza

Nel codice civile sono previsti molteplici termini di decadenza:

  • un anno per la restituzione dei doni e il risarcimento dei danni in caso di rottura della promessa di matrimonio (artt. 80 e 81 c.c.);
  • un anno dal raggiungimento dell’età matrimoniale per impugnare il matrimonio contratto da chi non aveva il requisito di età (art. 117, 2° co., c.c.);
  • un anno dall’inizio della coabitazione per impugnare il matrimonio dell’interdetto per infermità di mente o dell’incapace di intendere e di volere (art. 119, 2° co., e 120, 2° co., c.c.);
  • un anno dall’inizio della coabitazione per impugnare il matrimonio per violenza o errore (art. 122, 4° co., c.c.);
  • un anno per impugnare il matrimonio simulato (art. 123, 2° co., c.c.);
  • sei mesi dalla nascita del figlio o dalla conoscenza dell’impotentia generandi del marito per l’azione di disconoscimento della paternità da parte della madre (art. 244, 1° co., c.c.);
  • un anno dal giorno della nascita o dalla conoscenza della propria impotentia generandi o dell’adulterio della moglie o dal ritorno nella residenza familiare per l’azione di disconoscimento della paternità da parte del padre (art. 244, 2° e 3° co., c.c.);
  • un anno dal giorno dell’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita o dal giorno della conoscenza dell’impotentia generandi del padre per l’impugnazione del riconoscimento del figlio per difetto di veridicità (e comunque cinque anni dall’annotazione del riconoscimento) o dalla revoca dell’interdizione dell’autore del riconoscimento (art. 263, 3° co., e 266 c.c.);
  • trenta giorni per il reclamo di creditori e legatari contro lo stato di graduazione formato dall’erede nella procedura di liquidazione dell’eredità beneficiata (art. 501 c.c.);
  • un mese per il rilascio dei beni ai creditori e legatari da parte dell’erede con beneficio d’inventario (art. 507 c.c.);
  • tre mesi per la separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede (art. 516 c.c.);
  • un anno per la domanda di revocazione della donazione per ingratitudine (art. 802 c.c.);
  • cinque anni per la domanda di revocazione della donazione per sopravvenienza di figli (art. 804 c.c.);
  • due giorni per inseguire il proprio sciame d’api sul fondo altrui (art. 924 c.c.)
  • venti giorni per reclamare i propri animali mansuefatti sfuggiti alla custodia (art. 925 c.c.);
  • un anno per reclamare la propria cosa smarrita (art. 929 c.c.);
  • sei mesi per rivendicare i propri materiali utilizzati da altri in costruzioni, piantagioni o altre opere o per chiederne la rimozione dal proprio fondo (artt. 935, 936 e 937 c.c.);
  • tre mesi per fare opposizione alla costruzione all’occupazione parziale in buona fede del proprio fondo da parte di un terzo (art. 938);
  • trenta giorni per impugnare il regolamento della comunione e le deliberazioni della maggioranza dei comunisti o dei condomini (artt. 1107, 1109 e 1137 c.c.);
  • un anno per le azioni di reintegrazione e di manutenzione nel possesso (artt. 1168 e 1170);
  • otto giorni per la denuncia al venditore da parte del compratore dei vizi della cosa venduta (art. 1495 c.c.);
  • sessanta giorni per la denuncia all’appaltatore da parte del committente dei vizi dell’opera (art. 1667 c.c.);
  • un anno per la denuncia all’appaltatore da parte del committente della rovina e dei difetti di cose immobili (art. 1669 c.c.)[34];
  • otto giorni per la denuncia al vettore della perdita parziale o dell’avaria delle cose trasportate(art. 1698 c.c.);
  • dieci giorni per notificare l’opposizione alla restituzione della cosa depositata al depositante in caso di reato (art. 1778 c.c.);
  • tre mesi per la dichiarazione dell’assicurazione all’assicurato di voler impugnare il contratto di assicurazione per dichiarazioni inesatte o reticenze con dolo o colpa grave (art. 1892 c.c.);
  • tre mesi per il recesso dal contratto da parte dell’assicuratore  nei medesimi casi (art. 1893 c.c.);
  • tre giorni per l’avviso all’assicuratore da parte dell’assicurato dell’avvenuto sinistro (art. 1913 c.c.);
  • sei mesi o due mesi per la proposizione dell’azione del creditore contro il debitore perché il fideiussore resti obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale (art. 1957 c.c.).

Ulteriori e numerose decadenze sono previste in materia di lavoro e società.


[1]     Azzariti – Scarpello, cit., 344

[2]     Azzariti – Scarpello, cit., 345; Bruscuglia, cit., 1224; Leban, cit. 733

[3]     Azzariti – Scarpello, cit., 350

[4]     Azzariti – Scarpello, cit., 345

[5]     Azzariti – Scarpello, cit., 351; Leban, cit., 733 s.

[6]     Leban, cit. 739

[7]     Leban, cit. 737

[8]     Azzariti – Scarpello, cit., 346; Bruscuglia, cit., 1224

[9]     Azzariti – Scarpello, cit., 353

[10]   Leban, cit. 743 s.

[11]   Azzariti – Scarpello, cit., 353; Leban, cit. 743

[12]   Azzariti – Scarpello, cit., 346

[13]   Azzariti – Scarpello, 352 s.; Bruscuglia, cit., 1224 s.

[14]   Azzariti – Scarpello, cit., 354; Bruscuglia, cit., 1225

[15]   Leban, cit. 749 s.

[16]   Leban, cit. 751

[17]   Leban, cit. 751 s.. Contra, A. Zoppini, Commento all’art. 2966, in Rescigno, cit., 3758

[18]   Leban, cit. 752 s.

[19]   Azzariti – Scarpello, cit., 354 ss.; Zoppini, Commento all’art. 2966, cit., 3758

[20]   Leban, cit. 753 s.; Zoppini, ultimo cit., 3758 s.

[21]   Azzariti – Scarpello, cit., 357 s.

[22]   Leban, cit. 758 s.

[23]   Azzariti – Scarpello, cit., 358 s.; Leban, cit. 759 s.

[24]   Azzariti – Scarpello, cit., 359

[25]   Azzariti – Scarpello, cit., 359 s.

[26]   Leban, cit. 764

[27]   Leban, cit. 765

[28]   Leban, cit. 765 s.

[29]   D. Tessera, Appalto: decadenza e prescrizione nelle azioni di responsabilità, in Resp. civ. prev., 2014, 416B ss.

[30]   Leban, cit. 767 s.; A. Zoppini, Commento all’art. 2969, in Rescigno, cit., 3760

[31]   Leban, cit. 735

[32]   Azzariti – Scarpello, cit., 346 s.; A. Zoppini, Commento all’art. 2965, in Rescigno, cit., 3757

[33]   Azzariti – Scarpello, cit., 347; Leban, cit. 734 ss.; A. Zoppini, Commento all’art. 2964, in Rescigno, cit., 3756

[34]   Sulle azioni in materia di appalto, cfr. Tessera, cit., 416B ss.

Magistrato ordinario in tirocinio presso il Tribunale di Genova, ha conseguito il Diploma di Perfezionamento in Persona e Tutele Giuridiche presso la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa nel 2013. E' stato avvocato dal 2013 al 2019, docente di diritto privato presso l'Università di Tolone dal 2013 al 2015, professore a contratto di diritto civile presso l'Università degli Studi di Genova nel 2017 e nel 2019 e collaboratore in diritto della famiglia comparato presso la medesima università nel 2018. Ha pubblicato, fra l’altro, L’Europa e la responsabilità dello Stato (Ennepilibri 2010), Problematiche dell’adozione internazionale: l’affaire “Arche de Zoé” (Aletti 2010), La responsabilità aquiliana nelle relazioni personali tra familiari (La Riflessione 2010), L’ascolto del minore (Aletti 2011), Doveri genitoriali potestà e responsabilità civile (Invictus 2013) e Pareri e Atti di Diritto Civile (Primiceri 2016).

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