La questione giuridica afferente al riconoscimento del diritto all’oblio si è prospettata già in ambito sovranazionale dove ha trovato positivo riscontro, grazie all’elaborazione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Nel nostro ordinamento giuridico, esso risulta il frutto dell’opera interpretativa e della creazione giurisprudenziale, avendo, peraltro, richiesto un ulteriore sforzo anche da parte di attenta dottrina, al fine di distinguerlo adeguatamente, conferendogli per l’effetto autonomia concettuale, rispetto al diritto alla riservatezza e al diritto all’identità personale.
La problematica non si pone su di un piano puramente teorico o accademico, presentando, per contro, notevoli risvolti applicativi.
Sommario:
1. Diritto all’oblio, cos’è: significato e origini
2. Diritto all’oblio e diritto alla riservatezza
3. La giurisprudenza recente
4. Diritto all’oblio e GDPR: l’art. 17 del Regolamento UE 2016/679
5. Gli ultimi approdi della CEDU
Diritto all’oblio, cos’è: significato e origini
Il diritto all’oblio è stato definito come l’interesse del soggetto alla non reiterata pubblicazione di notizie che lo riguardino, se non siano contestualizzate e aggiornate, specie se si ponga alla base della divulgazione una speculazione commerciale[1].
Esso si ricollega inevitabilmente al diritto di cronaca concernente il resoconto di fatti storici realmente accaduti avvalendosi dello strumento della stampa o della pubblicazione on line, in virtù dell’interesse che nei confronti di tali accadimenti nutre la collettività, di talché l’esigenza di informazione finisca, se attuale, per essere prefetita in un apposito bilanciamento, valendo, altrimenti, il diritto all’oblio[2].
Il predetto viene definito, altresì, come diritto a essere dimenticati, a che non permanga il ricordo di specifici fatti, con conseguente correlazione ad essi di uno o più determinati nomi e cognomi, affinché la sfera di intimità e di riserbo dell’individuo sia tutelata e protetta da ingerenze altrui.
Non si identifica, dunque, con il concetto di identità personale, avente ad oggetto la “proiezione sociale della personalità dell’individuo” interessato alla non alterazione della propria immagine pubblica, con riferimento a un dato contesto spazio- temporale[3].
E’ stato evidenziato, peraltro, come il fondamento di tale ultimo diritto ben si possa rinvenire all’art. 2 Cost. che viene concepito come clausola generale attraverso la quale garantire la copertura a livello costituzionale di diritti della personalità di nuovo conio, tenuto conto, tuttavia, che questo diritto ben può in concreto porsi in contrasto, così come il diritto all’oblio, all’immagine, alla riservatezza, con i diritti di cronaca, critica e satira, anch’essi tutelati dalla Costituzione, in particolare all’art. 21 della Carta Fondamentale[4].
Come autorevolmente evidenziato, il diritto di cronaca, al fine del suo legittimo esercizio, deve rispettare
- da un lato, il limite della continenza formale nell’esposizione dei fatti storici che ne costituiscono oggetto,
- dall’altro, corrispondere a completezza e verità e, dunque, costituire il frutto di un accertamento serio[5].
Diritto all’oblio e diritto alla riservatezza
Ciò posto, l’esposizione perdurante o reiterata di un determinato soggetto al pregiudizio che la pubblicazione di una certa notizia gli crei, ovvero di video o, ancora, pose fotografiche finisce per ledere la sfera privata del predetto, come sottolineato, altresì, dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza C- 131/12 del 13.05.2014 che ha sancito il riconoscimento a livello comunitario del diritto all’oblio.
Concettualmente, quest’ultimo non risulta neppure sovrapponibile alla differente nozione di riservatezza, intesa come protezione dell’intimità della propria vita privata e familiare da ingerenze altrui che, progressivamente, nel tempo, ha acquisito un’ampiezza maggiore rispetto al diritto ad essere lasciati soli, sì come originariamente concepito, posto che la tutela del diritto all’oblio viene in luce allorquando una determinata notizia sia già stata diffusa, appunto anche in forma telematica, e divulgata al pubblico divenendo da fatto privato, accadimento di rilevanza pubblicistica, purché esso sia sorretto da un interesse tale che ne giustifichi la diffusione.
La riproposizione di notizie che, anche a causa del trascorrere del fattore tempo, non siano più di attualità e si rivelino comunque pregiudizievoli per il soggetto interessato, è suscettibile di lederne la reputazione, intesa come stima di cui il predetto gode tra i propri consociati e l’onore, qualificabile alla stregua di opinione e percezione che l’individuo nutre di se stesso.
Tale lesione si verifica, propriamente, dal momento che determinate informazioni, a cagione dell’evoluzione tecnologica e del progresso scientifico, risultano di semplice e agevole reperimento per l’utenza, attraverso l’uso dei motori di ricerca più noti, anche semplicemente digitando alcune parole chiave che consentano di ricollegare con immediatezza nomi a fatti, ma anche grazie alla facilità di consultazione degli archivi, per quanto concerne articoli più datati.
La diffusione di determinati dati e informazioni avviene, di conseguenza, ad oggi, molto rapidamente, posto che, ad esempio, una testata giornalistica on line risulta consultabile da un numero potenzialmente indefinito di soggetti destinatari delle relative informazioni.
In particolare, risulta assai frequente che un articolo riferisca della condanna penalmente o civilmente rilevante di un soggetto, dando conto della sussistenza di determinati precedenti giudiziari.
La giustificazione di tale divulgazione si rinviene, in origine, propriamente dall’esigenza a che la collettività sia soddisfatta nell’interesse di carattere pubblico ad essere informata in maniera veridica e completa circa importanti accadimenti, come la commissione di un illecito penale che presuppone la violazione di norme generalmente poste a presidio di interessi pubblicistici.
Diritto all’oblio: la giurisprudenza recente
La Cassazione, di recente, ha avuto modo di precisare l’imprescindibilità di una valutazione bilanciata del diritto all’informazione della collettività che la cronaca giornalistica è diretta a soddisfare con quelli che vengono definiti diritti fondamentali della persona, tra i quali ben può essere annoverata la riservatezza e che la divulgazione di una certa notizia deve rinvenire la propria ratio giustificatrice nell’esigenza conoscitiva dei lettori[6].
E’, dunque, ben possibile che determinate vicende vengano rese pubbliche, senza che sia preteso o ritenuto necessario il consenso dell’interessato, né l’autorizzazione del Garante per la privacy, purché siano sorrette da un interesse pubblico che costituisca il fondamento e la giustificazione della divulgazione, dovendo, peraltro, sussistere una proporzionalità tra la lesione e l’esigenza di tutela della conoscenza in ordine a determinati fatti[7].
Come evidenziato a livello pretorio, è propriamente l’interesse pubblico a poter eventualmente fondare il sacrifico di quello del singolo, venendo, nella materia di che trattasi, così come per quanto concerne il diritto alla riservatezza e all’identità personale, in rilievo il bilanciamento tra contrapposti diritti e libertà fondamentali, tutti costituzionalmente protetti[8].
Peraltro, l’elemento temporale costituisce il presupposto ai fini della richiesta del riconoscimento della sussistenza del diritto all’oblio, giacché, a seguito del decorrere del tempo, specie se si tratta di un lasso considerevole, l’interesse pubblico alla notizia potrebbe affievolirsi, sino a scomparire del tutto riportando il fatto nella propria originaria dimensione “privata”.
Ciò può ritenersi anche con riguardo a determinati illeciti penali.
In concreto, una forma di tutela attraverso la quale si prevede l’attuazione del diritto all’oblio è costituita dalla deindicizzazione, attraverso la quale non sarà più possibile a mezzo di una ricerca telematica rinvenire determinati link e riferimenti, avendo, peraltro, il Garante per la protezione dei dati personali recentemente parzialmente accolto un ricorso stabilendo la rimozione degli URL già indicizzati fra i risultati di ricerca ottenuti digitando il nome e il cognome del ricorrente sia nelle versioni europee che in quelle extraeuropee[9].
Peraltro, il diritto a essere dimenticati risulta, come a più voci sostenuto, protetto, altresì, dall’art. 27, III comma Cost., che indicando come finalità della pena non solo quella ispirata al principio del suum cuique tribuere, ma anche la rieducazione e il reinserimento sociale del reo, vedrebbe la stessa fatalmente compromessa se continuasse a riemergere il ricordo di determinati fatti.
Un limite al riconoscimento del diritto all’oblio potrebbe rilevarsi nel caso in cui un episodio di cronaca recentemente accaduto si colleghi direttamente a vicende passate per le quali, dunque, in una valutazione complessiva, permanga o, comunque, riemerga l’interesse pubblico attuale ed effettivo alla diffusione di determinate notizie ed esso non possa dirsi, in siffatta ipotesi, affievolito o venuto meno, assistendosi, per contro, ad un rinnovamento dell’attualità dell’informazione[10].
Infatti, qualora l’interesse alla conoscibilità dell’accadimento non fosse più connotato da tale requisito, risulterebbe priva di idonea giustificazione causale la perdurante esposizione del soggetto alla lesione del proprio onore e della propria reputazione, vulnus questo meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
La Suprema Corte ha, inoltre, rilevato l’ampia diffusione di un giornale on line, grazie alla facile accessibilità e consultabilità di un articolo giornalistico in tale formato, molto più dei quotidiani cartacei, per cui una volta che sia trascorso un periodo di tempo sufficiente perché le notizie costituenti oggetto di divulgazione possano soddisfare gli interessi pubblici cui il diritto di cronaca è preposto, il trattamento dei dati non potrebbe più avvenire[11], dovendosi ritenere ormai le notizie acquisite.
Diritto all’oblio e GDPR: l’art. 17 del Regolamento UE 2016/679
Peraltro, a livello normativo, attualmente il Regolamento europeo U.E. 2016-679 Generale sulla protezione dei dati – GDPR- dedica un apposito articolo, il 17, al diritto alla cancellazione, al diritto all’oblio, attribuendo al soggetto interessato, alla ricorrenza di determinati presupposti ivi elencati, il diritto alla cancellazione dei dati personali che lo riguardino con conseguente obbligo a carico del titolare del trattamento di cancellazione dei dati in esame, al verificarsi di uno dei motivi legislativamente previsti, tra cui la mancata attuale corrispondenza e necessarietà rispetto alla finalità per cui essi erano stati trattati, la revoca del consenso in precedenza prestato, l’opposizione al trattamento o la sua illiceità, la necessità di adempiere un obbligo legale, la raccolta avvenuta per offerta di servizi della società dell’informazione.
Come acutamente osservato in dottrina, tuttavia, il diritto all’oblio viene qui inteso in un’accezione del tutto peculiare, non riferendosi in particolare all’operazione di bilanciamento tra diritto alla libertà di stampa e al rispetto della vita privata e familiare rimesso ai giudici di merito, guardando per contro, ad un diverso aspetto, ovverosia al diritto del soggetto ad ottenere la cancellazione dei dati in un contesto, quale quello informatizzato, peraltro in continua evoluzione, in cui risulta estremamente agevole la diffusione di determinate informazioni relative alla persona e/o la possibilità di utilizzo delle stesse per finalità che travalichino il motivo per cui erano state pur lecitamente acquisite.
Gli ultimi approdi della CEDU
Tanto precisato, in merito si evidenzia l’interesse sempre più attuale suscitato dalla materia in esame, tant’è vero che essa è stata di recente presa in considerazione da alcune pronunce della Corte di Strasburgo in relazione alla presunta violazione e, quindi, alla corretta interpretazione di alcune norme della CEDU.
In particolare, con riferimento all’art. 8 CEDU, quest’ultimo tutela il rispetto della vita privata e familiare.
Qualora vengano rese dichiarazioni relativamente a un determinato soggetto riportate in un articolo pubblicato in una testata on line, potrebbe sorgere un dibattito pubblico che soddisfa un interesse ritenuto dalla Corte poziore rispetto a quello alla protezione della vita privata espresso dall’interessato.
Ai giudici di merito, del resto, è rimesso un compito piuttosto delicato consistente nell’effettuazione di un corretto bilanciamento tra il diritto alla libertà di espressione, del pari tutelato dalla CEDU all’art. 10 e, appunto, il diritto al rispetto della vita privata e familiare in un delicato equilibrio tra pretese “concorrenti”[12].
Se è vero, dunque, che non dovranno essere effettuate insinuazioni sulla vita privata di un determinato individuo che non si rivelino strettamente necessarie a soddisfare l’esigenza della collettività all’informazione in ordine a un determinato accadimento, occorre considerare il valore, nonché il diritto a conoscere l’evoluzione di certi fatti che fanno parte della storia attuale, contemporanea e non devono essere rimossi[13].
Ai fini dell’effettuazione di un corretto bilanciamento di interessi, si dovrà comunque tenere conto della situazione concreta, onde evitare inutili astrattismi, del grado di celebrità della persona, del metodo utilizzato, della veridicità della notizia, delle conseguenze che derivino dalla sua diffusione.
In particolare, in presenza di procedimenti e di condanne penali che riguardino fatti rilevanti, di interesse pubblico, come episodi di corruzione di personaggi di un certo rilievo, o ancor, più se si tratti di avvenimenti particolarmente gravi ed efferati, si può ritenere che l’interesse pubblico alla notizia non possa mai affievolirsi e che, al contrario, ne residui l’indubbia attualità unitamente al diritto dei singoli ad informarsi ed effettuare una adeguata e completa ricostruzione dal punto di vista storico.
In tali situazioni, infatti, il diritto all’oblio non potrà essere riconosciuto, nella necessità comunque di valutare la situazione concreta, tenuto conto anche del comportamento pregresso eventualmente tenuto dai ricorrenti, tale per cui, qualora i predetti abbiano ritenuto di trasmettere alla stampa determinata documentazione e di rendere pubbliche certe notizie, allora tale condotta ben potrà essere valutata come incompatibile rispetto all’intenzione di chiedere giudizialmente di “essere dimenticati”[14].
[1] Cfr. Francesco Gazzoni, Manuale di diritto privato, XVII edizione aggiornata e con riferimenti di dottrina e di giurisprudenza, Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2015, p. 187.
[2] Cfr. G. Chiné, M. Fratini, A. Zoppini, Manuale di diritto civile, IX edizione 2017-2018, Nel diritto editore, Molfetta, 2017, p. 194.
[3] Ibidem, p. 193.
[4] Ibidem, p. 194.
[5] Cfr. F. Gazzoni, op. cit., p. 187.
[6] Cfr. Corte di Cassazione, sez. I civile, sent. n. 13161 del 24.06.2016.
[7] Cfr. Corte di Cassazione Civile, sent. n. 16111 del 26.06.2013.
[8] Cfr. Corte di Cassazione Civile, sent. n. 5525/2012.
[9] Cfr. provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali, del 21.12.2017.
[10] Cfr. Corte di Cassazione Civile, sent. n. 16111del 26.06.2013.
[11] Cfr. Corte di Cassazione Civile, sent. n. 13161 del 24.06.2016.
[12] Cfr. Corte EDU sez. V, sent. n. 71233-13, 19.10.2017.
[13] Ibidem.
[14] Cfr. Corte EDU SENT. N. 60798-65599/10 DEL 28.06.2018- M.L. WW. c. Germania