La comproprietà della casa coniugale non incide sulla misura dell’assegno divorzile

Con l’ordinanza n. 8158 del 22 aprile 2016, la sesta sezione della Corte di Cassazione ha chiarito, in ordine alla determinazione giudiziale dell’assegno divorzile, se la comproprietà della casa coniugale incida sulla misura dell’assegno.

Come è noto, l’art. 5, co 6 della L. n. 898 del 1 dicembre del 1970 stabilisce i presupposti su cui accertare la sussistenza del diritto all’assegno divorzile, nonché i criteri incidenti sulla quantificazione dell’assegno stesso. In dettaglio, l’assegno divorzile deve essere corrisposto al coniuge che, al tempo della pronuncia di cessazione degli effetti civili, non dispone di mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.

Sul punto, un costante orientamento giurisprudenziale ha statuito che la valutazione di adeguatezza dei mezzi deve essere operata con riferimento al tenore di vita effettivamente goduto dal beneficiario dell’assegno in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in ipotesi di continuazione dello stesso, o che, legittimamente, poteva fondarsi su aspettative maturate nel corso del rapporto coniugale, fissate al momento del divorzio. Ai fini di tale accertamento, il tenore di vita precedente è desunto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali (Cass. n. 4764/2007).

Quanto alla misura dell’assegno divorzile, il giudice deve tenere conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.

A tale riguardo, un consolidato orientamento giurisprudenziale ha affermato il principio di diritto secondo cui il concetto di reddito è determinato tenuto conto dell’intera consistenza patrimoniale di ciascun coniuge, ricomprendendo al suo interno non solo i redditi in denaro, ma anche le utilità suscettibili di valutazione economica (Cass. n. 223/2016; Cass. n. 26197/2010).

Ebbene, con l’ordinanza in commento la Suprema Corte, sotto il profilo della valutazione di disponibilità del coniuge di mezzi adeguati alla conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ha specificato il principio per il quale in ordine alla casa coniugale la comproprietà non è produttiva di alcun reddito. In altri termini, secondo la Corte di legittimità, la comproprietà della casa coniugale non incide sulla misura dell’assegno divorzile.

Sulla scorta di quanto sopra affermato, la Corte ha pertanto rigettato il ricorso e condannato la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Ciò chiarito, va detto che, l’affermazione di principio resa dalla Suprema Corte, appare, invero, condivisibile, atteso che l’eventuale computo della casa coniugale, ai fini della determinazione della quantificazione dell’assegno divorzile, nulla avrebbe aggiunto alla situazione economico-patrimoniale del coniuge beneficiario, considerato che, proprio in ragione del regime di comunione legale, l’eventuale computo della casa coniugale in comproprietà avrebbe inciso anche, e in egual misura, sul reddito del coniuge soccombente, tenuto conto della definizione che la giurisprudenza di legittimità ha fornito sul concetto di reddito.

Leggi la sentenza integrale: Corte di Cassazione, sez. VI civile, ordinanza n. 8158 del 22 aprile 2016

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