Effetti della liquidazione coatta amministrativa nel giudizio di legittimità

in Giuricivile, 2020, 6 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., sez. I civ. , sent. 22.05.2020, n. 9461

Gli effetti della liquidazione coatta amministrativa nel giudizio di legittimità: improcedibilità delle azioni creditorie avviate prima dell’apertura di una procedura concorsuale.

Con la sentenza n. 9461 del 22 maggio 2020 la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulla procedibilità, nel corso del giudizio di cassazione, della domanda di risarcimento proposta da chi si afferma creditore prima dell’apertura di una procedura concorsuale.

Nella specie, la S.C. ha dichiarato improcedibile la domanda di risarcimento proposta dal cliente di un istituto di credito sottoposto a liquidazione coatta amministrativa pendente lite, nel corso, cioè, del giudizio di legittimità, dopo che la banca ancora in bonis era rimasta soccombente in fase di appello.

Premessa

In attuazione del principio della par condicio creditorum, l’art. 52 l. fall. (R.D. n. 267/1948) dispone che: “il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito”.

Il secondo comma della medesima disposizione prevede poi che dopo la sentenza dichiarativa di fallimento, che apre il concorso dei creditori sul patrimonio del fallito, “ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o trattato ai sensi dell’articolo 111, primo comma, n. 1), nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal Capo V, salvo diverse disposizioni della legge“.

Tanto i crediti, dunque, quanto i diritti reali o personali, sono devoluti al rito di accertamento del passivo di cui agli artt. 93 ss. l. fall.

In altri termini, con l’apertura del concorso i creditori del fallito diventano creditori concorsuali e possono realizzare il loro credito solo attraverso la procedura fallimentare, in seguito all’accertamento giudiziale di quest’ultimo nelle modalità stabilite dalla legge fallimentare.

Il suddetto principio vale per espressa volontà legislativa anche per le ipotesi di liquidazione coatta amministrativa, che ai sensi dell’art. 80 e ss. del TUB costituisce una procedura concorsuale e, come tale, è assoggettata all’art. 52 l. fall., che concentra l’accertamento dei crediti nella sede fallimentare.

In particolare, l’art. 80 TUB dispone che: “Le banche non sono soggette a procedure concorsuali diverse dalla liquidazione coatta prevista dalle norme della presente sezione; per quanto non espressamente previsto si applicano, se compatibili, le disposizioni della legge fallimentare” e l’art. 83, co. III, dello stesso TUB statuisce che alla liquidazione coatta amministrativa si applicano le disposizioni del titolo II, capo III, sezione II e sezione IV della legge fallimentare (e, dunque, anche la disposizione dell’art. 52 l.f.).

Inoltre, sempre avuto riguardo alla disciplina settoriale, l’art. 83 del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (TUB) dispone, ai primi tre commi, che:

“1. Dalla data di insediamento degli organi liquidatori ai sensi dell’art. 85, e comunque dal sesto giorno lavorativo successivo alla data di adozione del provvedimento che dispone la liquidazione coatta, sono sospesi il pagamento delle passività di qualsiasi genere e le restituzioni di beni di terzi. La data di insediamento dei commissari liquidatori, con l’indicazione del giorno, dell’ora e del minuto, è rilevata dalla Banca d’Italia sulla base del processo verbale previsto all’art. 85, comma 1.

2. Dal termine indicato nel comma 1, si producono gli effetti previsti dagli artt. 42, 44, 45 e 66, nonchè dalle disposizioni del titolo II, capo III, sezione II e sezione IV della L. Fall., art. 23.

3. Dal termine previsto nel comma 1, contro la banca in liquidazione non può essere promossa nè proseguita alcuna azione, salvo quanto disposto dagli artt. 87, 88, 89 e art. 92, comma 3, nè, per qualsiasi titolo, può essere parimenti promosso o proseguito alcun atto di esecuzione forzata o cautelare. Per le azioni civili di qualsiasi natura derivanti dalla liquidazione è competente esclusivamente il tribunale del luogo dove la banca ha la sede legale (…)”.

Con tutta evidenza, la disposizione appena richiamata non prevede l’interruzione del processo di legittimità in conseguenza della messa in liquidazione coatta amministrativa, sotto tale aspetto non discostandosi rispetto a quanto precisato dall’art. 43 L.fall. con riguardo alla dichiarazione di fallimento.

La regola di cui al comma terzo dell’art. 43 l. fall., a mente del quale: “(…) 3. L’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo” non si applica, invero, al processo di legittimità e non ne determina l’interruzione.

Sul punto si è consolidato un indirizzo interpretativo costante ed univoco, confermato anche in occasione della pronuncia in commento, secondo cui “il fallimento di una delle parti avvenuto dopo l’introduzione del giudizio di cassazione non ne determina l’interruzione, atteso che in tale giudizio, dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge” (v. Sez. 1, n. 27143 del 15/11/2017, Rv. 646008-01; da ultimo, v. Sez. trib., 17/03/2020, n.7358).

Tale principio si estende anche alla messa in liquidazione coatta amministrativa (v. ex multis, Cass. Civ. Sez. VI, 23/10/2012, n.18171).

Il caso

La vicenda in esame trae origine dalla citazione di una banca ad opera di un cliente, il quale assumeva di aver concluso un contratto di investimento in fondi in seguito alla sollecitazione della Banca ad aprire un conto fiduciario.

In particolare, l’attore lamentava di aver appreso solo successivamente alla stipulazione la tipologia altamente speculativa dell’investimento effettuato, non essendole stato consegnato né il contratto quadro, né alcun documento informativo, né il documento sui rischi generali; agiva pertanto in giudizio per vedersi dichiarare la nullità o l’annullamento o la risoluzione del contratto con risarcimento del danno.

Costituitosi in giudizio, la banca chiedeva il rigetto delle domande avversarie evidenziando che la documentazione predisposta e consegnata era completa e che parte attrice era stata debitamente informata.

Pur riconoscendo che la percentuale azionaria investita nel fondo avesse superato il limite consentito del 30%, il giudice di prime cure ha rigettato la domanda di parte attrice ritenendo che quest’ultima fosse stata debitamente informata, dal momento che le erano stati consegnati sia il documento rischi generali sia i prospetti informativi e che non vi era alcuna situazione di conflitto di interesse in capo alla banca.

In particolare, nonostante l’inadeguatezza dell’operazione in esame per superamento del surriferito limite del 30%, il Tribunale ha ritenuto maturata la prescrizione quinquennale, vertendosi in tema di responsabilità precontrattuale e quindi extracontrattuale; ha quindi rigettato la domanda e ha condannato l’attrice al pagamento delle spese di lite, in considerazione del rifiuto da parte sua di una offerta transattiva della banca.

La sentenza veniva riformata in esito al gravame proposto da parte attrice, sul presupposto che, ferma restando la sufficienza della documentazione predisposta e fornita al cliente anche in assenza del contratto quadro di cui all’art. 30 del Regolamento Consob 11522/1998, il collocamento aveva superato la componente azionaria dell’investimento (49,51 %), ciò ingenerando una responsabilità contrattuale (e non extracontrattuale) della banca, soggetta a prescrizione decennale e in concreto non decorsa.

Il ricorso per cassazione proposto ad opera della banca soccombente veniva affidato a quattro motivi.

Con il primo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, parte attrice ha denunciato errori di interpretazione e applicazione dell’art. 23 TUF, dell’art. 1, comma 5, TUF, dell’art. 30 Reg. Consob. 11522/1998, essendo necessaria, secondo la ricorrente, la redazione per iscritto del contratto quadro ai sensi dell’art. 23 TUF applicabile ratione temporis.

L’attore ha poi censurato la violazione degli artt. 329, 343 e 112 c.p.c. e art. 29 Reg. Consob. 11522/1998 e del principio del tantum devolutum quantum appellatum, dell’art. 23, comma 6 e 21 TUF, dell’art. 27 Regolamento Consob 11522/1998 in tema di informazioni su operazioni in conflitto di interessi nonché, in ultima istanza, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 21 TUF, artt. 26, 28 e 36 del Reg. Consob. 11522/1998, in tema di informazione attiva e passiva e inadempimento degli obblighi di diligenza.

Con il proprio controricorso incidentale la banca ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione, contestualmente denunciando violazione degli artt. 1321, 1337 c.c. e delle disposizioni in tema di prescrizione.

Secondo la controricorrente incidentale, il superamento del limite del 30% non poteva costituire causa di nullità del negozio di collocamento e nemmeno poteva giustificare una responsabilità contrattuale, ma, semmai solo una responsabilità precontrattuale.

La pronuncia; gli effetti della liquidazione coatta amministrativa in sede di legittimità.

Di particolare interesse è la dichiarazione di improcedibilità, ad opera della Corte di Cassazione, della domanda di risarcimento del danno proposta dal cliente nella fattispecie in esame.

Con la pronuncia in commento, infatti, il giudice di legittimità ha dichiarato improcedibile la domanda attorea sul presupposto che l’ammissione alla procedura di liquidazione coatta amministrativa di una banca determina l’improseguibilità delle domande proposte nei confronti di quest’ultima.

In particolare, afferma la Suprema Corte, dette cause divengono improcedibili a far data dal momento in cui si verificano gli effetti concorsuali della messa in liquidazione verso i terzi, non potendo più essere promossa o proseguita alcuna azione né alcun atto di esecuzione forzata o cautelare, con la conseguente necessità di far valere ogni pretesa attraverso lo speciale rito di insinuazione al passivo previsto agli artt. 86 ss. TUB.

Di conseguenza, ogni credito, inclusi quelli rientranti nell’oggetto del giudizio in fase di impugnazione, deve essere accertato tramite la procedura di ammissione al passivo e l’eventuale giudizio di opposizione, conformemente al principio della par condicio creditorum.

Applicando tali principi al caso di specie, il giudice di legittimità ha affermato che, analogamente a quanto accade per l’accertamento del credito nei confronti del fallimento, se la relativa azione sia stata proposta nel giudizio ordinario di cognizione deve esserne dichiarata d’ufficio, in ogni stato e grado, (ed anche, dunque, nel giudizio di cassazione) l’inammissibilità o l’improcedibilità, a seconda che il fallimento sia stato dichiarato prima della proposizione della domanda o nel corso del giudizio.

L’ammissione alla procedura di liquidazione coatta amministrativa costituisce infatti una questione litis ingressus impediens e presenta quale unico limite preclusivo l’intervenuto giudicato interno (laddove la questione sia stata sottoposta od esaminata dal giudice e questi abbia inteso egualmente pronunciare sulla domanda di condanna rivolta nei confronti del fallimento) e del giudicato implicito, ove l’eventuale nullità derivante da detto vizio procedimentale non sia stata dedotta come mezzo di gravame avverso la sentenza che abbia deciso sulla domanda; ciò, ha chiarito la giurisprudenza, in applicazione dei principi di conversione delle nullità in motivi di impugnazione e di ragionevole durata del processo (Sez. 3, n. 24156 del 04/10/2018, Rv. 651126-01).

In considerazione del fatto che il soggetto sottoposto a liquidazione coatta amministrativa era, nella specie, una banca, la Corte ha precisato che anche «in materia bancaria la norma speciale prevista dall’art. 83 del Testo Unico, con l’inequivocabile disposto del comma 3, esclude che contro la banca in liquidazione coatta possa essere promossa – o, come nella fattispecie, proseguita – alcuna azione, salvo quanto disposto dagli articoli 87, 88, 89 e 92, comma 3, in tema di opposizioni allo stato passivo, e, per qualsiasi titolo, possa essere promosso o proseguito alcun atto di esecuzione forzata o cautelare.

Il comma 2 dello stesso art. 83 sancisce inoltre, quale conseguenza della messa in liquidazione coatta dell’istituto bancario, gli effetti previsti dagli articoli 42, 44, 45 e 66, nonchè dalle disposizioni del titolo II, capo III, sezione II e sezione IV della legge fallimentare (…)

L’art. 96, comma 2, n. 3, seconda parte, della legge fallimentare non è richiamato dall’art. 83 TUB e in ogni caso i commissari liquidatori non hanno proseguito il giudizio di impugnazione.

Di conseguenza, ogni credito, inclusi quelli oggetto del presente giudizio in fase di impugnazione, deve essere accertato, nel rispetto della par condicio, tramite la procedura di ammissione al passivo e l’eventuale giudizio di opposizione».

Alla luce dei richiamati principi, la Corte ha dichiarato improcedibile la domanda.

Osservazioni conclusive

La sentenza della Suprema Corte n. 9461 del 22 maggio 2020 oggetto di commento si pone in linea con il consolidato orientamento che, in applicazione delle norme inderogabilmente poste a tutela del principio della par condicio creditorum, afferma l’improcedibilità, rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del processo (e, dunque, anche nel giudizio di Cassazione) delle domande proposte dai creditori prima dell’inizio della procedura concorsuale, dovendo queste ultime essere opportunamente azionate in sede di formazione e verifica dello stato passivo davanti agli organi della procedura concorsuale.


Nota bibliografica

Cass. civile Sez. 3, n. 24156 del 04/10/2018, Rv. 651126-01;

Cass. civile Sez. 1, n. 27143 del 15/11/2017, Rv. 646008-01;

Cass. civile Sez. Sez. trib., 17/03/2020, n.7358;

Cass. civile Sez. VI, 23/10/2012, n.18171;

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