Exceptio doli: fondamento e applicazioni giurisprudenziali

L’exceptio doli è un rimedio generale a fronte di condotte fraudolenti lesive della sfera giuridica altrui, attraverso il quale il soggetto leso può paralizzare l’esercizio abusivo dell’altrui diritto.

L’ordinamento non codifica, attraverso una norma di portata generale, il rimedio dell’eccezione di dolo; la giurisprudenza suole affiancarla alla fattispecie di abuso del diritto di cui condivide ratio e fondamento giuridico.

L’abuso del diritto

L’abuso del diritto è un istituto giuridico in base al quale un diritto non può essere esercitato per perseguire un fine diverso da quello stabilito dal legislatore o secondo modalità che tradiscono la ratio del diritto stesso.

Nel diritto romano classico, l’abuso era una figura sconosciuta al diritto; chi si macchiava di una condotta abusiva era passibile di biasimo da parte della collettività.

Soltanto a far data dai primi lavori preparatori al codice civile, il legislatore riconosce una figura generale di abuso all’allora art. 7.[1]

La vaghezza descrittiva della fattispecie, tuttavia, ha indotto il legislatore del codice a estromettere una figura generale di abuso del diritto e, viceversa, a optare per la disciplina di singole e specifiche ipotesi.

Nonostante questa presa di posizione da parte del legislatore, il cui fondamento è senz’altro da individuare nel timore di una strumentalizzazione della fattispecie da parte dell’organo giudicante, la giurisprudenza ne ha elaborato una figura generale.

A livello codicistico, il fondamento dell’abuso del diritto è rappresentato dall’art. 833 c.c.

La disposizione sanziona il proprietario che, nell’esercizio delle facoltà riconosciute dalla legge quali espressione del diritto di proprietà, ne abusi cagionando danno a terzi.

L’abuso del diritto è quindi delineato come principale limite all’esercizio di un diritto e per questa ragione si suole ricondurlo, nell’individuare il fondamento giuridico, alla clausola generale di buona fede.

La buona fede e il divieto di abuso modale

La buona fede è una regola precettiva attraverso cui il legislatore soppesa l’esercizio dei diritti attribuiti ai consociati, bilanciandoli.

Nella sua accezione di buona fede – solidarietà, tratta da una lettura combinata dell’art. 2 Cost. e 1175 c.c., esprime un divieto di soddisfazione egoistica degli interessi.

Tale è quella di colui che, attraverso il legittimo esercizio di un diritto, cagiona una sofferenza alla controparte, o a un terzo, non giustificabile neppure in rapporto alla soddisfazione che l’esercente ne ha tratto.

La clausola di buona fede così intesa consente di individuare il fondamento costituzionale della figura di abuso del diritto. Secondo la classificazione più nota in dottrina, l’art. 2 Cost. costituisce il fondamento del cd. divieto di abuso modale.

Esso consta della condotta di chi soddisfa un proprio interesse attraverso modalità sproporzionate.

Gli elementi costitutivi della fattispecie, quindi, sono

  • la presenza di un diritto da esercitare;
  • un ventaglio di modi differenti per soddisfarlo;
  • la sproporzione tra soddisfazione, tratta dal titolare,
  • e il sacrificio del destinatario del suo esercizio.

Il recesso ad libitum

Il leading case sul punto è rappresentato dal cd. recesso “ad libitum[2]”.

Il recesso è un diritto potestativo che consente al suo titolare di liberarsi dal vincolo contrattuale quando quest’ultimo non sia più produttivo di utilità.

Tuttavia, il suo esercizio cagiona una lesione nella sfera giuridica della controparte che, potenzialmente, sia ancora interessata al contratto.

Nonostante ciò, il legislatore consente alle parti di riconoscere, l’una all’altra, un diritto di recesso ad nutum allorché il sacrificio degli interessi del destinatario dell’esercizio del diritto di recesso sia bilanciato dall’altrui soddisfazione e non anche quando detta soddisfazione può essere ottenuta con modalità differenti, idonee a evitare un sacrificio degli interessi della controparte.

In quest’ultima ipotesi, l’esercizio del diritto di recesso è ritenuto abusivo da parte dell’ordinamento, che offre, alla parte che ne subisce gli effetti, il rimedio generale dell’exceptio doli: colui che subisce l’esercizio abusivo di un diritto diventa titolare di un diritto uguale e contrario che consente di paralizzare la pretesa abusiva.

L’abuso di fine

Dall’abuso modale occorre, in ultimo, distinguere il cd. abuso di fine.

Si tratta, in particolare, della condotta di chi utilizza un diritto per un fine improprio.

In particolare, l’abuso nei fini è caratterizzato per una coincidenza formale dell’esercizio alla fattispecie legale tipizzata, realizzata, tuttavia, per un fine in concreto in contrasto con la ratio del diritto stesso.

Il fondamento costituzionale è comunemente individuato nell’art. 41 Cost.

Si suole, infatti, ritenere che ogni diritto genera una duplice utilità: quella individuale della parte che lo esercita nonché quella sociale, indirettamente generata, che consiste nella circolazione di ricchezza.

L’utilità sociale, oltre a essere fine ultimo dell’ordinamento, esprime anche il principale limite dell’esercizio dei diritti: ogni diritto può essere esercitato nella misura in cui esso sia autorizzato da una norma.

Conseguentemente l’esercizio di un diritto in concreto abusivo, che tradisce la ragione per la quale il diritto è stato attribuito, è contrario all’ordinamento nella misura in cui esso non è più sorretto da una norma che ne autorizzi gli effetti.

Ciò posto, il fondamento dell’abuso è oggi riconosciuto anche a livello sovranazionale.

In particolare, l’art. 17 CEDU prevede che è fatto divieto agli Stati aderenti al trattato internazionale di compiere atti in qualche misura lesivi degli standard minimi di tutela approntati dalla Convenzione.

La medesima disposizione è, altresì, prevista dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE all’art. 54.

L’eccezione di dolo

Tutto ciò premesso, a fronte di una condotta abusiva l’ordinamento reagisce, come in premessa anticipato, attraverso la figura generale dell’eccezione di dolo.

Essa consiste in un rimedio, tipico e atipico, attraverso cui la parte può paralizzare la pretesa avversa qualora abusiva.

Si tratta di un istituto giuridico di diritto romano di origine pretoria che veniva concessa al convenuto per difendersi da azioni fondate sul diritto, il cui esercizio si configurava non conforme all’equità in quanto ispirato da un contegno doloso.

Tale eccezione è un rimedio di carattere generale che consente di contrastare, nello svolgimento di un processo, una pretesa che, sebbene in astratto fondata, mira in concreto a raggiungere una finalità fraudolenta.

La differenza tra exceptio doli generale e speciale

L’exceptio doli può essere di due tipologie:

  • generale (o attuale)
  • e speciale (o pregressa).

Quello attuale rappresenta un rimedio di carattere generale utilizzabile anche al di fuori delle ipotesi espressamente codificate; esso è diretto a precludere l’esercizio fraudolento o sleale dei diritti di volta in volta attribuiti dall’ordinamento, paralizzando l’efficacia dell’atto.

Quello antecedente, viceversa, indica il dolo commesso al tempo della conclusione dell’atto ed è diretta a far valere (in via di azione o di eccezione) l’esistenza di raggiri impiegati per indurre un soggetto a porre in essere un determinato negozio, al fine di ottenerne l’annullamento, ovvero a denunziare la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto.

Tale eccezione assume rilievo, quale dolo incidente, nel caso in cui l’attività ingannatrice abbia influito su modalità del negozio che la parte non avrebbe accettato se non fosse stata fuorviata dal raggiro e non comporta l’invalidità del contratto, ma la responsabilità del contraente in mala fede per i danni arrecati dal suo comportamento illecito.

In altre parole, mentre l’exceptio doli attuale concerne la valutazione secondo buona fede del comportamento nel momento in cui si aziona il diritto, il dolo pregresso (o speciale) fa riferimento al momento fraudolento della stipulazione contrattuale e, quindi, al momento in cui nasce il diritto [3].

Il dolo cd. causam dans e il dolo incidens

Nel tentativo di operare un’ulteriore ripartizione di exceptio doli, la dottrina suole distinguere a seconda che l’eccezione di dolo abbia a oggetto un dolo cd. causam dans ovvero cd. incidens.

Nella prima ipotesi, l’eccezione di dolo sarà diretta a invalidare il rapporto atteso che il comportamento doloso della parte ha determinato la nascita di un vincolo giuridico che, altrimenti, non sarebbe sorto: ipotesi paradigmatica è quella di cui all’art. 1439 c.c.

Viceversa, nella seconda ipotesi, il dolo che assiste la condotta fraudolenta di una parte non è sufficientemente intenso da indurre alla nascita di un rapporto giuridico che altrimenti non sarebbe sorto, tuttavia, è idoneo ad alterare l’equilibrio contrattuale, rendendo più gravosa la prestazione della parte danneggiata dalla condotta abusiva: ipotesi paradigmatica è quella di cui all’art. 1440 c.c.

In questi casi è il legislatore che contempla forme di tutela specifiche in favore della parte lesa dalla condotta fraudolenta atteso che l’eccezione di dolo che viene in considerazione appartiene alla categoria del dolo cd. speciale o pregresso; ossia, come già evidenziato, quella forma di comportamento doloso che insiste sull’an e non anche sul quomodo di esecuzione del rapporto.

Tuttavia, l’eccezione di dolo esplica tutta la sua pregnanza nelle ipotesi non disciplinante dall’ordinamento ma elaborate dalla giurisprudenza.

I casi giurisprudenziali di exceptio doli

Si tratta delle fattispecie, più comuni nella pratica, di dolo generale ossia afferente alle modalità di esercizio di un diritto che, in astratto, corrisponde allo schema legale predisposto dal legislatore, perseguendo le finalità e le utilità per le quali il diritto è concesso; in concreto, invece, il suo esercizio è strumentale a cagionare un pregiudizio nei confronti del destinatario; a fronte di una condotta siffatta, l’interessato ha diritto di eccepire l’eccezione di dolo che si sostanzia un rifiuto, da parte dell’Organo giudicate, di tutela del diritto azionato in processo.

Il frazionamento del credito

In relazione alle fattispecie di exceptio doli atipica elaborate da parte della giurisprudenza, in ambito processuale, il leading case è rappresentato dal cd. frazionamento del credito.

Si tratta dell’ipotesi di chi, essendo creditore di una determinata somma monetaria, ricorre al giudice per ottenere l’adempimento coattivo, attraverso la proposizione di un ricorso per ingiunzione, frazionando la pretesa.

La scomposizione della somma in plurimi ricorsi per ingiunzione, per una certa giurisprudenza, è stata ritenuta frutto di una condotta abusiva, sanzionabile da parte del giudicante attraverso la declaratoria di inammissibilità del ricorso quale espressione settoriale della generale figura di eccezione di dolo.

Recentemente, invece, le Sezioni Unite della Cassazione[4] hanno delineato puntualmente il perimetro applicativo del frazionamento lecito distinguendolo da quello fraudolento.

Muovendo da un giudizio di bilanciamento tra interessi, sotteso alla clausola generale di buona fede, si è evidenziato che ben può essere nell’interesse del creditore frazionare il proprio credito, vantato nei confronti del debitore, al fine di ottenere una più rapida soddisfazione.

Questa attività di frazionamento del credito, di per sé lecita, diviene espressione di un abuso del diritto ogni qual volta si intenda scomporre una somma monetaria che deriva dalla medesima posta di credito.

Il divieto di venire contra factum proprium

Ulteriore applicazione processuale è stata operata dalla giurisprudenza amministrativa in relazione al cd. divieto di venire contra factum proprium[5].

In particolare, la giurisprudenza ha sanzionato la condotta del ricorrente che, avendo instaurato la lite e, quindi, individuato la competenza giurisdizionale, abbia in grado d’appello, essendo risultato soccombente con la sentenza di primo grado, eccepito il difetto di giurisdizione.

Il contratto autonomo di garanzia

In sede sostanziale, invece, la giurisprudenza ha fatto applicazione della figura di exceptio doli in materia di contratto autonomo di garanzia.

Il contratto autonomo di garanzia è un negozio giuridico bilaterale attraverso cui una parte, detta garante, si impegna a pagare a semplice richiesta del creditore, il debito di un terzo, detto garantito.

Questo contratto si caratterizza per l’autonomia rispetto al rapporto garantito, con la conseguenza che il garante non potrà opporre al creditore le eccezioni afferenti il rapporto garantito.

Conseguentemente, è possibile che il creditore escuta la garanzia anche in ipotesi di invalidità del negozio principale.

Il garante, a fronte della pretesa abusiva, potrà paralizzare la richiesta attraverso l’eccezione di dolo.

Le sopravvenienze

Ulteriore ipotesi applicativa si è registrata in tema di cd. sopravvenienze.

Le sopravvenienze sono un accadimento accidentale che insiste su un rapporto giuridico preesistente e duraturo, mutandone i presupposti strutturali.

Accedendo alla tesi, per vero maggioritaria, che ammette nell’ordinamento giuridico l’istituto delle sopravvenienze atipiche, la giurisprudenza si è interrogata circa l’individuazione di uno strumento atto a gestirle.

Una parte della giurisprudenza ha ravvisato la clausola generale di buona fede quale rimedio principale.

L’exceptio doli in materia di usura

Ipotesi paradigmatica di sopravvenienze in cui la giurisprudenza ha fatto ricorso all’exceptio doli è quella in materia di usura.

Si tratta di una fattispecie, vietata dall’ordinamento, che si caratterizza nella stipulazione di interessi corrispettivi convenzionali superiori al tasso soglia individuato trimestralmente dal Ministero del tesoro.

L’ordinamento contempla il fenomeno dell’usura, sanzionandolo, all’art. 1815, co. 2, c.c.

La fattispecie disciplina l’ipotesi di usura originaria che insiste sul contratto già al momento della stipula.

Viceversa, l’usura quale sopravvenienza atipica è quel fenomeno che insiste su un contratto duraturo nel tempo, come può essere quello di mutuo, che, al momento della stipula, era lecito perché legittimo era il tasso di interesse convenzionalmente pattuito.

A seguito della rideterminazione del tasso soglia trimestrale, tuttavia, l’interesse pattuito diviene superiore al limite legale e quindi usurario.

La parte che, fraudolentemente, chieda l’adempimento della prestazione divenuta usuraria, commette una condotta abusiva.

A fronte della condotta abusiva, l’ordinamento attribuisce alla parte lesa l’eccezione di dolo.

Quest’ultima si caratterizza perché non è nella disponibilità della parte già al momento della nascita del vincolo contrattuale bensì è eventuale e dipendente sia dalla sopravvenienza atipica, che come detto è un accadimento accidentale ed eventuale, sia dalla volontà del creditore di escutere, essendo entrato a conoscenza dell’usurarietà del tasso, in origine lecito, la prestazione di interessi.

Conclusioni

In conclusione, l’exceptio doli costituisce uno strumento generale di difesa della parte debole a fronte di condotte fraudolente che tendono ad alterare l’equilibrio tra posizioni coinvolte in un rapporto giuridico.

Così intesa, l’exceptio doli contribuisce a innalzare la soglia di tutela a fronte della violazione della clausola di buona fede e, nella stessa, trova il proprio fondamento giuridico.

Muovendo dalla centralità della clausola generale di buona fede può trarsi la ragione del mancato riconoscimento codicistico della figura dell’exceptio doli: l’ordinamento sembrerebbe aver preferito svincolare da schemi rigidi, quali sono quelli codicistici, il rimedio dell’eccezione di dolo onde garantire una maggior soglia di tutela a fronte di condotte abusive che ledono uno dei tre pilastri[6] dell’ordinamento stesso: la buona fede.


Bibliografia:

  • FRATINI M., Compendio di diritto civile, V edizione, anno 2017/2018, Nel diritto editore;
  • CHINE’ G. – FRATINI M. – ZOPPINI A., Manuale di diritto civile, VIII edizione, anno 2016/2017, Nel diritto editore;
  • FRATINI M., Il sistema del diritto civile, vol. 1 “Le obbligazioni”, I edizione, anno 2016/2017, Dike giuridica editrice;

[1] CARNEVALI U., Commentario al codice civile, “DEI FATTI ILLECITI (art.2043 art. 96c.p.c.), Volume 1”, anno 2011, UTET Giuridica editrice: “(…) l’art. 7 del Progetto definitivo delle «Disposizioni sulla pubblicazione e l’applicazione della legge in generale» (corrispondenti a quelle che saranno le «Disposizioni sulla legge in generale» del codice civile poi promulgato) un principio che riproduceva il capoverso dell’art. 74 del Progetto italo-francese: «Nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con Io scopo per cui il diritto medesimo gli è riconosciuto».

La formula dell’art. 7 del Progetto definitivo – come si sa – fu alla fine soppressa sulla ragione che in tale collocazione appariva «insufficiente», «isolata» e «indistinta» e si decise che di ciò che con essa si voleva evocare si tenesse conto nella trattazione dei singoli istituti

Nella Relazione del Guardasigilli al Progetto definitivo si leggerà, al n. 652, che «in relazione al divisamento di tratta re in altra sede del c.d. abuso del diritto ho soppresso il secondo comma dell’art. 74 del progetto del 1936, che tanti dissensi aveva sollevato».

In realtà, le resistenze che l’introduzione del precetto generale dell’art. 7 del Progetto definitivo suscitava, concernevano tanto il rischio che tale principio tracimasse dal confine definito che intendeva attribuirgli il riferimento – per così dire – tecnico alla «buona fede» e allo «scopo per cui il diritto era riconosciuto» alla diversa e ben più politica questione della «funzione sociale del diritto», che l’insidia che da una tale tracimazione poteva venire alla certezza del diritto”.

[2] Corte di Cassazione Sez. III Civile, 18 settembre 2009, n. 20106: Si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti. Ricorrendo tali presupposti, è consentito al giudice di merito sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale, a prescindere dall’esistenza di una specifica volontà di nuocere, senza che ciò costituisca una ingerenza nelle scelte economiche dell’individuo o dell’imprenditore, giacché ciò che è censurato in tal caso non è l’atto di autonomia negoziale, ma l’abuso di esso (in applicazione di tale principio, è stata cassata la decisione di merito la quale aveva ritenuto insindacabile la decisione del concedente di recedere ad nutum dal contratto di concessione di vendita, sul presupposto che tale diritto gli era espressamente riconosciuto dal contratto).

[3] FRATINI M., Compendio di diritto civile, V edizione, anno 2017/2018, Nel diritto editore, pag. 351 e 352 cit.

[4] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 16 febbraio 2017,n. 4090: Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183, c.p.c.,  riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie art. 101, co. 2, c.p.c.

[5] Consiglio di Stato ad. plen., 28/07/2017, n. 4: La parte risultata vittoriosa di fronte al tribunale amministrativo sul capo di domanda relativo alla giurisdizione non è legittimata a contestare in appello la giurisdizione del giudice amministrativo.

[6] Si suole, infatti, comunemente affermare che l’Ordinamento giuridico civilistico fonda su tre clausole generali: la clausola di buona fede cd. oggettiva; il principio del neminem leadere; il principio di necessaria causalità dei traffici giuridici.

Avvocato dal 2015. Laureato in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Reggio Calabria, con tesi in diritto civile dal titolo la "Destinazione patrimoniale nell'interesse della famiglia". Diplomato presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli Studi di Reggio Calabria con tesi in diritto penale dal titolo la "Natura giuridica delle linee guida e grado della colpa nella giurisprudenza successiva al decreto Balduzzi", relatore Prof. Avv. Patrizia Morello.

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