Inammissibile la costituzione coattiva di una servitù di passaggio di tubi per la fornitura di gas metano

Con la sentenza n. 11563 del 6 giugno 2016, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha dichiarato che, in tema di servitù, non è ammissibile la costituzione coattiva ex art. 1033 c.c. di una servitù di passaggio di tubi per la fornitura di gas metano.

In primo luogo, la Corte ha chiarito la distinzione tra le servitù volontarie e quelle coattive: a differenza delle servitù volontarie, che possono avere ad oggetto una qualsiasi utilitas, purchè ricavata da un fondo a vantaggio di un altro fondo appartenente a diverso proprietario, le servitù prediali coattive formano un “numerus clausus, sono cioè tipiche, predeterminate dalla legge, sicché non sono ammissibili altri tipi al di fuori di quelli espressamente previsti.

Alla luce di tale precisazione, deve escludersi un’applicazione estensiva dell’art. 1033 c.c. in tema di servitù di acquedotto coattivo e, di conseguenza, non può che ritenersi inammissibile la costituzione coattiva di una servitù di passaggio di tubi per la fornitura di gas metano: le due situazioni non sono infatti assimilabili, sia per questioni oggettive e funzionali, sia per la particolare pericolosità insita nell’attraversamento sotto terra delle forniture del gas, non ricorrente nella servitù d’acquedotto.

Ricorda peraltro la Suprema Corte che anche la Corte Costituzionale, rigettando la questione di legittimità dell’art. 1033 c.c., ha negato la possibilità di costituire coattivamente la servitù di metanodotto: solo il legislatore potrebbe infatti introdurre un modello coercitivo nella disciplina dei rapporti tra fondi vicini, atteso che una scelta di tal genere “non si presenta come costituzionalmente vincolata, a causa dell’esistenza di fonti di energia alternative, di modalità tecniche di approvvigionamento del gas metano diverso dal trasporto mediante condutture nonché della possibilità di giungere al medesimo risultato mediante atti di esercizio dell’autonomia privata“.

In conclusione, la Corte ha quindi rigettato il ricorso, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

(Corte di Cassazione, sez. II civile, sentenza n. 11563 del 6 giugno 2016)

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