Con la sentenza n. 13087 del 24 giugno 2015, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito che il trasferimento immobiliare tra coniugi non si sottrae alla revocatoria fallimentare ex art. 64 Legge Fall.
Nel caso di specie il marito, pochi mesi prima del fallimento, aveva donato l’unico immobile di sua proprietà alla moglie in vista della imminente separazione consensuale dal coniuge. La Corte d’appello aveva perciò accolto la declaratoria di inefficacia di tale atto, ritenendo che il trasferimento della proprietà era stato del tutto gratuito e non proporzionato al patrimonio del donante, dal momento che risultava accertato che la moglie avesse un reddito personale sufficiente al proprio mantenimento, mentre egli non era stato esonerato dall’obbligo di concorrere al mantenimento dei figli minori, cui pure era destinata la nuda proprietà dell’immobile al raggiungimento della maggiore età di entrambi.
Contro la sentenza d’appello ricorreva per cassazione l’ex moglie, la quale contestava la natura gratuita del trasferimento a suo favore: riteneva infatti che esso era stato effettuato non certo per liberalità, bensì al fine di estinguere ogni pretesa patrimoniale avverso il marito nonché per esonerare lo stesso dalle spese di mantenimento della prole.
La Suprema Corte ha, in primo luogo, osservato che, con riguardo ai negozi a titolo gratuito, occorre distinguere tra gratuità e liberalità. In effetti, l’assenza di corrispettivo, se è sufficiente a caratterizzare i negozi a titolo gratuito, non basta invece ad individuare i caratteri della donazione, per la cui sussistenza sono necessari, oltre all’incremento del patrimonio altrui, la concorrenza di un elemento soggettivo (lo spirito di liberalità) consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi in alcun modo costretti, e di un elemento di carattere obbiettivo, dato dal depauperamento di chi ha disposto del diritto o ha assunto l’obbligazione.
Alla luce di tale ragionamento, si può ben avere perciò un atto che, benché gratuito, non è manifestazione di liberalità. Tuttavia, secondo la Corte di legittimità, la valutazione di gratuità od onerosità di un negozio, ai fini dell’art. 64 legge fall., “deve essere compiuta con riguardo alla causa, e non già ai motivi dello stesso, con la conseguenza che deve escludersi che atti a titolo gratuito siano quelli, e solo quelli, posti in essere per spirito di liberalità“. Ne deriva che, per la revocatoria fallimentare, è sufficiente che si tratti di contratto gratuito “in cui una sola parte riceve e l’altra, sola, sopporta un sacrificio, unica essendo l’attribuzione patrimoniale”.
Quanto all’affermazione della ricorrente secondo cui il trasferimento fosse stato effettuato anche al fine di esonerare il marito dalla spese di mantenimento della prole, la Suprema Corte ha rilevato che negli accordi per la separazione consensuale è previsto esplicitamente che il marito “si impegna a contribuire alle spese necessarie per il mantenimento dei propri figli”. Sicché la subordinazione dell’ordinario contributo del marito a richieste specifiche della moglie non può essere interpretato “come un esonero dall’obbligo di contribuire all’ordinario mantenimento dei figli, bensì come una regolamentazione peculiare delle modalità di pagamento, in tempi misura e modalità non predeterminate“.
Accertata la gratuità della causa della donazione controversa, la Cassazione, ritenuto plausibile l’argomentato convincimento dei giudici del merito, ha pertanto rigettato il ricorso e condannato la ricorrente al rimborso delle spese in favore della resistente.
(Corte di Cassazione, I sez. Civile, sentenza n. 13087 del 24 giugno 2015)