Indennizzo per le vittime di reati violenti: rinvio alla CGUE

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25872 del 2024, ha sollevato una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in merito all’applicazione della direttiva 2004/80/CE, che disciplina l’indennizzo per le vittime di reati intenzionali violenti. Il caso specifico pone un interrogativo centrale: la normativa italiana che limita l’indennizzo ai soli familiari conviventi della vittima è compatibile con il diritto dell’Unione Europea?

Corte di Cassazione- Sez. III Civ.- ord. n. 25872 del 27-09-2024

Chi ha diritto all’indennizzo secondo la normativa europea?

Il nucleo della controversia riguarda l’interpretazione della direttiva 2004/80/CE, che impone agli Stati membri di garantire un sistema di indennizzo per le vittime di reati violenti. In particolare, l’art. 12, par. 2 della direttiva richiede agli Stati di assicurare un risarcimento adeguato ed equo non solo alla vittima diretta del reato, ma anche ai familiari che abbiano subito un danno in conseguenza della morte della persona offesa.

La Corte di Cassazione si interroga su un punto fondamentale: la legge italiana che limita l’indennizzo ai coniugi, figli e, in loro mancanza, ai genitori della vittima, escludendo fratelli, sorelle, nonni o zii, è conforme alla direttiva europea? La normativa italiana richiede, peraltro, che questi familiari siano conviventi e a carico della vittima per poter beneficiare dell’indennizzo.

Il caso concreto

Il caso nasce dal drammatico omicidio di una madre e di sua figlia, uccise nel 2009 dal padre della bambina.  Dopo la condanna penale, l’incapacità economica del padre di risarcire i danni subiti dalle famiglie delle vittime ha spinto i congiunti a chiedere un indennizzo allo Stato italiano, ai sensi della direttiva europea.

La Corte d’Appello di Venezia ha dato ragione ai familiari delle vittime, stabilendo che lo Stato fosse responsabile per la mancata attuazione tempestiva della direttiva. La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la direttiva non imponga un risarcimento per i familiari “collaterali” (come fratelli, zii o nonni), e che l’indennizzo sia una misura solidaristica da riservare ai parenti più stretti.

L’interpretazione del concetto di “vittima” secondo il diritto dell’Unione

Un aspetto importante della questione è l’interpretazione del concetto di “vittima” nel contesto della direttiva 2004/80/CE. Secondo la difesa della Presidenza del Consiglio, il termine “vittima” dovrebbe riferirsi unicamente alla persona direttamente offesa dal reato, escludendo quindi i familiari collaterali. Tuttavia, la direttiva 2012/29/UE, che disciplina i diritti delle vittime di reato, definisce “vittima” anche il familiare che abbia subito un danno in conseguenza della morte della persona offesa.

La CGUE, nella sua giurisprudenza, ha già esteso l’interpretazione della direttiva 2004/80/CE, stabilendo che non si limita alle sole situazioni transfrontaliere (come inizialmente sostenuto dai tribunali italiani), ma deve applicarsi anche all’interno dello stesso Stato membro, come nel caso di un reato commesso in Italia ai danni di cittadini italiani.

La questione posta dalla Corte di Cassazione alla CGUE riguarda la legittimità della limitazione prevista dalla legge italiana, che condiziona l’indennizzo solo a determinati familiari stretti. La Suprema Corte chiede alla CGUE di chiarire se il diritto dell’Unione imponga l’obbligo di risarcire tutti i familiari che abbiano subito un danno emotivo a causa dell’omicidio, o se sia conforme restringere il diritto all’indennizzo a determinate categorie di parenti.

La necessità di un rinvio pregiudiziale

La Corte di Cassazione ha sospeso il procedimento nazionale per sottoporre alla Corte di Giustizia una questione interpretativa determinante. Se la CGUE dovesse affermare che la direttiva europea impone agli Stati di risarcire tutti i familiari di una vittima di omicidio, senza ulteriori restrizioni basate su legami di convivenza o dipendenza economica, la normativa italiana potrebbe risultare in contrasto con il diritto dell’Unione.

D’altro canto, se la CGUE riconoscesse agli Stati membri una certa discrezionalità nel definire i criteri per l’accesso all’indennizzo, la limitazione imposta dalla legge italiana potrebbe essere considerata legittima.

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