Falsificazione della procura alle liti: le Sezioni Unite sul “dovere di verità” dell’avvocato

Le Sezioni Unite Civili della Cassazione, con l’ordinanza n. 26473 del primo ottobre 2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), tornano ad affermare che il dovere di verità costituisce un cardine irrinunciabile dell’etica forense. La pronuncia, che conferma la sospensione di un avvocato dall’esercizio della professione per aver alterato la data di una procura alle liti, riafferma che la mera manipolazione di un documento difensivo integra di per sé illecito disciplinare, indipendentemente da ogni intento fraudolento o vantaggio personale.

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Formulario commentato del nuovo processo civile

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I fatti: la modifica della procura e la sanzione disciplinare

Il procedimento disciplinare origina da una segnalazione di un tribunale al COA: un avvocato aveva alterato la data di una procura alle liti originariamente rilasciata dal proprio cliente per un diverso procedimento.
Il mandato, autenticato e depositato in un primo giudizio, era stato successivamente riutilizzato in un secondo procedimento dopo averne modificato la data di conferimento, così da farlo apparire come rilasciato in un momento successivo.

Gli accertamenti del Consiglio Distrettuale di Disciplina e del Consiglio Nazionale Forense (CNF) hanno evidenziato una reiterata falsificazione dello stesso atto, in momenti distinti e per differenti giudizi. La condotta è stata ritenuta lesiva dei principi di lealtà, correttezza, probità e dignità di cui agli artt. 4 e 50 del Codice Deontologico Forense (CDF).

Il CNF ha quindi inflitto la sospensione dall’esercizio della professione per un anno e sei mesi, respingendo la difesa del legale che aveva invocato l’assenza di dolo e il consenso del cliente come elementi esimenti.

Il ricorso per cassazione: la tesi difensiva

Nel ricorso alle Sezioni Unite, il professionista ha sostenuto che la propria condotta non integrasse dolo disciplinare, essendo stata dettata dall’intento di avviare un nuovo giudizio senza procurare danno a nessuno, né tantomeno “confondere il giudice”.

Secondo la difesa, la semplice modifica della data non avrebbe alterato la validità sostanziale del mandato, che restava firmato e autenticato dallo stesso avvocato.
Inoltre, egli contestava che la sanzione fosse eccessiva rispetto alla gravità del fatto e che il CNF non avesse tenuto conto della sua ammissione e resipiscenza.

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La risposta delle Sezioni Unite: il dovere di verità come obbligo assoluto

Le Sezioni Unite hanno respinto integralmente il ricorso, chiarendo che il ricorso avverso le decisioni del CNF è ammesso solo per incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge, e non per una diversa valutazione dei fatti.

Secondo la Corte, l’avvocato che consapevolmente altera un atto autenticato, anche solo nella data, viola il dovere di verità previsto dall’art. 50 CDF. Il comportamento costituisce illecito deontologico “per il solo fatto di essere stato compiuto”, poiché l’autenticazione da parte del difensore, in quanto pubblico ufficiale, attesta non solo la firma del cliente ma anche la verità della data e dello scopo dell’atto.

In tale prospettiva, non assume rilievo il consenso del cliente o l’assenza di pregiudizio concreto, poiché la condotta in sé mina l’affidabilità della funzione difensiva e l’onorabilità dell’intera categoria.

Elemento soggettivo e presunzione di colpa professionale

Le Sezioni Unite hanno affrontato anche il tema della suitas della condotta, ossia della consapevolezza dell’atto compiuto.

Richiamando la propria giurisprudenza (Cass. SS.UU. n. 13456/2017; n. 8242/2020), la Corte ha ribadito che, nel procedimento disciplinare, vi è una presunzione di colpa per l’atto sconveniente: spetta al professionista dimostrare l’errore inevitabile o la causa esterna che lo ha determinato. Nel caso concreto, tale prova non è stata fornita: l’avvocato ha alterato più volte la stessa procura, in piena coscienza dell’illiceità della condotta.

La Corte ha qualificato pertanto l’azione come volontaria, consapevole e reiterata, idonea a ledere in modo grave la dignità e il decoro della professione.

La sanzione e il principio ricavabile

La Corte ha giudicato inammissibile il secondo motivo di ricorso, relativo alla presunta sproporzione della sanzione. La Cassazione ha confermato la sospensione, sottolineando che la manipolazione di un atto difensivo, specie di una procura alle liti, rappresenta una delle violazioni più gravi del dovere di lealtà.

Di conseguenza, l’avvocato che produca in giudizio un atto consapevolmente alterato, anche solo nella data, viola i doveri di verità e probità di cui agli artt. 4 e 50 del Codice Deontologico Forense, indipendentemente dal dolo specifico o dall’esistenza di un danno.

Falsificazione della procura alle liti e responsabilità disciplinare: la decisione in sintesi

Cosa prevede l’art. 50 del Codice Deontologico Forense?

Vieta all’avvocato di introdurre nel processo prove, elementi di prova, o documenti che sappia essere falsi.

Alterare solo la data della procura è sufficiente a integrare l’illecito?

Sì. Le Sezioni Unite hanno ritenuto che anche la mera variazione della data rappresenti una falsificazione materiale idonea a ledere il “dovere di verità”.

Può rilevare il consenso del cliente all’alterazione?

No. Il mandato difensivo è un atto pubblico certificato dal legale come pubblico ufficiale: non è nella disponibilità delle parti modificarne il contenuto.

La buona fede o la resipiscenza attenuano la sanzione?

Solo se dimostrano un errore inevitabile o una causa esterna. In mancanza, l’illecito resta pienamente sanzionabile.

Quali sono le conseguenze disciplinari?

La condotta comporta la sospensione dall’esercizio della professione, proporzionata alla gravità del fatto e alla lesione del prestigio dell’Avvocatura.

Conclusioni

La Cassazione, con l’ordinanza n. 26473/2025, riafferma che il dovere di verità è un presidio etico e istituzionale della difesa tecnica. Non esistono margini di tolleranza per l’avvocato che alteri anche un solo elemento formale di un atto: la credibilità della professione si fonda sulla verità, non sulla convenienza.

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