Il contratto collettivo aziendale può derogare, anche in pejus, al contratto collettivo nazionale?

in Giuricivile.it, 2022, 5 (ISSN 2532-201X)

Il rapporto tra il contratto collettivo nazionale e il contratto collettivo aziendale

Il nostro diritto sindacale, sul piano normativo, risente di una fortissima carenza legislativa. Non a caso, gli attori sociali sono spesso intervenuti con soluzioni pattizie, al fine di regolare taluni aspetti della materia che, per contro, vedono una compiuta regolamentazione nel settore pubblico con il d.lgs. n. 165/2001.[1]

Ad ogni modo, il quesito dal quale prendere le mosse è il seguente: esiste un rapporto di rango tra il contratto collettivo di primo e di secondo livello? La risposta non può essere altro che la seguente: assolutamente no. Esiste solo un rapporto di pari-ordinazione,[2] poiché non è vigente alcuna legge atta a normare i rapporti tra i diversi livelli contrattuali. Quanto in commento, quindi, genera il problema del concorso-conflitto tra contratti di diverso livello, sul quale – tuttavia – chi scrive non si soffermerà, se non per cenni, giacché la tematica è stata trattata con dovizia di dettagli in altra sede.[3]

La giurisprudenza, utilizzando il c.d. criterio della specialità,  ammette, nel caso di concorso-conflitto tra contratti di diverso livello, che la fonte più prossima regoli il rapporto di lavoro.[4] Rimane fermo, in ogni caso, il rispetto dei c.d. diritti quesiti. Quanto poc’anzi accennato è confermato anche da autorevole dottrina.[5]

In ragione di tale assunto, orbene, la risposta al titolo di questo breve saggio non potrebbe essere altro che affermativa. Di fatti, il contratto aziendale ben potrebbe derogare al contratto collettivo nazionale, atteso che il rispetto dei diritti quesiti non è minimamente in discussione.[6]

Ad ogni modo, solo per fornire un quadro quanto più esaustivo sul tema, sin dal protocollo Ciampi Giugni del 1993,[7] le parti sociali hanno cercato – in funzione di viepiù potenziamento della c.d. contrattazione articolata – di stabilire un verosimile rapporto di rango tra i diversi livelli di contrattazione. Talché, il T.U. sulla Rappresentanza del 2014, nella parte terza – la cui rubrica reca “titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale di categoria e aziendale” – ha previsto che “la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate e con le modalità previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge”. Tuttavia, è doveroso significare che il suddetto testo unico risente dell’ormai noto problema dell’efficacia soggettiva. Pertanto, quanto in discussione, può essere valevole solo per le parti che hanno sottoscritto o successivamente aderito al testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014.[8]

Il contratto collettivo di prossimità di cui all’art. 8 della legge n. 148/2011

L’interrogativo, oggetto del presente lavoro, non potrebbe prescindere da un’oculata disamina della disposizione normativa di cui all’art. 8 della legge n. 148/2011 che, a parare di chi scrive, è entrata in gamba tesa nell’ordinamento giuridico dello stato, forse al fine di preservare e mantenere in vita taluni accordi sottoscritti da alcune parti sociali nel “caldo” biennio 2009-2011.[9]

L’art. 8 della legge n. 148/2011 prevede che: “1. I contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, possono realizzare specifiche intese con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività.

2. Le specifiche intese di cui al comma 1 possono riguardare la regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento: a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) alla disciplina dell’orario di lavoro; e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fi no al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fi no ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento.

2-bis. Fermo restando il rispetto della Costituzione, nonché i vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.

3. Le disposizioni contenute in contratti collettivi aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei confronti di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato approvato con votazione a maggioranza dei lavoratori.

3-bis. All’articolo 36, comma 1, del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188, sono apportate le seguenti modifiche: a) all’alinea, le parole: «e la normativa regolamentare, compatibili con la legislazione comunitaria, ed applicate» sono sostituite dalle seguenti: «la normativa regolamentare ed i contratti collettivi nazionali di settore, compatibili con la legislazione comunitaria, ed applicati»; b) dopo la lettera b), è inserita la seguente:«b-bis) condizioni di lavoro del personale”.

Nel sistema delle fonti, la disposizione legislativa in commento abilita la contrattazione aziendale (o territoriale) a realizzare specifiche intese finalizzate a conseguire gli obiettivi del comma 1 (maggiore occupazione, qualità dei contratti di lavoro, ecc..). Gli accordi di prossimità di cui all’art. 8 della legge in esame sono valevoli erga omnes (id est nei confronti di tutti i lavoratori interessati). La disposizione, sebbene non introduca alcuna modifica diretta al quadro legale vigente,[10] incide sull’intero sistema delle fonti di produzione del diritto del lavoro.[11]

Annoverabili tra i requisiti soggettivi per la sottoscrizione degli accordi in questione, sono i soggetti abilitati alla stipulazione dei predetti, ovverosia le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale o le loro rappresentanze sindacali operanti in azienda, siano esse RSA ai sensi dell’art. 19 Stat. lav., purché costituite nell’ambito delle predette associazioni, siano esse RSU costituite ai sensi delle regole stabilite dall’autonomia collettiva negli accordi interconfederali. Il profilo cruciale di tale tratto della norma è, come facilmente intuibile, quello della misurazione dell’indice della rappresentatività comparata. Chiaro che, in assenza di requisiti oggettivi applicabili, ovvero nelle more che il T.U. sulla rappresentanza del 2014 acquisti il suo pieno vigore in termini di misurazione della rappresentatività, si applicheranno – per siffatta misurazione – “i canoni tradizionali elaborati dalla dottrina, dalla giurisprudenza e dalla prassi amministrativa, tesi ad accogliere una nozione pluridimensionale di rappresentatività, che impone la relativizzazione del mero dato associativo, misurato attraverso il calcolo delle deleghe sindacali, con una pluralità di criteri volti ad una verifica del grado di effettiva rappresentatività degli attori sindacali: la partecipazione alla formazione e alla stipulazione di contratti collettivi di ogni livello; la partecipazione alla composizione delle vertenze individuali, plurime e collettive di lavoro; la presenza nelle diverse categorie produttive; la diffusione territoriale del sindacato”. [12]

Tra i requisiti di natura oggettiva, ai fini della sottoscrizione delle specifiche intese derogative, anche nei confronti della legge, col solo limite del rispetto del dettato costituzionale, delle norme europee e dei trattati internazionali, vi sono le materie – appunto – derogabili dalle anzidette intese, ovvero: a) gli impianti audiovisivi e introduzione di nuove tecnologie; b) le mansioni del lavoratore, classificazione e inquadramento del personale; c) i contratti a termine, contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, regime della solidarietà negli appalti e casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) la disciplina dell’orario di lavoro; e) le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fi no ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento.

L’elencazione delle materie è da ritenersi tassativa,[13] con la conseguenza che non saranno ammesse ulteriori discipline al vaglio delle intese in disamina.

Anche se la giurisprudenza si è già pronunciata sul punto, lo scrivente non esclude, in radice, che la norma in esame possa risentire di incostituzionalità per violazione dell’art. 39 co. 4 della Carta Costituzionale.

Per quanto attiene, invece, al rapporto tra legge e contratto collettivo, la disposizione passata in rivista si colloca “nel solco di una politica legislativa che, sin dagli anni ’70 del secolo scorso, ha identificato nel contratto collettivo lo strumento di risposta più idoneo “alla domanda di flessibilità nella regolazione dei rapporti di lavoro, scaturente dai mutati contesti economico-produttivi globali”.[14] Lo stesso si dica per la funzione cui assurge il dettame di cui all’art. 51 del d.lgs. n. 81/2015, la cui rubrica reca “norme di rinvio ai contratti collettivi”, che riconosce – quali contratti collettivi con funzione di rinvio[15] – quelli nazionali, territoriali o aziendali “stipulati   da   associazioni   sindacali comparativamente  più  rappresentative  sul  piano  nazionale  e   il contratti collettivi aziendali stipulati  dalle  loro  rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”. Un’importante norma di rinvio alla contrattazione collettiva è quella enunciata all’art. 47 quater del d.lgs. n. 81/2015 che, tra l’altro, ha portato alla stipulazione del contratto collettivo rider Ugl- Assodelivery, sul quale si è concentrata la più aspra satira da parte della dottrina giuslavoristica.[16]

L’autore, all’esito di questa articolata lettura del tema, ritiene che nell’abulia, nell’inerzia del legislatore, il groviglio di questioni che la “giurisprudenza ha affrontato con più o meno spirito sarcastico”, continuerà a pendere come un macigno nel panorama del diritto sindacale e, senza ombra di dubbio, non sarà dirimente in ordine alla serqua di problemi che – sin dall’entrata in vigore della Costituzione – hanno afflitto i tecnici del diritto sindacale e delle relazioni industriali. Pertanto, chi scrive, ritenendo non soddisfacenti gli accordi pattizi in funzione di supplenza del diritto statuale,[17] auspica che vi siano – in guisa cogente – interventi di de iure condendo, quanto meno sulle materie che hanno il bisogno impellente di risposte legislative certe. [18]


[1] Mi riferisco, in particolare, alla misurazione della rappresentatività delle associazioni sindacali; al rapporto tra la contrattazione collettiva di comparto e quella integrativa.

[2] Cfr. G. Santoro Passarelli, Diritto dei lavori e dell’occupazione, G. Giappichelli, VIII edizione

[3] Cfr. D. Giardino, La successione dei contratti collettivi nel tempo, in Diritto.it

[4] Cfr. Cass. 12 luglio 1986, n. 4517; Trib. Milano, 4 dicembre 2008; Cass. 19 aprile 2006, n. 9052; Cass. 18 maggio 2010, n. 12098 in relazione ad un contratto regionale.

[5] Cfr. M. Grandi (1981), Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 393 ss.; M. Magnani, Diritto sindacale, G. Giappichelli, IV edizione

[6] Cfr. Cass. civ. n. 13960/2014; Cass. sez. Lavoro, n. 22126/2015; Cass. n. 21232/2015

[7] Per approfondimenti vedi D. Giardino, Le rappresentanze sindacali unitarie specchio della concertazione, in Diritto.it

[8] Sul seguente sito è possibile prendere visione delle organizzazioni sindacali che hanno aderito al t.u. del 2014: https://www.cisl.it/wp-content/uploads/2017/07/All.%203%20-Codici%20OO.SS.%20firmatarie  aderenti%20aggiornato%20al%207.%202.pdf

[9] Mi riferisco alla famosa vicenda Fiat che ha segnato, e contribuito a definire con la sentenza della Corte cost. 231/2013, una importantissima pagina del nostro diritto sindacale. Tuttavia, ritengo che soluzioni di de iure condendo siano assolutamente auspicabili.

[10] Cfr. M. Tiraboschi, L’articolo 8 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138: una prima attuazione dello “Statuto dei lavori” di Marco Biagi, DRI 2012, 1, 79

[11] Cfr. PERULLI-SPEZIALE, L’art. 8 della legge 14 settembre 2011, n. 148 e la «rivoluzione di Agosto» del dirtto del lavoro, in WP CSDLE “Massimo D’Antona” – IT, n. 132/2011; SCARPELLI, Rappresentatività e contrattazione tra l’accordo unitario di giugno e le discutibili ingerenze del legislatore, RGL 2011, 3, 641; VALLEBONA, L’efficacia derogatoria dei contratti aziendali o territoriali: si sgretola l’idolo della uniformità oppressiva, MGL 2011, 3, 682

[12] R. Del Punta, F. Scarpelli, con la collaborazione di M. Marrucci, P. Rausei, Codice commentato del lavoro, Wolters Kluwer, I edizione, pag. 2585, cit.

[13] Cfr. C. Cost. 4.10.2012, n. 221

[14] A. Tursi, L’articolo 8 della legge n. 148/2011 nel prisma dei rapporti tra legge e autonomia collettiva, DRI 2013, 4, pag. 958, cit.

[15] La funzione di rinvio può essere autorizzatoria, integrativa o derogativa. Quella integrativa, a sua volta, si declina nelle funzioni integrative gestionali e delegate regolamentari (per esempio, gli accordi per licenziamenti collettivi soddisfano la funzione gestionale e le intese che individuano i criteri di scelta dei lavoratori e quelli inerenti alla individuazione delle prestazioni indispensabili per l’esercizio dello sciopero nei servizi pubblici essenziali rientrano nella funzione regolamentare delegata).

[16] Essa ha contestato, in particolare, il difetto di rappresentatività dell’organizzazione sindacale Ugl. Inoltre, ha individuato il difetto del pluralismo sindacale della norma nella parte in cui prevede che i contratti collettivi devono essere stipulate “dalle   organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale”.

[17] La contrattazione collettiva specifica di primo livello del gruppo Fca rappresenta la prova vivente di quanto asserisco.

[18] Criterio di misurazione della rappresentatività; indice di rappresentatività ai fini della partecipazione alla negoziazione delle piattaforme contrattuali; norme di attuazione dell’art. 39 della Costituzione.

Laureato, prima in Scienze dei Servizi Giuridici con indirizzo risorse umane e consulenza del lavoro presso l'Università degli Studi di Milano, poi in Giurisprudenza presso lo stesso Ateneo. Ha perfezionato gli studi post-laurea conseguendo diversi titoli nel campo della gestione delle risorse umane. Esperto in diritto del lavoro, nel tempo libero si dedica, per passione, alle attività di ricerca ed approfondimento delle tematiche attinenti al diritto del lavoro, al diritto sindacale, alla previdenza sociale, alla sicurezza sul lavoro, al welfare e alla contrattualistica. È formatore della sicurezza nei luoghi di lavoro, responsabile dei servizi di prevenzione e protezione e mediatore civile e commerciale abilitato.

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