Con l’ordinanza n. 25529 del 18 dicembre 2015, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha richiesto l’intervento delle Sezioni Unite per risolvere la questione riguardante la procedibilità del giudizio di appello nel caso di mancato deposito dell’originale dell’atto di impugnazione, con la relazione di notificazione, al momento della costituzione in giudizio dell’appellante (cosiddetta iscrizione a ruolo “con velina”).
La questione vede contrapposte due diverse correnti di pensiero: per alcuni si tratta di una mera irregolarità formale dalla quale non derivava alcun pregiudizio ai diritti di parte appellata (Cass. n. 10903 del 2008 e Cass. n. 7776 del 2007). Secondo tale orientamento, è del tutto ininfluente, ai fini della procedibilità del giudizio di gravame, la circostanza che al momento della costituzione in giudizio l’appellante depositi soltanto una copia dell’atto di gravame, priva della relazione di notificazione.
Al contrario, v’è chi ritiene che “il deposito dell’atto di citazione in appello privo della notifica alla controparte, all’atto della costituzione nel giudizio, determina l’improcedibilità del gravame ex art. 348 c.p.c., essendo privo di effetti sananti l’eventuale deposito tardivo dell’atto notificato in prima udienza, oltre il termine perentorio stabilito dalla legge” (Cass. n. 18009 del 2008, cui si è conformata Cass. n. 10 del 2010).
A seguito di tale diverso indirizzo giurisprudenziale, è stato peraltro nuovamente ribadito l’orientamento inaugurato da Cass. n. 23027 del 2004, secondo cui il deposito, al momento della costituzione in giudizio dell’appellante, di una copia dell’atto di appello notificato – e non dell’originale (depositato dopo la scadenza del termine prescritto per la costituzione) non comporta la sanzione dell’improcedibilità del gravame, in quanto “non determina la nullità della costituzione stessa, ma integra una mera irregolarità rispetto alle modalità stabilite dalla legge”. A sostegno di tale affermazione, si aggiunge inoltre che a tale violazione non conseguirebbe alcuna lesione dei diritti della controparte poichè il contraddittorio si stabilisce con la notifica della citazione: tale fattispecie non è dunque riconducibile all’ipotesi di mancata tempestiva costituzione dell’appellante, prevista tra quelle – tassative – che determinano l’improcedibilità a norma dell’art. 348 c.p.c. nel testo novellato dalla legge n. 353 del 1990.
Sussiste inoltre un ulteriore interrogativo in ordine al termine entro cui deve comunque avvenire il deposito dell’atto in originale, per sanare la nullità della costituzione in giudizio avvenuta con la “velina”: alcuni l’hanno individuato nella prima udienza di trattazione; in altre pronunce di legittimità, invece, nessun limite temporale è stato posto, essendosi deciso che la nullità può essere sanata “successivamente” nel corso del giudizio di appello (v., tra le altre, Cass. n. 17666 del 2009, n. 13208 del 2014, n. 26437 del 2014).
Di conseguenza, anche a ritenere superati gli arresti di Cassazione n. 18009 del 2008 e n. 10 del 2010, la Corte di legittimità ha ritenuto opportuno richiedere il seguente intervento chiarificatore delle Sezioni Unite in ordine alle conseguenze dell’iscrizione a ruolo “con velina” delle cause di appello: se comporti di per sé l’improcedibilità del giudizio di gravame, oppure dia luogo a una nullità sanabile; in questa seconda ipotesi, se per evitare l’improcedibilità il deposito dell’originale dell’atto di impugnazione debba necessariamente avvenire entro la prima udienza, oppure possa essere utilmente effettuato nel prosieguo del giudizio, oppure ancora se sia già di per sé sufficiente (ipotesi che in giurisprudenza non risulta essere stata prospettata) la costituzione stessa in giudizio dell’appellato, in quanto dimostrativa dell’avvenuto raggiungimento dello scopo dell’atto.
Si attende, pertanto, la pronuncia delle Sezioni Unite sul punto.