Firma digitale nel ricorso per cassazione: principi giurisdizionali e certezza dell’atto

Le Sezioni Unite Civili, con sentenza n. 6477 del 2024, hanno riaffemato principi  che influenzano la validità e la certezza degli atti processuali presentati in formato digitale.
In conformità con precedenti decisioni, esse hanno stabilito che, per garantire la validità dell’atto, è necessario che il ricorso sia sottoscritto con firma digitale.

Corte di Cassazione- Sez. Un. Civ.- Sent. n. 6477 del 12-03-2024

La questione

La vicenda riguardava la contestazione dell’IVA dell’imposta riferita al 2013 nei confronti della società Unicar s.r.l.
L’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento contestando la detrazione di IVA in ragione dell’interposizione fittizia di un’altra società, ritenuta un’operazione inesistente.
La Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in riforma alla decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone, aveva accolto l’appello di Unicar s.r.l., annullando l’avviso di accertamento e sostenendo che non sussistessero elementi per affermare la la partecipazione del contribuente a un meccanismo fraudolento. L’Agenzia delle Entrate aveva pertanto proposto ricorso per cassazione, sollevando la questione relativa all’ammissibilità del ricorso stesso, redatto in forma di documento informatico e privo di firma digitale.

L’ordinanza interlocutoria della Sezione Tributaria

Le Sezioni Unite, su richiesta della Sezione Tributaria, sono stata chiamate a chiarire la questione se l’assenza della firma digitale del difensore su un ricorso per cassazione redatto in formato informatico costituisca un vizio così grave da rendere il ricorso del tutto inesistente, oppure se possa essere considerato un errore che può essere corretto per raggiungere lo stesso obiettivo.
La Sezione rimettente ha evidenziato il difetto strutturale nell’atto processuale, richiamando l’obbligo, stabilito dall’art. 365 c.p.c., che il ricorso per cassazione sia firmato da un avvocato iscritto all’albo, pena l’inammissibilità. Secondo quanto stabilito dalla sentenza della Cassazione n. 18623/2016, questo requisito non può essere considerato una nullità sanabile, ma piuttosto un motivo di inammissibilità. L’ordinanza interlocutoria fa riferimento anche a una precedente orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. sul punto Cass. sent. n. 3379/2019), che ha costituito un orientamento consolidato per i ricorsi redatti in modo tradizionale.
Nel caso di specie, le Sezioni Unite hanno argomentato tenendo in considerazione il contenuto di due orientamenti di legittimità chiave: la sentenza n. 14338/2017 e la sentenza delle Sezioni Unite n. 22438/2018.

Il contrasto giurisprudenziale

In base a quanto stabilito dal primo orientamento (cfr.  sent. Cass. n. 14338/2017), che segue il tradizionale orientamento, l’omissione della firma digitale comporta la nullità del ricorso; mentre, la pronuncia delle Sezioni Unite n. 22438/2018 ha stabilito che un ricorso redatto in formato digitale e notificato telematicamente deve essere regolarmente sottoscritto con firma digitale. La mancanza di questa firma potrebbe determinare la nullità dell’atto, anche se è ancora possibile confermare la sua autenticità, applicando il principio del raggiungimento dello scopo.
Tuttavia, la Sezione rimettente, pur riconoscendo l’importanza del principio sancito dalle Sezioni Unite (tramite l’ordinanza interlocutoria), ha ritenuto essenziale approfondire la questione.
In particolare, la Sezione Tributaria ha sottolineato come l’orientamento del 2018 sia rubricato in un contesto giurisprudenziale in cui il difetto relativo alla sottoscrizione del ricorso, essenziale per la sua ammissibilità, sia considerato alla stregua di un caso di inesistenza anziché di nullità.
L’ordinanza interlocutoria ha messo in evidenza che, pur facendo riferimento alla nullità, le Sezioni Unite hanno supposto la sanatoria del vizio nel caso in cui fosse possibile attribuire la paternità dell’atto. Tuttavia, non è stato approfondito se questa attribuzione di paternità debba essere legata alla presenza di una sottoscrizione sull’atto, o se altri elementi esterni possano essere considerati nella valutazione.
Inoltre, la Sezione rimettente ha sostenuto che, nonostante diverse disposizioni normative garantiscano il principio di parità tra documenti informatici e tradizionali, il documento digitale non possa costituire un rimedio delle carenze strutturali rispetto ai requisiti di forma richiesti dal codice di procedura civile.
Con particolare riferimento alla mancanza della firma digitale, l’ordinanza interlocutoria ha affermato la difficoltà di stabilire la provenienza del ricorso sulla base delle caratteristiche del documento o sull’utilizzo di una casella PEC appartenente all’avvocato che avrebbe redatto il ricorso.
Infine, ha precisato che l’utilizzo di un dispositivo di firma elettronica qualificata possa presumere la provenienza del documento, secondo quanto stabilito dall’articolo 20, comma 1-ter, del Codice dell’Amministrazione Digitale, mentre l’utilizzo della casella PEC del mittente, pur essendo personale, non costituisca una simile presunzione.

Le argomentazioni delle Sezioni Unite

Nel caso di specie, le Sezioni Unite hanno esaminato il quadro normativo precedente rispetto a quello attualmente in vigore.
Inizialmente, la Suprema Corte ha argomentato che il deposito telematico degli atti di parte nel giudizio di cassazione era facoltativo fino al 31 marzo 2021.
Questa disposizione è stata introdotta dal decreto direttoriale DGSIA del 27 gennaio 2021, emesso in base all’articolo 221, comma 5, del d. lgs. n. 34 del 2020, convertito con modifiche dalla l. n. 77 del 2020.
In seguito, a partire dal 1° gennaio 2023, tale deposito è diventato obbligatorio, come previsto dall’articolo 196-quater delle disposizioni attuative del c.p.c., introdotto dall’art. 4 della riforma Cartabia, ovvero il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149.
Sebbene non sia stato possibile procedere al deposito telematico del ricorso nativo digitale come notificato in origine, la parte ha dovuto dimostrare la conformità della copia analogica depositata all’atto processuale originale, ai sensi dell’art. 9, commi 1-bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994 e successive modifiche. Le Sezioni Unite hanno affermato che è proprio in questo ambito che la sentenza n. 22438 del 2018 delle Sezioni Unite aveva affermato che la mancanza di sottoscrizione digitale del ricorso nativo digitale notificato determinasse un vizio invalidante l’atto processuale, a meno che non si potesse attribuire con certezza la paternità, in base al cd. principio del raggiungimento dello scopo.
Le Sezioni Unite hanno ritenuto opportuno tenere presente la giurisprudenza consolidata di legittimità, inclusa quella citata nell’ordinanza interlocutoria n. 16454/2023, per cui la sottoscrizione dell’atto svolge un ruolo determinante nel collegare il testo al presunto autore, garantendo così la certezza della sua paternità nell’ambito del procedimento legale.
L’obiettivo di garantire la certezza della paternità dell’atto processuale può essere raggiunto anche attraverso altri mezzi, ma tali mezzi devono essere in grado di consentire comunque di identificare l’autore dell’atto stesso.
Tuttavia, nonostante l’assenza di firma digitale sul ricorso nativo digitale notificato tramite PEC non è stata messa in discussione la possibilità di attribuire il ricorso alla difesa erariale dell’Avvocatura generale dello Stato. Questa attribuzione è stata supportata dalla notifica  tramite indirizzo PEC registrato nei pubblici registri e riconducibile, senza dubbio, alla stessa Avvocatura.

La difesa erariale

Secondo i giudici di legittimità, la difesa affidata all’Avvocatura dello Stato si distingue per la sua natura impersonale, definita dalla legge stessa, a differenza della rappresentanza legale di altri enti pubblici che solitamente si avvalgono di avvocati appartenenti ai propri uffici legali o del libero foro.
La difesa impersonale dell’Avvocatura dello Stato è stata sottolineata più volte dalla giurisprudenza di legittimità. Infatti, la Suprema Corte ha stabilito che gli avvocati dello Stato possono essere sostituiti nel compimento degli atti processuali relativi allo stesso procedimento, pertanto la validità dell’atto introduttivo non è compromessa se la sottoscrizione è apposta da un avvocato diverso da quello che ha redatto l’atto, purché entrambi siano abilitati alla difesa legale erariale.
Nonostante l’attestazione abbia affermato che l’originale informatico dell’atto sia stato “firmato digitalmente dall’Avvocato dello Stato, quest’ultima è chiaramente riferita al ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate contro la Unicar s.r.l.: dunque, le dichiarazioni dell’attestazione possono essere paragonate alla certificazione dell’autenticità della firma della procura alle liti.
Dunque, le Sezioni Unite hanno confermato la provenienza dell’atto giuridico da fonti alternative affidabili. Nel caso di specie, la comunicazione del ricorso attraverso PEC dell’Avvocatura generale dello Stato insieme al deposito della sua versione cartacea corredata da un’attestazione di conformità firmata dall’avvocato dello Stato, ha fornito prove chiare circa l’autenticità del documento.

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Principio di diritto

In conclusione, le Sezioni Unite Civili hanno ribadito, alla luce dei principi di effettività della tutela giurisdizionale, che il ricorso per cassazione, presentato in formato digitale e notificato per via telematica, deve essere necessariamente sottoscritto con firma digitale per evitare la nullità dell’atto. Tuttavia, è stata sottolineata la possibilità di attribuire la paternità certa dell’atto anche attraverso altri elementi qualificanti, come la notificazione dalla casella PEC dell’Avvocatura generale dello Stato e il deposito della copia cartacea con attestazione di conformità sottoscritta dall’avvocato dello Stato.

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Autore di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.

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