Grazie al riconoscimento in ambito europeo del diritto all’oblio ogni persona ha il diritto di rettificare i dati personali che la riguardano e può cancellare i dati personali se la conservazione degli stessi non è conforme al Regolamento Privacy europeo del 2016. Il cd. diritto all’oblio, inizialmente riconosciuto a livello giurisprudenziale europeo, con l’entrata in vigore del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Personali ha ricevuto una regolamentazione espressa. In tale testo si sancisce che ogni interessato ha diritto ad ottenere la cancellazione di dati personali senza ingiustificato ritardo.
Il diritto all’oblio è il diritto alla cancellazione di precedenti pregiudizievoli e dati personali che non sono più necessari per le finalità per le quali sono stati raccolti. Giova ricordare che tale diritto è appartenente ai diritti della persona in forza dell’art. 2 Cost. e dell’art. 8 Cedu, dell’art. 7 e 8 della Carta di Nizza.
Si tratta inoltre di un diritto che non ha carattere assoluto ma deve essere contemperato con altri interessi pure meritevoli di tutela, come il diritto di cronaca. A tal riguardo, a livello giurisprudenziale europeo, la Corte di Giustizia UE e la Cedu più volte hanno tracciato linee di bilanciamento tra due diritti fondamentali, il diritto di cronaca e il diritto all’oblio.
Il bilanciamento tra il diritto di cronaca e il diritto d’oblio
L’art. 17 del GDPR è direttamente applicabile dai giudici nazionali, mentre l’articolo 85 del GDPR demanda ai giudici un margine di manovra ampio nel bilanciamento tra i due. Non è legittimo diffondere pubblicamente dati pregiudizievoli, salvo casi ricollegabili a fatti di cronaca, in quanto ogni individuo ha diritto a non essere più ricordato per fatti personali che furono oggetto di divulgazione. L’interesse alla conoscenza di un fatto personale serve infatti a informare la collettività, ma tale interesse scompare con il tempo, l’episodio personale cessa di essere cronaca e diventa nuovamente un fatto personale e privato.
Il diritto all’oblio si colloca tra i diritti della personalità e si distingue dal diritto all’identità personale, che prevede invece l’interesse di ogni soggetto a non vedere alterato pubblicamente il patrimonio sociale, politico, religioso, professionale attraverso notizie false mediante manipolazione informativa.
Con il diritto all’oblio si impedisce che un episodio personale venga divulgato a distanza di tempo, proteggendo in tal modo il riserbo ritrovato. Si pensi ai mezzi di informazione, ai motori di ricerca. In rete ciascuno lascia frammenti che possono ricostruire il proprio passato: grazie agli algoritmi di Internet ogni navigatore può ricostruire i dettagli personali della vita altrui e queste tracce possono essere aggregate fra loro, con la possibilità di ricostruire il passato di ogni utente.
Le pronunce giurisprudenziali italiane in materia hanno in molti casi tutelato persone protagoniste di fatti di cronaca, ricollegando tale diritto al mero decorso del tempo (si pensi ad esempio alle sentenze della Corte di Cassazione Civile 22 giugno 1985 n. 3769, 25 giugno 2004 n. 11864, 5 aprile 2012 n. 5525, 26 giugno 2013 n. 16111, 24 giugno 2016 n. 13161).
Il caso Venditti
A conclusioni diverse è arrivata invece la Cassazione Civile con la Ordinanza 20 marzo 2018 n. 6919, che ha riconosciuto il diritto all’oblio a un personaggio famoso, il cantautore Antonello Venditti. La Corte affrontava per la prima volta il contrasto tra il diritto all’oblio tra esercizio del diritto all’oblio e esercizio del diritto di satira in fatti di cronaca. Nel 2000 Venditti si era rifiutato di concedere un’intervista a un inviato di una trasmissione; lo stesso alcuni nel 2005, inserì il cantautore nella “classifica dei personaggi più anticipatici e scorbutici del mondo dello spettacolo” con alcuni commenti offensivi contro il cantautore.
La richiesta di risarcimento del cantante venne rigettata in primo grado e in appello. Chiamata a pronunciarsi sul punto, la Cassazione, elencando alcune rilevanti pronunce in materia, rilevò che il diritto all’oblio non prevale sul diritto alla notizia
- quando l’informazione è divenuta non più di interesse apprezzabile,
- quando non serve a informare la collettività se la notizia non è continente e veritiera,
- quando non concerne ragioni di giustizia, di polizia, scopi scientifici, didattici e culturali,
- ancora quando la notizia non attiene a un soggetto notorio se non gli viene concesso il diritto di replica prima della diffusione della notizia.
Ebbene, secondo la Suprema Corte, nel caso in esame non ricorreva neanche una delle ipotesi analiticamente elencate: il video con l’intervista di Venditti era stato dunque illegittimamente trasmesso dalla Rai, unicamente a fini di audience, e l’intervista costituiva una illecita compressione del diritto all’oblio del cantautore.
Secondo l’Ordinanza in questione, la Rai non poteva infatti invocare il diritto alla satira in relazione a vicende di interesse generale perchè la satira, secondo i giudici, non può ridursi ad una ingiustificata e gratuita lesione della reputazione al di fuori dall’ambito della notizia di denuncia sociale o politica. In particolare, secondo la corte di legittimità il diritto di cronaca prevale sul diritto all’oblio se la notizia che attiene a un personaggio noto:
- ha un interesse pubblico oggettivo,
- è notizia priva di commenti personali,
- e l’informazione è comunicata all’interessato prima della sua divulgazione.
La Corte precisava infine che il diritto di satira esercitato dalla trasmissione televisiva non era legittimo in quanto la intervista del 2005 non era più idonea ad aprire un dibattito pubblico rispondente a ragioni di giustizia, o di sicurezza pubblica, o di interesse scientifico o didattico, tali da giustificare una trasmissione televisiva. Veniva, dunque, accolto il ricorso del cantautore.
Altra sentenza sul bilanciamento tra diritto di cronaca e diritto all’oblio
Altra pronuncia particolarmente rilevante della Cassazione, ispirata dalle ipotesi elencate dall’Ordinanza del 20 marzo 2018, ha enumerato cinque condizioni necessarie perché si possa comprimere il diritto all’oblio.
Il bilanciamento tra riserbo e la libertà di espressione secondo l’articolo 85 del GDPR deve essere stabilito dalla giurisprudenza perchè i giudici nazionali hanno in materia un ampio margine di manovra e in questo contesto si inserisce la sentenza n. 28084 del 5 novembre 2018, che ha rimesso la questione del bilanciamento alle Sezioni Unite.
La Corte riconosceva che “Il bilanciamento tra il diritto di cronaca ed il diritto all’oblio incide sul modo di intendere la democrazia nella nostra attuale società civile” e non può prescindere dalla tutela della personalità nelle sue diverse espressioni. La sentenza prese atto che era indifferibile l’individuazione di presupposti in presenza dei quali un soggetto ha diritto di chiedere che una notizia, a sé relativa, non resti esposta a una nuova divulgazione.
Meritavano dunque gli atti la preventiva rimessione al Primo Presidente della Corte per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione, nel rispetto del quadro normativo giurisprudenziale negli ordinamenti italiano e sovranazionale.