Immigrazione, ordine pubblico e minori: il chiarimento delle Sezioni Unite

in Giuricivile, 2019, 11 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., SS. UU. civ., sent. n. 15750 del 12/06/2019

La “vexata questio” ruota attorno alla interpretazione della previsione normativa di cui all’art. 31, terzo comma, Testo Unico Immigrazione, propriamente rubricata “Disposizioni a favore dei minori” e disciplinante l’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza del familiare del minore in territorio italiano.

Nel dettaglio, la norma de qua statuisce espressamente che:

Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare,, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico”.

La seconda parte della previsione in commento[1] si sofferma sui casi di revoca dell’autorizzazione, venendo qui in rilievo il nodo interpretativo che ha richiesto una rimessione della questione alle Sezioni Unite ai fini di una risoluzione definitiva del caso.

Difatti, nella fattispecie in oggetto, la Prima Sezione si era espressa negando il rilascio all’autorizzazione all’ingresso del familiare del minore straniero per il ricorrere di comportamenti (del familiare medesimo) ritenuti incompatibili con il soggiorno nel territorio nazionale.

Nello specifico, si era discorso di condotte del familiare contrarie alle esigenze del minore o incompatibili con la permanenza in Italia in quanto soggetto con precedenti penali ritenuti ostativi al rilascio del provvedimento autorizzatorio e, dunque, considerati una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.

Conclusione, quest’ultima, cui i giudici erano giunti sull’assunto che l’art. 31, comma 3, testo unico immigrazione introducesse un duplice parametro. Uno di carattere interno, rappresentato dal valore/bene giuridicamente tutelato dalla norma (sviluppo psicofisico del minore, cui la norma attribuisce valore primario) ed uno di carattere esterno, dato dai comportamenti e/o attività del familiare incompatibili con la permanenza nel territorio nazionale (ordine pubblico e sicurezza nazionale).

Ebbene, ad avviso del Collegio rimettente il suesposto approdo interpretativo non trova alcun riscontro nella lettera della disposizione di cui all’art. 31, comma 3, del Testo Unico. Ciò per un triplice ordine di motivazioni.

In primo luogo, l’articolo non discorre di diniego bensì di revoca dell’autorizzazione quale sanzione da applicarsi in conseguenza del comportamento incompatibile del familiare del minore straniero.

In seconda battuta, si sottolinea che, a livello contenutistico, è la stessa norme a prevedere che l’autorizzazione possa essere rilasciata anche in deroga alle altre disposizioni presenti nel Testo unico. Ricomprendendovi, al riguardo, gli articoli 4, terzo comma, e 5, commi 5 d 5.bis, i quali precludono il rilascio del permesso di soggiorno in favore di soggetti con precedenti penali ostativi o che siano considerati una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.

Infine, il Collegio rimettente evidenzia come l’art. 31, comma 3, non sembri dare importanza ai precedenti penali del soggetto interessato, venendo in rilievo non la pericolosità bensì l’attività incompatibile con  la permanenza in territorio italiano.

Di guisa, verrebbe a porsi a fondamento della decisione sfavorevole (rectius: revoca) una valutazione concreta e reale – che tenga conto del  comportamento in atto e, dunque, vigente al momento della decisione – e non già di carattere prognostico.

Motivazioni, quelle sopra indicate, che, tuttavia, meglio possono essere comprese guardando tanto ai precedenti indirizzi giurisprudenziali quanto al complesso impianto normativo su cui regge la tematica in esame.

Uno sguardo ai pregressi orientamenti giurisprudenziali

Partiamo dall’analisi del quadro giurisprudenziale che negli anni è andato consolidandosi e che ha rappresentato un valido riferimento per le Sezioni Unite nella soluzione del quesito.

Orientamenti risalenti[2] hanno avuto modo di chiarire che l’art. 31, terzo comma, t.u. immigrazione risponda ad una precisa ratio: quella di chiusura del sistema di tutela dei minori stranieri. Più precisamente, a detta di tale orientamento, la norma in oggetto prevede una ipotesi derogatoria alla disciplina sull’ingresso e sul soggiorno dello straniero dettata dalle precedenti norme.

Deroga che, tuttavia, può operare sempre che via sia una rispondenza alla salvaguardia dell’interesse del minore che si trova in Italia in situazioni in cui l’allontanamento suo o di un suo familiare potrebbe arrecare pregiudizio alla sua integrità psicofisica.

Di qui la conclusione (secondo tale filone interpretativo) per cui la previsione mira all’attuazione di un “bilanciamento necessario ed equilibrato tra il rispetto della vita familiare del minore e l’interesse pubblico generale alla sicurezza del territorio e del controllo delle frontiere che richiede il rispetto delle norme operanti in tema di immigrazione ….”

La giurisprudenza successiva ha inteso recepire i suesposti principi focalizzando l’attenzione principalmente sui “gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore”, quale presupposto espressamente richiamato dall’art. 31, 3 comma, T.U. Immigrazione[3].

In particolare, si è proceduto ad una loro  reinterpretazione in un’ottica maggiormente ampia.

Difatti, la Cassazione ha, in più occasioni e a più riprese, ritenuto che la valutazione del pregiudizio conseguente ad un allontanamento dei genitori e ad uno sradicamento del bambino debba essere fondata su di “un giudizio di tipo prognostico che tenga conto di una serie di fattori e/o parametri di carattere soggettivo, oggettivo nonché ambientale, in quanto incidenti sullo sviluppo psicofisico del minore”[4].

Uno sguardo al quadro normativo

Passiamo all’impianto giuridico, la cui preminenza è data dall’intreccio di norme interne nonché di derivazione comunitaria.

Come già evidenziato più volte, la norma di riferimento è sicuramente rappresentata dall’art. 31, 3 comma, Testo Unico Immigrazione, il cui fine è la salvaguardia del diritto fondamentale del minore a vivere con i genitori.

La ratio iuris è facilmente deducibile: tutelare l’interesse primario del minore in situazioni ove l’allontanamento o il mancato ingresso di un suo familiare potrebbe pregiudicarne gravemente l’esistenza.

Medesima finalità è rinvenibile in ulteriori leggi ordinarie. Basti pensare alla Legge n. 184/1983[5] nonché alle norme civilistiche.

Volgendo lo sguardo all’ambito civilistico, un ruolo focale è sicuramente assunto da:

  • 337-ter c.c., il quale prevede che: “il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori e di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi”;
  • 28 – 33 Testo Unico Immigrazione riguardanti il diritto all’unità familiare e la tutela dei minori; in particolare, il terzo comma dell’art. 28 statuisce quanto segue: “In tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali finalizzati a dare attuazione al diritto all’unità familiare e riguardanti i minori, deve essere preso in considerazione con carattere di priorità il superiore interesse del fanciullo, conformemente a quanto previsto dall’articolo 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva ai sensi della Legge 27 maggio 1991, n. 176”.

Di qui la conclusione per cui è lo sviluppo psicofisico del minore a rappresentare, per il legislatore, il bene giuridico e/o valore superiore nonché ragione posta a fondamento del provvedimento autorizzatorio.

Infine, i diritti dei minori trovano un fondamento anche in ulteriori principi variamente consacrati dall’ordinamento.

Si pensi alle norme di derivazione costituzionale finanche ad arrivare alle previsioni di matrice sovranazionale ed internazionale

La Carta Costituzionale rappresenta un evidente punto di riferimento per la materia di cui si discute, venendo in rilievo, oltre all’art. 2 e all’art. 3, gli articoli 29, 30 e 31 Cost..

L’art. 29 Costituzione prescrive il riconoscimento dei diritti della famiglia come società naturale fondata sul ,matrimonio; l’art. 30 nel sancire l’obbligo per i genitori di provvedere all’educazione, mantenimento, istruzione dei figli statuisce un corrispondente diritto in capo ai figli, di pari contenuto e portata; infine, l’art. 3 invoca l’aiuto della Repubblica alla famiglia per l’adempimento dei relativi compiti, nonché la protezione della maternità, dell’infanzia e della gioventù.

A livello sovranazionale ed internazionale, invece, fungono da riferimento la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea nonché la Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo.

L’art. 8 della CEDU statuisce che: “Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare e che non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

Con riguardo alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea le previsioni normative da tenere in debita considerazione sono:

  • 7, il quale prevede il diritto di ogni persona al ripsetto della propria vita privata e familiare;
  • 24, il quale statuisce che i minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere; che in tutti gli atti relativi ai minori, compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente; che il minore ha diritto di intrattenere regolarmente reazioni personali e contatti diretti con entrambi i genitori, sempre che ciò con si ponga in conflitto con il suo interesse.

Infine, a completamento del quadro normativo di carattere sovranazionale, vi è la Convenzione di New York che in più disposizioni sottolinea la superiorità dell’interesse del fanciullo, in quanto avente un ruolo preminente nelle decisioni concernenti i minori (artt. 3, 9).

La soluzione offerta dalle Sezioni Unite

I giudici di legittimità nella risoluzione del dubbio interpretativo muovono dal dato normativo di cui all’art. 31, terzo comma, Testo Unico Immigrazione, il cui intento è di assicurare che il rilascio di un’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza del familiare non si risolva in un evento controproducente per il minore o intollerabile per le ragioni interne di ordine pubblico o per la sicurezza dello Stato.

Al riguardo, il Collegio si sofferma su diversi profili, partendo dalla rilevanza che può assumere, ai fini applicativi, il momento in cui si verifica l’attività del familiare del minore incompatibile con la permanenza in Italia.

In particolare, sostiene che la norma di cui all’art. 31, terzo comma, T.U. Imm. non consente di ritenere che le attività contrastanti con le esigenze del minore rilevino solo se sopravvenute e, dunque, solo in sede di revoca dell’autorizzazione già concessa.

Ne consegue che la norma de qua debba trovare applicazione anche in riferimento al momento della richiesta del provvedimento autorizzatorio da parte del familiare, in fase di rilascio dello stesso.

Di qui l’assunto secondo cui le condotte del familiare configgenti con le esigenze del minore dovranno condurre il giudice minorile a non concedere l’autorizzazione in caso di richiesta iniziale (e dunque ab origine) ovvero a revocarla in caso di condotte sopravvenute.

Ulteriore profilo attenzionato dagli Ermellini è rappresentato dal ruolo rivestito dai cc.dd. “parametri esterni” che il giudice minorile è tenuto a vagliare nonché dal rapporto che intercorre tra questi e il bene giuridico propriamente protetto dalla fattispecie normativa.

In proposito, i giudici sottolineano come trasudi dalla stessa norma la ratio sottesa alla norma: quella di attribuire rilevanza a canoni, quali l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale, nell’ottica di un temperamento tra la tutela di questi ultimi ed il benessere psicofisico del minore (incluso il diritto del minore al mantenimento dell’unità familiare).

Evidenzia, il Supremo Consesso, che con il comma 3 dell’art. 31 Testo Unico Immigrazione il legislatore ha teso perseguire “l’interesse del minore nel grado più elevato possibile, assicurandogli il godimento pieno del suo diritto fondamentale all’effettività della vita familiare e della relazione con i propri genitori, ma nel rispetto della basilare esigenza di protezione della criminalità del Paese  che offre accoglienza”.

Precisazione, quest’ultima, che conduce i giudici a volgere lo sguardo, ai fini risolutivi, verso le ipotesi derogatorie sancite dallo stesso art. 31 Testo Unico[6]. Difatti, la norma in questione statuisce che sia configurabile il rilascio dell’autorizzazione alla permanenza o all’ingresso del familiare come possibile “anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico”.

Deroghe che si traducono nell’impossibilità di negare il rilascio di un’autorizzazione ex art. 31, 3 comma, T.U. Imm. sulla base al solo rilievo di una condanna per dati reati. Ciò in ragione del fatto che una decisione comportante il distacco dal nucleo familiare non può trovare fondamento in un giudizio generalizzato e automaticamente rimesso ad una presunzione di pericolosità assoluta. Occorre, diversamente opinando, eseguire un esame circostanziato e concreto della situazione particolare in cui versano sia il minore che il familiare richiedente l’autorizzazione alla permanenza o all’ingresso per un dato periodo di tempo, nell’ottica di un equo bilanciamento tra entrambe le esigenze.

Si tratta, in sostanza, si un approdo esegetico fondato essenzialmente  sulla ricerca di un equilibrio tra interessi contrapposti, in linea, tra l’altro, coi principi elaborati da giurisprudenza costituzionale[7] e comunitaria[8].

Argomentazioni che hanno condotto le Sezioni Unite a valutare positivamente la posizione dello straniero, con conseguente accoglimento del ricorso, sull’assunto che il diniego non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che il Testo Unico considera ostativi all’ingresso o al soggiorno dello straniero.

Ancor più, il S.C., nell’enunciare il principio di diritto, precisa che: “una condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto della istanza di autorizzazione all’esito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l’interesse del minore, al quale la norma, in presenza di gravi motivi connessi con il suo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario, ma non assoluto”.


[1] Art. 31, comma 3, T. U. Immigrazione: “L’autorizzazione è revocato quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I provvedimenti sono comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare e al questore per gli adempimenti di rispettiva competenza”.

[2] Sezioni Unite, sentenza n. 21799/2010

[3] Cfr. Cass., Sez. I, 17 aprile 2019, n. 10785; Cass., Sez. VI-1, 29 gennaio 2016, n. 1824; Cass., Sez. VI.1, 5 marzo 2018, n. 5084; Cass. Sez. I, 21 febbraio 2018, n. 4197

[4] Si veda Cass., Sez. VI-1, 17 dicembre 2015, n. 25419 secondo cui, ai fini del giudizio prognostico, le conseguenze di un peggioramento delle condizioni di vita del minore con incidenza sul suo sviluppo psicofisico vanno valutate in base a: “radicamento della famiglia nel territorio nazionale, lo sforzo di inserimento nella società italiana e la problematicità dell’adattamento del minore alle condizioni di vita e alle usanze di un Paese straniero in caso di diniego dell’autorizzazione”. 

[5] Cfr. art. 1 Legge n. 184/1983 secondo cui il minore ha diritto a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia.

[6] Deroga che, in termini di operabilità, include gli artt. 4, comma 3, e 5, commi 5 e 5-bis, i quali ineriscono ai soggetti con precedenti penali ostativi al rilascio dell’autorizzazione o che siano considerati una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.

[7] Cfr. Corte Costituzionale sentenze nn. 148 del 2008 e 172 del 2012. Nello specifico, il Giudice delle Leggi statuisce che: “la condanna per determinati reati di uno straniero non appartenente all’Unione Europea può giustificare la previsione di un automatismo ostativo al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno, ma occorre pur sempre che una simile previsione possa considerarsi rispettosa di un bilanciamento, ragionevole e proporzionato ai sensi dell’art. 3       Cost., tra l’esigenza, da un lato, di tutelare l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato e di regolare i flussi migratori e, dall’altro, di salvaguardare i diritti dello straniero, riconosciutigli dalla Costituzione, perché la condizione giuridica dello straniero non deve essere considerata come causa inammissibile di trattamenti diversificati o peggiorativi”. Si veda, altresì, sentenza n. 2020 del 2013 con la quale è stata dichiarata: “l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 3, t.u. Imm. nella parte in cui prevedeva che la tutela rafforzata in essa prevista – che impone all’amministrazione di valutare in concreto la situazione dell’interessato, tenendo conto tanto della sua pericolosità per la sicurezza e l’ordine pubblico, quanto della durata del suo soggiorno e dei suoi legami familiari e sociali – si applichi solo allo straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o al familiare ricongiunto, e non anche allo straniero che abbia legami familiari nel territorio dello Stato”. Detto altrimenti, una delimitazione dell’ambito di applicazione della tutela rafforzata determina, a detta della Corrte Costituzionale, una: “irragionevole disparità di trattamento rispetto a chi, pur versando nelle condizioni sostanziali per ottenerlo, non abbia formulato istanza in tal senso”.

[8] Con riguardo alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti del’uomo, la Corte di Strasburgo ha sancito, in più occasioni, che la CEDU non garantisce allo straniero il diritto di entrare o risiedere in un dato Paese, sicchè gli Stati mantengono il potere di espellere gli stranieri condannati per reati puniti con pena detentiva. Dunque, allorquando nel Paese ove lo straniero intende soggiornare vivono i membri del suo nucleo familiare occorre bilanciare il diritto alla vita familiare del ricorrente e dei suoi parenti con il valore e/o bene giuridico della pubblica sicurezza e con l’esigenza di prevenire minacce all’ordine pubblico (Cfr. sentenza 2 novembre 2001, Boultif c. Svizzera;; sentenza della Grande Camera 18 ottobre 2006, Uner c. Paesi Bassi; sentenza 7 aprile 2009, Cherif e altri c. Italia; sentenza 4 dicembre 2012, Hamidovic c. Italia).

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