Donazione: La capacità di donare delle persone giuridiche

Sommario: 1. Premessa: La capacità delle persone – 2. La capacità giuridica e di agire nella riflessione degli interpreti: brevi cenni – 3. La capacità delle persone giuridiche – 4. Compatibilità dell’animus donandi con le caratteristiche delle persone giuridiche –  5. Cass. n. 18449/2015: le persone giuridiche posseggono la capacità di donare, senza alcuna distinzione di sorta – 6. Il caso in esame – 7. La motivazione della sentenza – 8. Conclusioni

1. Premessa: la capacità delle persone

La capacità delle persone è un concetto che può essere declinato in senso astratto o concreto.

In senso astratto, la capacità indica l’attitudine ad essere titolari di diritti e destinatari di obblighi; essa è propria di ciascun individuo sin dalla nascita e prende il nome di capacità giuridica (art. 1, 1 comma c.c.).

In concreto, invece, la capacità è l’idoneità ad incidere sulla propria sfera giuridica; in tal senso, essa viene definita capacità di agire e si acquista al compimento del diciottesimo anno d’età (art. 2, 1 comma c.c.).

Pertanto, mentre la capacità giuridica è concetto statico che evoca un’idea, astratta e generale, di potenzialità, la capacità di agire è, viceversa, concetto dinamico che allude alla concreta possibilità di essere titolari di situazioni giuridiche soggettive attive e passive.

La capacità giuridica, per il cui acquisto si ritiene necessario il distacco dall’alveo materno e il compimento di un primo respiro, è un fondamentale predicato dell’individuo, al punto da coincidere, per alcuni [1], con la soggettività.

Ciascun soggetto, infatti, in virtù del principio di uguaglianza, è potenzialmente destinatario di norme giuridiche che, quali norme di condotta, presuppongono un comportamento che solo la persona fisica può tenere. Così, la capacità giuridica, qualità propria di ogni individuo, riceve copertura costituzionale (artt. 2, 3 e 22 Cost.), non potendo, in linea di principio, subire limitazioni [2].

In particolare, l’art. 22 Cost., nell’affiancare la capacità giuridica alla cittadinanza e al nome, dimostra proprio quanto detto e cioè che la capacità giuridica è predicato imprescindibile che vale ad identificare un individuo in quanto tale, al pari del nome e al punto che, in passato, era significativamente definita “morte civile” la perdita della capacità giuridica conseguente ad una condanna penale.

Del resto, lo stesso art. 2 Cost., nel “riconoscere” i diritti inviolabili dell’uomo, conferma che la capacità giuridica preesiste e non consiste in un attributo dell’ordinamento giuridico.

2. La capacità giuridica e di agire nella riflessione degli interpreti: brevi cenni

Mentre la dottrina si è sempre interrogata sugli elementi che valgono a distinguere la capacità giuridica dalla capacità di agire, nella giurisprudenza più recente appaiono, senza dubbio, più sfocati i contorni tra le due categorie.

In particolare, secondo alcune ricostruzioni dottrinarie, la capacità giuridica, lungi dall’essere sic et simpliciter identificata con la soggettività, andrebbe da essa tenuta distinta. Soggettività e capacità giuridica, poi, non coinciderebbero neppure con il concetto di personalità giuridica[3].

Ferma la qualificazione della capacità giuridica come capacità astratta e di ordine generale che si contrappone alla capacità di agire quale capacità concreta, la soggettività andrebbe considerata, alla stregua di tale impostazione, come misura della capacità giuridica. In effetti, i soggetti di diritto (persone fisiche e giuridiche) non sono ugualmente titolari di capacità giuridica, a causa della mancanza, nelle persone giuridiche, di quello stato di fisicità imprescindibile per essere titolari, per esempio, dei rapporti familiari o per essere in uno stato di buona o mala fede.

La personalità giuridica, a sua volta, non può essere considerata, in base a tale impostazione, quale prerogativa di tutti i soggetti di diritto, acquistandosi per effetto di un complesso procedimento di carattere amministrativo che conduce l’ente all’autonomia patrimoniale perfetta[4].

Come accennato, se la dottrina continua a interrogarsi sui criteri differenziali tra capacità giuridica e di agire, in giurisprudenza si registra una prudente tendenza all’affrancamento da queste categorie, talvolta definite addirittura come “metafisiche“, nella consapevolezza di una più generale crisi della soggettività giuridica che va riguardata non più in astratto, bensì nel concreto dipanarsi della fattispecie[5].

Sotto questo profilo, se più sbiaditi sono i contorni tra queste due categorie, risulta, di conseguenza, più complesso, rispetto al passato, enuclearne i tratti differenziali. A supporto di quanto si sostiene, basti pensare che, specie in passato, era ferma l’impossibilità, in linea di principio, di limitare la capacità giuridica, a dispetto di una, per converso, generale possibilità di limitazione della capacità di agire mediante gli istituti a tal fine predisposti dall’ordinamento giuridico[6].

Nelle più recenti elaborazioni pretorie, invece, si ammette che, in qualche caso, la soggettività possa risultare attenuata[7], sebbene in altri casi sempre gli interpreti affermano che la capacità giuridica o sussiste per intero o non sussiste, non ammettendo graduazioni[8].

3. La capacità delle persone giuridiche

Sotto la vigenza del codice civile del 1865 era espressamente vietato a coloro i quali non potevano fare testamento di effettuare donazioni[9]. Ne discendeva il divieto per gli enti, incapaci di fare testamento, anche di donare.

Questa disposizione non è stata, però, riprodotta nel codice civile del 1942[10], sicché sono sorte molteplici teorie sulla capacità, dal lato attivo, per le persone giuridiche di donare, essendo incontestata, invece, la loro capacità di ricevere per donazione[11].

Pacifica, dunque, la capacità delle persone giuridiche di ricevere per donazione, per lungo tempo è stata incerta, invece, la loro capacità di donare, stante il silenzio del legislatore sul punto. Tali dubbi risultano, del resto, acuiti dalla difficoltà, non sconosciuta nemmeno agli interpreti, di comprendere se la capacità di donare attenga alla capacità giuridica ovvero alla capacità di agire.

In proposito si sono fronteggiate in passato due teorie:

  • teoria della capacità giuridica funzionale all’oggetto sociale → secondo tale tesi, le persone giuridiche sono dotate della capacità di porre in essere tutti gli atti funzionali al conseguimento dello scopo per il quale sono state costituite, come risulterebbe, peraltro, confermato dagli artt. 2298 e 2384 c.c. Poiché ogni persona giuridica agisce nel mondo esterno per il tramite dei suoi organi, la capacità della persona giuridica è limitata al compimento degli atti inerenti all’oggetto sociale. Ne discende, dunque, l’invalidità di ogni atto posto in essere dalla persona giuridica che non rientri nell’oggetto sociale. La forma di tale invalidità è quella più grave della nullità derivante dall’assenza di capacità giuridica. In altri termini, un’eventuale donazione posta in essere da una persona giuridica che non sia funzionale al perseguimento dell’oggetto sociale sarebbe nulla.
  • teoria della capacità giuridica generale → è largamente prevalente, tuttavia, sia in dottrina sia in giurisprudenza, la tesi opposta, in base alla quale anche le persone giuridiche, come le persone fisiche, sono dotate di una generale capacità di porre in essere tutti gli atti che non presuppongano necessariamente uno stato di fisicità (per es. rapporti di coniugio e familiari in genere). Del resto, dalle norme che attribuiscono la personalità giuridica agli enti (artt. 11 e 2331 c.c.) non si evince alcuna distinzione di sorta. Né si possono tacere le concrete difficoltà di stabilire quando un atto posto in essere da una persona giuridica sia funzionale al raggiungimento dello scopo sociale, in quanto un atto che apparentemente potrebbe sembrare non rientrate nell’oggetto sociale ad una più attenta analisi, invece, potrebbe rivelarsi tale[12].

4. Compatibilità dell’animus donandi con le caratteristiche delle persone giuridiche

Dinanzi a questo progressivo ampliamento, ad opera della giurisprudenza, della capacità giuridica delle persone giuridiche e degli enti in generale, ci si sarebbe aspettati il riconoscimento della validità degli atti di liberalità posti in essere dalle persone giuridiche e, in particolare, delle donazioni. Tuttavia, una parte considerevole della dottrina ha posto in dubbio la compatibilità dell’animus donandi con lo scopo sociale; in particolare, il problema si pone per le società di capitali che perseguono uno scopo di lucro, laddove non vi è necessità di dubitare della capacità di donare degli enti che perseguono uno scopo ideale o comunque di natura non lucrativa.

Più precisamente, per taluni la donazione e in generale un atto di liberalità non strumentale al conseguimento dell’oggetto sociale posti in essere da una società di capitali sarebbero radicalmente nulli per un vizio genetico della causa essendo la causa donandi incompatibile con lo scopo di lucro che deve caratterizzare le società di capitali (art. 2247 c.c.). In tal senso sussisterebbe, per i fautori di questa tesi, una incomunicabilità latente tra scopo di lucro e animus donandi, sicché liberalità e utilità sarebbero in contraddizione. Tale conclusione sarebbe confortata dalle peculiarità del contratto di società e in particolare dalla necessità, sempre tutelata dal legislatore, di proteggere i terzi che entrino in contatto con la società, i quali devono poter essere a conoscenza in ogni momento del regime giuridico applicabile alla medesima.

5. Cass. n. 18449/2015: le persone giuridiche posseggono la capacità di donare, senza alcuna distinzione di sorta

La Suprema Corte, interrogata di recente sulla validità di una donazione posta in essere da una società di capitali, prende le distanze dal suddetto orientamento sancendo la piena validità di tale tipo di atto[13]. La Corte, pertanto, realizza una totale apertura: le persone giuridiche, senza distinzione di sorta, posseggono capacità di donare.

6. Il caso in esame

Una società di capitali aveva posto in essere una donazione immobiliare avente come unico scopo quello di permettere al donatario di pagare i propri debiti.

In seguito alla conclusione di tale negozio giuridico a titolo gratuito da parte dei rappresentanti della società (con preventiva delibera assembleare), quest’ultima veniva dichiarata fallita. La curatela fallimentare conveniva in giudizio il beneficiario della donazione esperendo azione di nullità dell’atto societario.

Il Tribunale e la Corte di appello di Roma rigettavano la domanda attorea.

La parte soccombente proponeva, allora, ricorso per Cassazione prospettando una censura incentrata sulla nullità “genetica” dell’atto di liberalità. Il ricorrente ipotizzava a fondamento della nullità una illiceità della causa diversa dai vizi previsti dall’art. 1343 c.c., ovvero, l’incompatibilità tra la causa del negozio donativo, coincidente con lo spirito di liberalità, e quella del negozio societario, cioè lo scopo lucrativo di cui all’art. 2247 c.c.

Il Fallimento riproponeva la tesi tradizionale che escludeva l’ammissibilità delle donazioni da parte di società, in considerazione della incompatibilità di tali atti sia con l’oggetto sia con lo scopo sociale. Detto orientamento, ritenendo incompatibili liberalità e utilità, limitava, dunque, la capacità di agire della società, sancendone l’incapacità a donare, indipendentemente dal conferimento di tale potere con espresso atto societario.

7. La motivazione della sentenza

La Corte, nel prendere le distanze dal pregresso orientamento, esamina nella motivazione argomenti di diversa natura.

Sulla base di un dato di natura testuale, i giudici osservano che nel codice del ’42 manca una espressa limitazione per le persone giuridiche di donare, diversamente da quanto accadeva sotto la vigenza del pregresso codice del 1865. Dal momento che l’autonomia negoziale costituisce la regola generale, avente ormai rilievo costituzionale (artt. 2, 3 e 41 Cost.), ogni limite alla stessa deve trovare un espresso addentellato normativo. L’unico limite che può porsi per l’autonomia negoziale delle persone giuridiche è solo di carattere logico e pratico: le persone giuridiche non possono porre in essere quegli atti che presuppongono uno stato fisico, ma, al di la di ciò, tutto quello che è consentito alle persone fisiche è, del pari, consentito anche alle persone giuridiche.

Dal codice emerge, altresì, un indice a favore della validità di tali atti. L’art. 2384 bis c.c., attualmente abrogato ma richiamato dalla Corte ratione temporis, contemplava espressamente l’ipotesi dell’estraneità dell’oggetto sociale dell’atto compiuto dagli amministratori. Tale norma, però, non sanzionava quest’ipotesi con la nullità dell’atto, bensì con la sua inopponibilità ai terzi di buona fede, oltre che con la responsabilità degli amministratori. Dall’interpretazione di questa disposizione può trarsi che l’ente è capace di donare e che eventualmente, qualora l’atto sia posto in essere eccedendo l’oggetto sociale, potrà, al più, porsi un problema di responsabilità degli amministratori. Tali atti sono pertanto efficaci, salva l’eventuale responsabilità degli amministratori nei confronti della società (e degli associati), e ciò significa che la società è in grado di compierli.

Da un punto di vista pratico, poi, la Corte ammette che sarebbe in concreto molto complicato definire i contorni di questa che definisce come “capacità funzionale”. Come già rilevato, in passato alcuni ritenevano che la capacità degli enti fosse limitata in quanto funzionale allo scopo sociale, pena la nullità eccedenti rispetto ad esso. La Corte, tuttavia, supera tale argomentazione e in un passaggio della motivazione fa un’affermazione molto importante: “la capacità giuridica non ammette gradazioni nel senso che o sussiste per intero o non sussiste“.

Come assicura la Corte, allora, “le società non hanno una capacità speciale limitata al compimento di quegli atti strumentali rispetto all’oggetto sociale, ma una capacità generale, di essere parte di qualsiasi atto o rapporto giuridico, anche non rientrante nell’oggetto sociale, tranne quelli che presuppongono l’esistenza di una persona fisica” [14].

8. Conclusioni

La sentenza della Suprema Corte, non sconfessata da pronunce più recenti, è da apprezzare nella misura in cui si colloca sulla scia della tendenza giurisprudenziale ad ampliare la capacità giuridica delle persone giuridiche. E’ anche vero, però, che la Corte non ha chiaramente preso posizione sulla natura della capacità in questione, se giuridica o di agire, sintomo, questo, di un evidente disagio dell’interprete.


[1] F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, XVII edizione, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2015, p. 121.

[2] Se non, al più, in virtù della necessità di tutelare interessi parimenti rilevanti (cd. incapacità giuridica speciale).

[3] Il concetto di personalità ha forti radici storiche: nel diritto romano, infatti, il concetto di persona evocava la maschera con cui gli attori si presentavano sulla scena e, per tale ragione, nel diritto classico fu poi impiegato per fare riferimento a tutti coloro che avessero le sembianze umane indipendentemente dalla soggettività e cioè, in una parola, l’uomo, l’individuo in quanto tale (come tali, anche i servi, i peregrini e i filii familiarum che erano però privi di soggettività giuridica). Oggi il concetto di persona, nato per superare le discriminazioni di romanistica memoria, è usato con riferimento alla personalità giuridica che non è però propria di tutti i soggetti di diritto perché per acquisire la personalità giuridica è indispensabile un procedimento che conduce poi all’autonomia patrimoniale perfetta.

[4] Si legga in proposito M. SANTISE, Coordinate ermeneutiche di diritto Civile, II Edizione, Giappichelli Editore, Napoli, 2016, pp. 23 ss.

[5] Si legga a tal proposito Cass. Sez. III Civile, 2 ottobre 2012 n. 16754: “Così affrancando il discorso giuridico (come osserverà, di recente, una avveduta dottrina) ‘dai pantani della soggettività, onde assegnare al concepito garanzie di difesa senza obbligare l’interprete alla necessità pregiudiziale di attribuirgli qualità soggettive nel significato e con le conseguenze che il diritto riconosce a tale concetto’, e finalmente liberi ‘dalle categorie metafisiche costituite dalla triade concettuale personalità, soggettività, capacità’, la questione della protezione del concepito non si discosta da quella della protezione dell’essere umano, nel senso che sarà compito di un essere umano già vivente assicurare tutela a chi (come magistralmente insegnato dalla Corte costituzionale) essere umano deve ancora diventare“.

[6] Si tratta degli istituti dell’interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno.

[7]  Si pensi, a tal proposito, alla soggettività giuridica autonoma ancorché attenuata del condominio, secondo quanto affermato da Cass. Sezioni Unite n. 19663/2014.

[8] Sent. Cass. Sezione III Civile, 21 settembre 2015 n. 18449 di cui si darà atto infra.

[9] Cod. civ. 1865 art. 1052: “Non può donare chi non può fare testamento; L’inabilitato dal giorno in cui fu promosso il giudizio di inabilitazione, ed il minore sebbene emancipato, salve le disposizioni particolari relative al contratto di matrimonio“.

[10] Secondo alcuni, tuttavia, da alcune norme dello stesso codice (in particolare, artt. 782, 4 comma e 786 c.c. – abrogate nel 1997) emergono alcuni indici a favore dell’ammissibilità della capacità delle persone giuridiche di donare. Queste disposizioni che attualmente non hanno più vigenza nel nostro ordinamento subordinavano ad autorizzazioni la capacità delle persone giuridiche di donare. Scopo della norma era sottoporre ad un controllo le donazioni fatte agli enti non riconosciuti, al fine di evitare che venissero accumulate delle risorse per scopi non produttivi, sottraendole all’economia nazionale.  Attualmente tale rischio sembra essere stato scongiurato dal d.lgs. 231/2001 che ha pienamente responsabilizzato, specie sotto il profilo penale, le persone giuridiche.

[11] Sotto quest’ultimo profilo sono state, infatti, abrogate dall’art. 13 l. 127/1997 quelle norme (artt. 17, 600 e 786, c.c.) che sancivano l’incapacità delle persone giuridiche di ricevere per donazione.

[12] Le conclusioni sostenute dalla dottrina trovano inoltre confronto nella tendenza giurisprudenziale al progressivo ampliamento della capacità giuridica delle persone giuridiche. Infatti, attraverso la cd. teoria della doppia imputazione la giurisprudenza è giunta a riconoscere che anche le persone giuridiche possano soffrire il danno non patrimoniale derivante dalla durata irragionevole del processo civile.

[13] Cass. Sezione Terza Civile, 21 settembre 2015 n. 18449.

[14] Cass. Sezione Terza Civile, 21 settembre 2015 n. 18449.

Dottoressa con lode in giurisprudenza presso l'Università degli studi di Napoli Federico II con una tesi di laurea in storia del diritto romano dal titolo: "La constitutio Antoniniana". Ha svolto con esito incondizionatamente positivo il tirocinio ex art. 73 d.l. 69/2013 presso gli Uffici Giudiziari di Napoli ed è iscritta al Consiglio dell'ordine degli avvocati di Napoli come praticante, svolgendo la pratica forense principalmente nel settore del diritto civile. Attualmente svolge uno stage all'interno della Segreteria Tecnica dell'Arbitro Bancario e Finanziario - Collegio Territoriale di Napoli.

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