Con la sentenza n. 18748 del 23 settembre 2016, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito, in materia di locazione ad uso diverso da quello abitativo, se deve essere riconosciuta l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale anche ai negozi interni o complementari a centri commerciali.
Il caso in esame
Nel caso in esame, il giudice di primo grado accoglieva la domanda di sfratto per finita locazione in relazione ad un immobile ad uso diverso collocato all’interno di un centro commerciale, negando tuttavia al conduttore la pretesa concernente il pagamento dell’indennità per la perdita dell’avviamento. La Corte di Appello riformava tuttavia tale pronuncia, condannando al versamento di una somma corrispondente a diciotto mensilità del canone a carico dell’impresa locatrice.
Quest’ultima ricorreva dunque in Cassazione rilevando la falsa applicazione dell’art. 35 1. n. 392/78 e ritenendo non dovuta l’indennità nel caso di specie trattandosi di “avviamento parassitario”, dal momento che “la clientela non è un prodotto dell’attività del conduttore, ma è un riflesso della peculiare collocazione dell’immobile in un complesso più ampio i cui utenti garantiscono un flusso stabile di domanda“.
L’indennità di avviamento e l’avviamento parassitario
Come noto, l’art. 34 l. n. 392/78 riconosce un’indennità di avviamento al conduttore con l’intento di “ripristinare l’equilibrio economico e sociale turbato” per effetto della cessazione della locazione, compensando il conduttore della utilità perduta ed evitando che il locatore si avvantaggi dell’incremento di valore acquisito dall’immobile per effetto dell’attività svolta nei locali oggetto del contratto di locazione da parte del conduttore.
Altrettanto noto è il successivo art. 35, il quale prevede un’esclusione in caso di avviamento parassitario, laddove “l’avviamento non sia frutto della attività del conduttore, perché il locale, per la sua posizione, gode dell’avviamento di altri locali ai quali esso è complementare o partecipante”. Nella disposizione in esame, il legislatore ha inoltre elencato alcune strutture (stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, arze di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici) in cui debba considerarsi escluso un avviamento “proprio” degli immobili ad esse “complementari o interni”, giacché dipendente dalla capacità attrattiva dell’attività in essi svolta.
L’art. 35 L. n. 392/78 è applicabile anche ai negozi dei centri commerciali?
A tal riguardo, considerato che l’art. 35 L. n. 392/78 non contempla l’ipotesi del negozio interno o complementare ad un centro commerciale, la Corte di legittimità ha inteso chiarire se il locale complementare o interno al Centro sia idoneo a produrre un avviamento “proprio”, quale effetto diretto dell’attività in essa svolta dal conduttore.
Ebbene, secondo la Cassazione, i centri commerciali assumono una funzione attrattiva di clientela che costituisce il risultato del richiamo operato dalle singole attività che vi hanno sede, in una sorta di sinergia reciproca. In una situazione siffatta, non è di norma possibile distinguere un avviamento “proprio” del centro che non sia anche “proprio” di ciascuna attività in esso svolta (sempre che ovviamente la stessa comporti contatti col pubblico degli utenti e dei consumatori e non abbia natura professionale o carattere transitorio).
Ne consegue che anche in relazione ai contratti di locazione relativi ad immobili interni o complementari a centri commerciali deve essere riconosciuta l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale laddove ricorrano le condizioni di cui all’art. 34 l. n. 392/78.
La Suprema Corte ha peraltro precisato che non vale ad escludere l’avviamento dei singoli negozi interni o complementari la circostanza che le modalità di afflusso della clientela siano regolate dal Centro (quanto all’individuazione dei giorni e dell’orario di apertura o guanto alla gestione delle operazioni materiali di apertura dei cancelli e di controllo degli accessi): ciò che rileva è infatti la capacità di attrazione della clientela, che dipende – come per ogni “zona commerciale” – dal complesso delle attività che vi sono insediate.
In conclusione, la Corte ha quindi rigettato il ricorso dell’impresa locatrice, con compensazione delle spese di lite.