Il diritto di accesso dei consiglieri comunali agli atti delle IPAB in Veneto

in Giuricivile, 2019, 6 (ISSN 2532-201X)

Una questione particolarmente importante, su cui la giurisprudenza veneta si è a lungo interrogata, riguarda il diritto del consigliere comunale di accedere agli atti di un I.p.a.b in Veneto.

Al fine di risolvere l’annosa problematica, si tratta di verificare se, da un punto di vista giurisprudenziale e normativo, le IPAB possano o meno rientrare nel concetto di “enti dipendenti” del Comune, ai sensi dell’articolo 43, comma 2 TUEL.

  1. Inquadramento normativo

Dal punto di vista del diritto positivo, ai fini di un corretto inquadramento normativo del caso in esame, è opportuno in primo luogo delineare i tratti essenziali dell’accesso dei consiglieri comunali agli atti amministrativi dell’ente locale.

Il diritto di accesso dei consiglieri comunali nei confronti della P.A. trova autonoma disciplina all’art. 43, comma 2 del D.lgs. n. 267/2000, il quale prevede che “I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.

Da una prima lettura della citata disposizione normativa, è possibile individuarne fin da subito i tratti peculiari.

In primo luogo emerge chiaramente che il Legislatore, statuendo che il consigliere comunale può accedere a “tutte le notizie e le informazioni in possesso degli enti comunali”, ha riconosciuto allo stesso un diritto di accesso i cui confini sono molto più ampi rispetto a quello del cittadino privato, disciplinato dalla Legge n. 241/90. Infatti il consigliere comunale è titolare di un diritto di accesso pieno e non comprimibile, per il quale non sono previsti limiti nemmeno a tutela di esigenze di riservatezza, fermo restando il dovere per i consiglieri medesimi di mantenere il segreto “nei casi specificamente determinati dalla legge”. Tale maggiore ampiezza di legittimazione trova la propria ratio nel munus espletato, ossia nell’attività di indirizzo e controllo del consigliere comunale sugli atti degli organi decisionali dell’ente locale.

Inoltre, altra differenza rilevante con l’accesso documentale, è quella per cui dalla titolarità del diritto “muneris causa”, discende l’assenza dell’onere della motivazione da parte del consigliere.

Infatti, come affermato più volte dal Consiglio di Stato, il consigliere comunale “non è tenuto a specificare i motivi della richiesta, né gli organi burocratici dell’ente hanno titolo a richiederlo” (sentenza sez. V, del 13 novembre 2002, n. 6293).

Preme inoltre osservare che un importante limite all’accesso agli atti del consigliere attiene al concetto di “utilità” di atti e documenti per i quali si richiede l’accesso.

Sono “utili” (e quindi accessibili) i documenti che riguardano le competenze attribuite al consiglio comunale o provinciale, mentre restano invece precluse la visione ed estrazione copia degli atti che vengono richieste per scopi o fini personali, che quindi esulano dalla funzione pubblica espletata.

Sul punto va inoltre rilevato che, anche per il consigliere il diritto di accesso deve essere esercitato in maniera corretta e non in contrasto con le finalità della legge.

Infatti, come statuito dal Consiglio di Stato (sent. n. 4471 del 2.09.2005) “…il consigliere comunale non può abusare del diritto all’informazione riconosciutogli dall’ordinamento, piegandone le alte finalità a scopi meramente emulativi o aggravando eccessivamente, con richieste non contenute entro gli immanenti limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, la corretta funzionalità amministrativa dell’ente civico”.

Ebbene, tutto ciò osservato, è possibile in definitiva sostenere che ai consiglieri comunali è attribuita una facoltà di accesso agli atti amplissima, che conosce pochissimi limiti.

Gli stessi infatti, semplicemente dimostrando la loro qualifica istituzionale, potranno ottenere tutti i documenti e le informazioni utili all’espletamento del loro mandato, senza dover motivare o specificare alcunché.

  1. Classificazione delle I.p.a.b come “enti dipendenti del Comune”: una vexata quaestio

Questione decisamente più problematica è quella relativa all’inquadramento delle Ipab quali “enti dipendenti del Comune”, nei confronti dei quali è riconosciuto ai consiglieri comunali lo speciale diritto di accesso di cui all’art. 43, comma 2 del TUEL.

Al fine di rispondere a tale interrogativo, in primo luogo è necessario individuare quali sono, secondo la giurisprudenza maggioritaria, i tratti distintivi del rapporto di dipendenza tra enti.

In secondo luogo si dovrà verificare se il rapporto di dipendenza tra Comune e IPAB risulta codificato da un punto di vista normativo.

Andando per ordine, quanto alla prima questione, la Suprema Corte, con orientamento ormai costante, ha ravvisato il rapporto di dipendenza «nella esistenza di un potere di vera e propria ingerenza tale da incidere sul processo formativo della volontà dell’organismo dipendente e nella finalità di cura dell’interesse pubblico perseguito, che esiti nell’esercizio di poteri di informazione, di ispezione, di posizione di indirizzi gestionali, di preposizione e rimozione di tutti gli amministratori o di parte di essi».           

I sommi giudici hanno infatti chiarito che «L’ente dipendente, in siffatta condizione, si configura come mero strumento della volontà direttiva dell’ente sovraordinato, titolare della funzione amministrativa affidata alla cura della struttura subordinata, nei cui riguardi si determina un vero e proprio obbligo di adempiere i compiti fissatile».

In tal senso quindi vanno qualificati come “dipendenti”pure gli enti che godono di autonomia amministrativa, patrimoniale e contabile ove siano comunque preposti a compiti inclusi in quelli istituzionali dell’ente territoriale e siano soggetti all’ingerenza e alle scelte di quest’ultimo con riguardo alla loro costituzione e persistenza in vita” (ex multis, Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 21 novembre 2013, n. 26123; Id., sentenza 16 gennaio 2012, n. 438; Id., sentenza 11 dicembre 2012, n. 25944; Id., sentenza 18 luglio 2008, n. 20055; Id., sentenza 18 ottobre 2006, n. 22346; Corte di Cassazione, Sezione feriale, sentenza 28 settembre 1994, n. 7886).

Tanto premesso si tratta ora di verificare se il potere di ingerenza del Comune nei confronti delle IPAB, risulta codificato da un punto di vista normativo.

Sul punto, il Decreto Legislativo 4 maggio 2001, n. 207 ha provveduto a riordinare il sistema delle IPAB (create con la Legge 17 luglio 1890, n. 6972 (c.d. legge Crispi). La nuova normativa ha  inserito tali istituzioni nel sistema integrato di interventi e servizi sociali, demandando inoltre all’iniziativa delle singole Regioni il compito di scegliere se trasformare tali enti in aziende pubbliche o in persone giuridiche di diritto privato, ovvero estinguerle.

Allo stato attuale la regione Veneto non ha ancora approvato una legge organica di riordino delle I.P.A.B: pertanto, ai sensi dell’art. 21 del menzionato decreto legislativo n. 207 del 2001, nel periodo transitorio continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti, nonché le relative leggi regionali.

In particolare, per quanto qui interessa, è bene richiamare l’art. 4 della legge regionale 14 gennaio 2003, n. 3 che ha stabilito che “Dall’entrata in vigore della presente legge e fino al riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB) ai sensi del decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207, […] la struttura regionale competente in materia di servizi sociali continua ad esercitare le funzioni di vigilanza previste dall’articolo 12 della legge regionale 15 dicembre 1982, n. 55” […] oltre alle verifiche concernenti le variazioni delle piante organiche, i bilanci annuali e le relative variazioni e i conti consuntivi, secondo le modalità stabilite con proprio provvedimento della Giunta regionale, sentita la competente Commissione consiliare.”

Ancora, l’art. 3, comma 1 della legge regionale 16 agosto 2007, n. 23 chiarendo che “Nelle more dell’approvazione della legge regionale di riforma delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, ai sensi dell’articolo 12 della legge regionale 15 dicembre 1982, n. 55 […] il controllo sugli organi delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza è esercitato dalla Regione ” ha demandato alla regione il controllo sugli organi delle IPAB.
Da ultimo, è bene osservare che la regione Veneto, con gli artt. 8 e 9 della legge regionale 23 novembre 2012, n. 43, ha dettato specifiche norme in materia di contabilità, nonché di liquidazione ed estinzione delle I.P.A.B.

  1. Conclusioni

In definitiva, dall’analisi dell’orientamento giurisprudenziale e delle leggi regionali suesposte, risulta evidente che il delineato regime giuridico delle IPAB in Veneto è tale da riservare solo all’Amministrazione regionale penetranti poteri di ingerenza nella vita degli enti predetti; sicché alcun potere di ingerenza è ravvisabile in capo al Comune.

Ne deriva pertanto che, non avendo il Comune alcun potere di ingerenza nei confronti delle IPAB, secondo l’opinione maggioritaria, le IPAB stesse non possono essere considerate quali “enti dipendenti”, ai sensi dell’articolo 43, comma 2 TUEL.

Tale assunto del resto si trova del tutto in linea con la giurisprudenza amministrativa del TAR Veneto, il quale in svariate pronunce ha chiarito che le IPAB, essendo soggette al solo controllo della Regione Veneto, non sono in alcun modo classificabili quali “enti dipendenti del Comune”. (TAR Veneto, sentenza 17.11.1994, n. 291).

Per tutte queste ragioni, è dunque possibile concludere affermando che l’accesso speciale del consigliere comunale, ex art. 43, comma 2 TUEL, agli atti delle IPAB in Veneto è chiaramente precluso.

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