Estinzione del processo per omesso pagamento del CU: il nuovo art. 307 bis cpc

Il Consiglio dei Ministri, riunitosi il 15 ottobre 2024, ha approvato il Disegno di Legge di Bilancio 2025 al fine di definire l’azione di governo per la politica economica nel corso del prossimo anno (qui puoi trovare il testo integrale del Disegno di legge sulla Manovra 2025).

Tra le tante novità, ve n’è una che riguarderà il codice di procedura civile, rubricata tra le “Norme di revisione della spesa in materia di giustizia”. Una modifica particolarmente delicata e destinata a sollevare numerose critiche, oltre ad incidere sull’attività professionale di tutti gli avvocati ed operatori del diritto, che ha proposto l’introduzione, di fatto, di una nuova condizione di procedibilità giudiziale prevedendo l’estinzione del processo in caso di omesso o parziale pagamento del contributo unificato.

Mi chiamo Gabriele Voltaggio, sono un avvocato di Roma e questa è un’analisi del Disegno di Legge sulla Manovra 2025 e della proposta di introduzione dell’art. 307 bis c.p.c. che ho preparato per tutti i Colleghi avvocati e per i professionisti del settore, per cercare di rimanere aggiornati sulle novità proposte che ci riguardano da vicino.

La nuova norma proposta

L’art. 105 del DDL Bilancio 2025 prevede che “Dopo l’art. 307 del Codice di procedura civile è inserito il seguente:

Art. 307-bis c.p.c.

(Estinzione del processo per omesso o parziale pagamento del contributo unificato)

Il processo si estingue per omesso o parziale pagamento del contributo unificato.
Alla prima udienza il giudice, verificato l’omesso o il parziale pagamento, assegna alla parte interessata termine di trenta giorni per il versamento o l’integrazione del contributo e rinvia l’udienza a data immediatamente successiva. A tale udienza il giudice, in caso di mancato pagamento nel termine assegnato, dichiara l’estinzione del giudizio.
In caso di mancato o parziale pagamento, nel termine assegnato ai sensi del secondo comma, del contributo unificato dovuto per la proposizione della domanda riconvenzionale, per la chiamata in causa, per l’intervento volontario in confronto di tutte le parti o per la proposizione dell’impugnazione incidentale, il giudice dichiara l’improcedibilità della domanda cui si riferisce l’inadempimento.
Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano ai procedimenti cautelari e possessori. Si applicano alle controversie disciplinate dal rito del lavoro e al processo esecutivo.

L’iscrizione a ruolo “a debito” e il recupero forzoso del C.U.

Nella prassi attuale, in caso di iscrizione a ruolo di un giudizio eseguita “a debito”, ovvero disposta senza l’allegazione della ricevuta di pagamento del contributo unificato, gli uffici giudiziari sono tenuti ad accettare ugualmente il deposito.

Contestualmente, la cancelleria invia una comunicazione all’avvocato depositante di provvedere al deposito della ricevuta telematica di pagamento del contributo unificato entro un termine (solitamente fissato in 30 giorni), con avvertimento che in caso di omesso o incompleto pagamento, la pratica sarà inoltrata all’Agenzia delle Entrate Riscossione per il recupero forzoso del Contributo Unificato dovuto e non pagato.

In altre parole, al netto delle sanzioni fiscali previste per l’omesso o incompleto pagamento del CU dovuto, tale inadempimento non comporta al momento alcuna ricaduta pregiudizievole sul diritto di difesa, non impedendo né rendendo più gravosa l’azione giudiziaria, in quanto la parte che ricorre al processo giudiziale è ben informata di non avere assolto a un obbligo posto a suo carico e delle conseguenze connesse al mancato o parziale adempimento.

Conseguenze in caso di mancato pagamento del contributo unificato

In applicazione della nuova norma proposta, così come formulata, il mancato pagamento (anche parziale) del contributo unificato, ove non sanato entro il termine di 30 giorni fissato dal giudice di comparizione alla prima udienza, comporterebbe invece l’immediata estinzione del giudizio.

La modifica propone così l’introduzione, di fatto, di una nuova causa di procedibilità o ammissibilità dell’azione giudiziale, che escluderebbe la prassi vigente del recupero forzoso successivo del C.U. dovuto ed è, almeno ad una prima lettura e salvo successive modifiche, destinata a suscitare le prevedibili critiche delle categorie professionali coinvolte.

Le criticità della riforma: la potenziale lesione del diritto di difesa

Già in passato, alcune situazioni simili (come ad esempio la prassi utilizzata in alcuni Tribunali di rilasciare l’esecutorietà delle sentenze solo a fronte del pagamento dell’imposta di registro o il tentativo di subordinare l’iscrizione a ruolo di un giudizio al preventivo pagamento del CU) avevano sollevato aspri confronti in merito al rapporto tra il diritto del cittadino di rivolgersi agli organi giudiziari e il corrispondente dovere dello Stato di non rifiutare indebitamente la prestazione del servizio giudiziario in caso di omesso o mancato pagamento del contributo unificato dovuto.

Modifiche di questo tipo prestano infatti il fianco a censure formulate ai sensi dell’art. 24 Cost., atteso che tale norma – come peraltro la Corte Costituzionale avrebbe riconosciuto nella sentenza n. 21 del 1961 nel dichiarare l’incostituzionalità del solve et repete – garantisce il diritto di agire in giudizio a tutti allo scopo di assicurare l’uguaglianza di diritto e di fatto dei cittadini in ordine alla possibilità di ottenere tutela giurisdizionale.

Si tratta naturalmente di un disegno di legge, come tale modificabile. Ma v’è già chi ritiene che la novella, così come proposta, vada a pregiudicare il fondamentale diritto alla difesa, subordinandolo al pagamento di un’imposta. D’altronde, la stessa Corte Costituzionale con la sentenza 19 gennaio 1993, n. 8 aveva ritenuto che, “non essendo il mancato od insufficiente pagamento dell’imposta di bollo ostativo alla produzione in giudizio di documenti e di difese scritte, resterebbe escluso che tale forma di imposizione possa precludere o pregiudicare il diritto di agire in giudizio riconosciuto dall’art. 24, primo comma, della Costituzione”

Il rischio, allora, è quello di non tener conto del diritto di difesa tutelato dall’art. 24, comma 1, della Costituzione, che non si limita ad assicurare l’accesso ad un giudice, ma garantisce l’effettività della tutela, eliminando “qualsiasi limitazione che ne renda impossibile o difficile l’esercizio da parte di uno qualunque degli interessati” assicurando in tal modo un “giusto processo“.

Si consideri poi l’ulteriore allungamento della durata del giudizio in caso di rinvio d’udienza disposto al fine di consentire alle parti di porre rimedio all’omesso o incompleto pagamento del contributo unificato. Il comma 2 parla infatti genericamente di “data immediatamente successiva” senza alcun preciso riferimento temporale: nella pratica, la data di rinvio rischierebbe dunque di essere soggetta a variazioni imprevedibili, differenti a seconda dell’autorità giudiziaria adita, del luogo del tribunale e della sezione competente, con tempi non preventivabili e presumibilmente dilatati.

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