Il difensore d’ufficio minorile: tra codice di rito e nuove frontiere delle neuroscienze

in Giuricivile, 2020, 2, (ISSN 2532-201X)

Il minore è soggetto di diritto e non già, come orientamenti tradizionali volevano, “oggetto” della potestà dei genitori. Il minore è persona e pertanto merita la tutela dei suoi diritti fondamentali ed inviolabili. Beninteso, la sua incapacità di agire ex art. 2 c.c. prima del compimento del diciottesimo anno di età e pertanto la sua inidoneità a svolgere attività giuridica che riguarda i propri interessi ossia l’attitudine a manifestare volontà dirette ad acquisire ed esercitare diritti o ad assumere obblighi giuridici.

Principi internazionali nell’ambito della difesa tecnica

La Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989 (ratificata con legge n. 176 del 27 maggio 1991) e la Convenzione europea di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei fanciulli del 25 gennaio 1996 (ratificata con legge 20 marzo 2003 n. 77) hanno promosso e reso attuabile il diritto del minore alla completa partecipazione ai procedimenti che lo riguardano, in base alla sua capacità di discernimento, innestando il tema della difesa tecnica nei procedimenti minorili che lo coinvolgono direttamente e indirettamente. A livello interno la legge di riforma del 28 marzo 2001 n. 149, in linea con le convenzioni internazionali, ha apportato talune novità, sia sul piano sostanziale che processuale.

La Legge 149/2011 ha modificato il titolo della legge 4 maggio 1983 n. 184 che disciplina l’affidamento familiare e l’adozione trasformandolo in “Diritto del minore ad una famiglia”, come diritto richiamato all’art. 8 della CEDU, circa il diritto anche del minore alla vita familiare. Una riforma che anche dal punto di vista terminologico sottolinea il superamento definitivo del dibattito in ordine alla qualificazione della posizione giuridica del minore. Egli non è più portatore di un mero interesse, bensì portatore di un diritto soggettivo pieno così che egli è portatore e titolare di veri e propri diritti.

La stessa legge ha introdotto il principio del contraddittorio nei procedimenti di adottabilità e de potestate. Ha riconosciuto al minore, nell’ambito di tali procedimenti, la posizione di “parte processuale“. Un cambiamento, che ha preso le mosse dalla riforma costituzionale del 1999 (approvata con legge costituzionale 23 novembre 1999 n. 2) che, richiamando l’art. 6 della CEDU che enuncia e garantisce un diritto al giusto processo, ha stabilito che esso si svolga “nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale” (art. 111, comma 2 Costituzione), arginando la deriva inquisitoria dei giudizi minorili, ove, in nome della tutela del minore, spesso risultava offuscato il diritto di difesa delle parti.

Il minore: parte processuale?

L’assistenza legale nel processo è legata alla assunzione del ruolo di parte nel processo stesso dovrebbe ritenersi che la nomina di un difensore al minore sia possibile solo se questi assume la posizione di parte tramite un suo rappresentante legale o un curatore dato che per l’art. 5 c.p.c le persone che non hanno, come i minori, il libero esercizio dei propri diritti non possono stare in giudizio se non a mezzo di rappresentante. Il termine parte adoperato nel codice ha significati non coincidenti. In alcune ipotesi esso allude ai soggetti del rapporto sostanziale dedotto in giudizio (28, 29 102); in altri casi i soggetti che agiscono nel processo, senza distinguere tra parte e difensore, altre volte ancora, è riferito alla parte rappresentata, come soggetto distinto dal suo difensore con procura.

Nell’accezione maggioritaria “parte” è il soggetto che agisce nel processo in nome proprio e nei cui confronti, si produrranno effetti favorevoli o meno dei provvedimenti del giudice, pertanto si parla di parte in senso processuale, poiché è una nozione del tutto interna al processo, che prescinde dalla titolarità del rapporto giuridico controverso. Tuttavia, come nel mondo del diritto sostanziale si distingue tra capacità giuridica e di agire, così, sul terreno processuale si contrappone la capacità di essere parte dalla capacità processuale. L’art. 75 c.p.c. stabilisce che “le persone che non hanno libero esercizio dei diritti possono stare in giudizio solo patto di essere rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità”. In riferimento al minore di età, che l’ordinamento giuridico ritiene incapace ad agire, potrà stare in giudizio, a seconda dei casi, tramite un soggetto che lo rappresenta legalmente,  di norma il genitore ed in casi eccezionali il tutore. Pertanto il minore non potrà agire direttamente e personalmente nel processo, difettando dello ius postulandi, con la necessità di avvalersi di determinati soggetti professionalmente qualificati, ossia del patrocinio del difensore, principio sancito all’art. 82 c.p.c.

Il difensore è “ministro” ossia agisce in rappresentanza della parte, compiendo in nome e per suo conto tutti gli atti processuali strumentali alla controversia. L’art. 84 c.p.c. attribuisce al difensore con procura il potere di “compiere e ricevere” nell’interesse della parte rappresentata, tutti gli atti del processo che per legge non sono “espressamente riservati” alla parte stessa. Il difensore, salvo talune limitazioni, ha poteri estesi a tutti gli atti che egli reputi opportuni nell’interesse della parte, inoltre il difensore con procura come si evince dall’art. 84 c.p.c.  e ribadito dall’art. 10 comma 2, diviene sin dalla costituzione in giudizio, il destinatario naturale, di tutte le notificazioni e le comunicazioni dirette alla parte da lui rappresentata.

Il difensore d’ufficio civile: Legge n. 149/01

Premesso che la difesa nella materia civile dinanzi al Tribunale per i Minorenni non può essere ritenuta di rango inferiore rispetto alla difesa penale, considerando gli interessi in gioco, è evidente che sarà necessario che il difensore di ufficio, specie del minore, provenga da studi e aggiornamenti che sono già richiesti al difensore di ufficio in sede penale e, come questi, sia iscritto in un elenco specifico. Sul piano processuale le innovazioni apportate con la legge del 2001 n. 149 che ha introdotto nell’ordinamento processuale civile una figura “ibrida” quale quella dell’avvocato del minore; “ibrida” in quanto da un lato garantisce l’effettività della tutela legale di soggetti deboli, dall’altra ancora non ha avuto sul piano applicativo una definizione precisa nell’ambito processuale; la normativa lascia vacui legis non colmati dalla stessa. Ciò ha comportato l’instaurarsi di diverse prassi applicative nel territorio nazionale. La riforma in questione modificava la precedente legge 184/1983 sull’adozione e sull’affidamento dei minori.

Con l’occasione, la legge n. 149 del 2001 ha introdotto l’assistenza legale obbligatoria per i genitori e per i minori nelle procedure di adottabilità con l’attuale testo degli artt. 8 comma ultimo e art. 10 comma 2 della legge 184/83 e nei procedimenti di limitazione e decadenza della responsabilità genitoriale art. 336 ultimo comma c.c. come introdotto dall’art. 37 della legge 149/01. La legge n. 149 del 2001 ha introdotto all’art. 8 che nell’ambito del procedimento di adottabilità sin dall’inizio deve svolgersi con l’assistenza legale del minore, dei genitori o dei parenti entro il quarto grado che abbiano dei rapporti significativi col minore, ed inoltre, in caso di difetto della nomina del difensore, il giudice secondo l’art. 10 secondo comma, procederà egli stesso alla nomina di un difensore d’ufficio. Alcune recenti sentenze della Corte di Cassazione, si vedano le sentenze della Corte  sezione. I civile, del 17 febbraio 2010 n. 3804; sent.  Del 17 febbraio 2010 n. 3805; Cass., sez. I civ., sent. 26 marzo 2010 n. 7281 hanno chiarito la questione della rappresentanza del minore nel procedimento di adottabilità fissando i seguenti principi:

  • a) se è nominato un tutore, e questi non è in conflitto di interessi con il minore, sarà questi a rappresentarlo nel processo e a essere difeso da un avvocato, assicurando così al minore sin dall’inizio la difesa tecnica prevista dall’art. 8 L. n. 184/1983;
  • b) se è il tutore non è nominato, o si trova in conflitto di interessi con il minore, sarà nominato un curatore; sarà il curatore a rappresentare il minore nel processo, che sarà difeso da un avvocato, assicurando in tal modo al minore la difesa tecnica sin dall’inizio;
  • c) sia il tutore che il curatore possono essere avvocati (in tal caso le funzioni di rappresentanza ad processum e di difesa tecnica restano distinte, anche se espletate dalla stessa persona).

L’avvocato che nel procedimento di adottabilità ricopre sia il ruolo di rappresentante (tutore o curatore) che quello di difensore tecnico, svolge una duplice funzione particolarmente delicata in ragione dell’altissimo profilo costituzionale dei diritti che sono oggetto di provvedimento, ai sensi degli artt. 2 e 30 della Costituzione.

Nell’ambito dei procedimenti di limitazione e decadenza dalla responsabilità genitoriale, l’art. 37 della legge 149 del 2001 che modifica l’art. 336 c.c. all’ultimo comma stabilisce che “per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori ed il minore sono assistiti da un difensore”.

Alla luce di ciò emerge come il legislatore con la legge succitata, introduceva l’inedita figura del difensore d’ufficio nel processo civile, ammettendo l’assistenza legale obbligatoria solo in ipotesi limitate di procedimenti: adottabilità, limitazione e decadenza della responsabilità genitoriale. Ed invero, il giudice in difetto del difensore di fiducia provvederà a nominare il difensore d’ufficio per i genitori, ma anche per  il minore, in particolare qualora manchi un difensore nominato dal curatore speciale o dal tutore. La Corte Costituzionale successivamente all’entrata in vigore ella riforma del 2001 con sentenza del 30 gennaio 2002 n. 1, ritenne che la riforma in questione aveva valorizzato il contraddittorio tra le parti nei procedimenti civili minorili (innanzi al Tribunale minorile), richiamando l’art. 111 della Costituzione, che sancisce il principio del giusto processo.

Parallelamente con la Convenzione di New York del 1989 e la Convenzione di Strasburgo del 996 sull’esercizio dei diritti dei minori, che attuava i principi sui diritti dei minori di cui alla Convenzione del 1989, indicava le modalità, i tempi per realizzare compitamente il diritto del minore ad esprimere le personali opinioni in procedimenti che lo riguardano ed  a sancire il diritto ad essere affiancato da un autonomo rappresentante qualora i genitori vengano a trovarsi nell’impossibilità di rappresentarlo, perché ad esempio dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale o parti in causa di un conflitto di interessi. Ebbene, l’art. 5 della Convenzione di Strasburgo del 1996, esorta gli Stati a valutare l’opportunità di attribuire ai minori il diritto di chiedere, anche essi da soli, la designazione di un rappresentante speciale, se del caso un avvocato. Sancendo, da una lettura interpretativa estensiva, il diritto per il minore a richiedere una difesa tecnico giuridica.

Tuttavia la giurisprudenza italiana, pur riconoscendo il passo in avanti compiuto con la Convenzione di Strasburgo, di fatto ha confermato la prassi di nominare non un avvocato al minore, quanto un curatore speciale, considerando che di norma le funzioni di rappresentanza giuridica del minore son espletate dai genitori esercenti la responsabilità (art. 320 c.c.) e che solo in talune ipotesi l’Autorità giudiziaria possa nominare un rappresentante che sostituisca i genitori nella loro funzione di esercenti la responsabilità (ex artt. 320; 321 c.c.; e artt. 78, 79, 80 c.p.c. in sede civile). È bene sottolineare, come nella maggior parte delle ipotesi, le funzioni di curatore  speciale del minore vengano attribuite ad avvocati, così da implementare l’assistenza tecnico-giuridica in quella del curatore nominato, prassi originariamente evitata in quanto il codice di rito civile colloca la figura del curatore tra le norme riferite alle parti (art. 75 cpc) e non ai difensori (art. 82 e ss cpc). Tuttavia, in considerazione del fatto che il curatore speciale assolve anche funzioni processuali, nella prassi si è preferito declinare tale ruolo ad avvocati evitando che il curatore speciale possa egli stesso procedere alla nomina del difensore per agire o resistere in giudizio.

Il passo compiuto con la riforma del 2001 n. 149 è evidente. Prevedendo l’assistenza del difensore, nei procedimenti civili innanzi al TM, si sposta l’attenzione sulla difesa processuale, riconoscendo la qualità di parte processuale al minore, delimitando la difesa dei suoi diritti. Infatti, laddove è stata prevista la nomina del difensore al minore solo in presenza di situazioni di conflitto di interessi tra il minore ed i suoi genitori. Sono da verificarsi se la nomina del difensore  con funzioni di assistenza e rappresentanza ex art. 82 cpc sia sostitutiva della nomina del curatore speciale. La riforma del 2001 non intendeva di certo, eliminare l’onere del giudice di nominare un curatore speciale , ma era ragionevole ipotizzare che ad esempio, nei procedimenti di adottabilità, la funzione del curatore speciale quel rappresentante sostanziale, potesse essere assorbita dalla nomina del difensore, un avvocato del minore che assuma nel processo le funzioni di rappresentanza sostanziale e processuale del minore, comportando ciò la nascita della categoria degli avvocati civili minorili d’ufficio, cui funzione primaria sarebbe stata la difesa del minore.

I diversi orientamenti tra loro contradditori della Corte Costituzionale, prima con la sentenza del 21989n n. 351 e poi con la sentenza del 1995 n. 160, in cui la stessa Corte aveva dichiarato “non fondati i dubbi di costituzionalità sollevati sul sistema precedente, che non prevedeva sin dall’inizio del procedimento l’obbligatorietà della difesa”; e che solo con la sentenza del 22 giugno 2004 n. 178 riconosceva la legittimità della riforma del 2001 n. 149, affermando che la stessa “non contiene specifiche disposizioni in ordine alla difesa d’ufficio in favore dei genitori e dei minori. Dalla carenza di tali disposizioni, potrebbe derivare un pregiudizio alla effettività del diritti di difesa del minore, soprattutto tenendo conto della necessità di avvalersi nei procedimenti in questione di professionisti in possesso di competenze adeguate alla particolarità e alla delicatezza della funzione stessa”. Orbene, preso atto della riforma del 2001 e della sua importanza nell’ambito della giustizia civile minorile, la cui prospettiva era di introdurre la figura dell’avvocato del minore, e non di estendere la l’istituto del curatore speciale, la direzione presa dalla giurisprudenza dei legittimità è stata un’altra. Rimanendo in piedi il sistema precedente secondo cui “assistenza del minore” non comporta un dovere per il giudice di nominare un difensore al minore, egli provvederà alla nomina di un curatore speciale con la conseguenza che l’avvocato del minore altro non è se non l’avvocato del curatore speciale, in talune ipotesi avocando a sé entrambe le funzioni.

Inoltre in considerazione dell’importanza centrale e primaria del diritto di difesa e della funzione processuale del difensore, la legge 149/01 aveva introdotto l’obbligo dell’assistenza legale e quindi l’obbligo di nomina per  i genitori di un difensore d’ufficio qualora privi di un difensore di fiducia, sebbene tale ipotesi limitata ai soli procedimenti di adottabilità. Diversamente la nomina del difensore d’ufficio del minore, avrebbe dovuto essere sempre effettuata d’ufficio dal giudice in quanto non è ipotizzabile che il minore nomini un proprio difensore di fiducia sulla base della normativa vigente, considerando tutte quelle ipotesi di conflitti di interessi tra minore e genitori sarebbe impensabile che questi ultimi nominino al figlio minore un difensore di fiducia, come avviene nel processo penale minorile, in assenza di un conflitto tra genitori e figli imputato in un dato reato. Pertanto, il nostro ordinamento processuale civile, ove la nomina del difensore d’ufficio è ancora un istituto sconosciuto, tanto più una nomina d’ufficio per il minore, manca di una disciplina che detti criteri, requisiti per la nomina, e la retribuzione di tale difensore.

Ma se il minore non è parte, resta ambigua la posizione di un difensore tecnico. Se nel processo penale la nomina di un difensore d’ufficio al minore si comprende, perché il minore è parte ed ha piena capacità processuale essendo pienamente in grado di condizionare l’attività del difensore tecnico decidendo autonomamente se vuole o non vuole ad esempio proporre impugnazione, diversamente nelle procedure civili il minore non ha capacità processuale in proprio ed è processualmente assente se non è rappresentato da qualcuno. Né può affermarsi che il difensore tecnico rappresenta il minore perché non è un curatore ma solo una figura professionale che ha la funzione di “assisterlo” so unicamente sul piano tecnico-giuridico. È un mero strumento di assistenza tecnica e per tanto non è investito della rappresentanza sostanziale dell’assistito minorenne e pertanto si deve ritenere che il difensore senza un input del suo assistito non  sia in grado di identificare l’interesse che deve cercare di tutelare tecnicamente. Se ne ricava la necessità per assicurare effettiva tutela processuale del minore con la nomina del curatore ovvero la istituzione di quell’ufficio di pubblica tutela o di difensore pubblico dell’infanzia la cui istituzione è stata prevista da un disegno di legge governativo dal ministro Turco. L’ufficio del difensore pubblico tra i suoi compiti, avrebbe anche quello di valutare se sia indispensabile intervenire nel procedimento direttamente in rappresentanza del ragazzo o a mezzo di un curatore ovvero se basti  rappresentare al giudice la situazione e gli interressi del minore attraverso memorie e documentazione senza fargli assumente il ruolo di una parte nel processo.

Non sempre appare opportuno, per tutelare intersessi del minore, una netta contrapposizione con i genitori, e che assuma la posizione di parte processuale. Appare non indispensabile nel processo minorile una assistenza tecnica: sarebbe più opportuno che il curatore possa essere anche un soggetto diverso dall’avvocato e che possa esprimere anche direttamente le sue valutazioni a tutela del minore ricorrendo alla difesa tecnica solo quando vi siano aspetti processuali in cui la tecnica del diritto appaia realmente indispensabile. Il difensore nominato al minore dovrà avere per ovvie ragioni particolare capacità ed attitudine a comprendere le esigenze di quel soggetto in formazione con il suo vissuto e i suoi problemi ed a rappresentarle nella dialettica processuale, sia nell’ambito penale quanto più in quello civile l’avvocato deve essere sufficientemente specializzato . è pertanto opportuno che si vadano diffondendo in tutte le Corti d’Appello corsi in diritto minorile per avvocati e che si costruisca una nuova cultura più attenta alle esigenze del soggetto in formazione, ed è stata proficua la costituzione dell’Associazione italiana degli Avvocati per la famiglia e i minori proprio con l’intento di sviluppare la suddetta specializzazione.

Inoltre, si rileva che  la legge ha previsto la necessità della nomina di un difensore nelle procedure sulla potestà aggiunge che la difesa è a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge. A tale proposito non può però non evidenziarsi la grave lacuna della legge n. 149/2001 laddove ha previsto la nomina del difensore del minore senza disciplinare le specifiche competenze, necessarie per poter svolgere adeguatamente tale incarico. A tale proposito sono sicuramente degne di nota le iniziative di alcuni tribunali per i minorenni che, in collaborazione con i locali Consigli degli Ordini Forensi, hanno redatto elenchi di avvocati disponibili ad assumere l’incarico di curatore speciale/avvocato del minore (richiedendo, in particolare, attitudine ed esperienza professionale nella materia, iscrizione all’Albo da almeno sei anni, partecipazione a specifiche iniziative di formazione e di aggiornamento professionale, assenza di sanzioni disciplinari).

Il difensore d’ufficio nel processo penale minorile

In tema di giustizia minorile, principi fondamentali ovvero l’esclusività e specialità della giustizia minorile, avevano imposto alla Corte Costituzionale il diritto del minore ad un proprio processo, sull’esigenza di ridurre al minimo ogni intervento inutilmente negativo e di valorizzare le possibili stimolazioni positive in favore di una risposta individualizzante, tendente alla rieducazione del minore, nonché la valorizzazione della peculiarità minorile». In merito all’assistenza tecnica officiosa, deve essere sottolineato che il modello processuale minorile, pur ribadendo la piena salvaguardia dei diritti difensivi costituzionalmente garantiti, postula il necessario contemperamento tra la funzione difensiva e l’adesione al principio di rieducatività, in base alla regola generale contenuta nell’art. 1 del D.P.R. 448/88. D’altra parte, la disciplina dettata per la difesa d’ufficio recepisce le indicazioni del punto n. 2 della terza ipotesi della Raccomandazione del Consiglio d’Europa sulle risposte sociali alla delinquenza minorile n. 20/87, approvata il 17/10/1987 e dal paragrafo 15.2 delle c.d. Regole di Pechino (risoluzione ONU n. 40/33 del 29/11/1985), nella parte in cui sollecitavano per l’imputato minorenne un’assistenza tecnica adeguata ai suoi bisogni ed alla sua personalità.

Nel processo penale minorile, la scelta del difensore è libera nel senso che il minore o gli esercenti la responsabilità sullo stesso possono nominare quale legale di fiducia l’avvocato che ritengono adatto. Qualora la norma del difensore di fiducia ed il giudice debba procedere alla nomina di un difensore d’ufficio ex art. 97 cpp, questo dovrà essere scelto tra i legali iscritti ad un albo speciale nel quale accedono solo gli avvocati che abbiano conseguito l’idoneità alla difesa innanzi all’AG minorile. L’idoneità tecnica si consegue, al superamento di corsi in diritto minorile ovvero per aver esercitato con continuità, ed almeno per due anni, innanzi ai Tribunali minorili. L’art. 11 del d.p.r. 448/1988 sancisce una regola fondamentale secondo cui la difesa d’ufficio che riguarda un certo numero di processi minorili è stata interessata dalla legge n. 60 del 2001 che ha conferito all’istituto una nuova connotazione.

L’art. 11, d.p.r. n. 448/1988, dunque, stabilisce che, ferma la disciplina dettata dal codice di rito, il consiglio dell’ordine forense predispone gli elenchi dei difensori con specifica preparazione nel diritto minorile. Alla disposizione in esame fa da pendant l’art. 15, d.lgs. 28/07/1989, n. 272, recante le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del processo penale a carico di imputati minorenni considerato in possesso di specifica preparazione in materia chi abbia svolto non saltuariamente la professione forense davanti alle autorità giudiziarie minorili o abbia frequentato corsi di perfezionamento e aggiornamento per avvocati nelle materie attinenti il diritto minorile e le problematiche dell’età evolutiva.

In dettaglio, il difensore penale minorile, nominato d’ufficio ha diritto di conservare la titolarità del processo per tutta la sua durata salvo che intervenga la nomina di un difensore di fiducia da parte del minore; egli può nominare un sostituto processuale e ha diritto alla retribuzione. La norma  ha modificato anche il meccanismo di libera nomina del difensore d’ufficio da parte del PM o del Giudice ed ha stabilito il ricorso ad un center gestito dall’Ordine degli Avvocati del distretto di Corte d’Appello che fornisce i nominativi dei difensori  reperibili per il giorno in cui viene fatta la richiesta sulla base del luogo del commesso reato e del luogo di residenza dell’avvocato. Meccanismo che non si applica qualora l’esigenza della nomina sporga nel corso del processo e cede il passio alla nomina del difensore immediatamente reperibile purché iscritto nell’albo dei difensori d’ufficio.

L’onorario dell’avvocato così nominato viene direttamente ed immediatamente erogato dallo Stato senza l’esperimento di alcuna procedura esecutiva, che dovrà, invece, essere azionata nel caso in cui la nomina del difensore d’ufficio sia successiva al compimento della maggiore età dell’imputato. L’esigenza  alla base si individua nello scopo di garantire una preparazione professionale del difensore di ufficio fondata sulla conoscenza approfondita delle dinamiche minorili, in sintonia con la peculiarità della materia e con il finalismo (anche) educativo del processo minorile. Ne deriva, quindi, che lo strumento normativo di identificazione del difensore d’ufficio, speculare al combinato disposto degli artt. 97 e 29, disp. att., c.p.p., risulta dunque diretto alla individuazione di un professionista specializzato che assume l’incarico officioso nell’interesse del minorenne.

In generale sembra allora corretto ritenere che nel rito minorile l’attività richiesta al professionista, oltre alla predisposizione di un’idonea difesa tecnica, si snodi lungo una serie di direttrici. In primo luogo, il difensore è senz’altro chiamato a offrire al minore imputato (o indagato) una valida assistenza, diretta ad individuare le modalità per una celere uscita dal circuito giudiziario attraverso i meccanismi all’uopo previsti dal decreto; in secondo luogo, l’avvocato incaricato della difesa deve anche illustrare al minore il «il contenuto, il fondamento etico sociale e gli scopi degli atti della procedura e in generale il significato della vicenda processuale in cui è rimasto coinvolto, – al fine di consentirgli una attiva partecipazione e di ridurre gli effetti stigmatizzanti insiti nell’intervento penale –; in sintesi, di fornire una rappresentanza e una assistenza secondo modalità che tengano conto del processo di maturazione in corso»[1].

D’altra parte, il difensore può svolgere un ruolo determinante di interrelazione tra indagato e servizi sociali, al fine di favorire gli interventi di questi ultimi, ma anche di mediazione tra indagato e persona offesa, nella prospettiva di realizzazione degli adempimenti riparatori indispensabili per la messa alla prova, né deve essere sottovalutata la posizione di collegamento, che il professionista assume tra i genitori e le strutture giudiziarie, diretta a consentire agli esercenti la potestà genitoriale una partecipazione effettiva alla vicenda procedimentale. Il dato normativo peculiare della disciplina in esame consiste nella necessità richiesta al professionista, che intenda iscriversi nell’elenco dedicato ai difensori d’ufficio nel campo minorile, di possedere requisiti di preparazione tecnica, che invece non vengono richiesti al difensore di fiducia. È stato al riguardo osservato da Sfrappini, che il sistema minorile, perseguendo anche finalità pedagogiche, «connota l’assistenza tecnica e ‘morale’ dell’imputato infradici ottenne quale assistenza ad un soggetto debole: l’istanza punitiva statuale deve essere ‘filtrata’ attraverso il dovere di salvaguardare la personalità del minore dagli effetti potenzialmente stigmatizzanti connaturati all’intervento penale. In tale ottica, l’ordinamento processuale minorile esige che il difensore sia dotato di una specializzazione in campo educativo, essendo ad esso attribuito essenzialmente un ruolo di mediazione tra la strategia tecnico – difensiva e l’elaborazione degli eventuali progetti di recupero della personalità in formazione del minore».

Limiti ai poteri del difensore civile d’ufficio minorile.

Circa i limiti del potere del difensore d’ufficio,il problema, si è posto in un  caso concreto, quando – avverso ad una sentenza di adottabilità – il difensore d’ufficio, sapendo che la volontà espressa della madre biologica era quella di impugnare la sentenza di adottabilità, anche in assenza di una procura speciale conferita dall’assistita, ha proposto appello alla sentenza sulla base della nomina d’ufficio pronunciata dal Tribunale per i Minorenni nel decreto provvisorio che fissava anche la data di audizione della madre. Se consideriamo che nel diritto penale il difensore può/deve impugnare la sentenza a prescindere da procura speciale/nomina di fiducia,  nel procedimento civile di adottabilità del minore la difesa d’ufficio viene “snaturata”. L’avvocato ha l’obbligo di svolgere l’attività difensiva nel procedimento di adottabilità di primo grado, ma poi nella fase di appello la Corte ritiene necessaria la procura speciale conferita dal genitore/i naturale/i, azzerando i poteri del difensore d’ufficio, che – secondo questo orientamento – non potrebbe proporre gravame contro la decisione di primo grado, sulla base della mera nomina del Tribunale per i Minorenni. Questo orientamento è seguito dalla Corte di Appello di Salerno  – sezione Minorenni che, con provvedimento del 24.02.2010, ritenne necessaria la procura speciale conferita dai genitori naturali, affinché il difensore potesse proporre appello. Questo orientamento è condiviso anche dalla Corte di appello di Bologna – Sezione minori che – con ordinanza datata 14.03.2019 – ha rimesso in termini il difensore d’ufficio della madre del minore, che aveva impugnato la sentenza di adottabilità  senza procura speciale ma solo in forza di nomina da parte del Tribunale per i minori. Il Giudice del gravame ha concesso un termine al difensore d’ufficio per munirsi di procura speciale per l’impugnazione dimostrando di aderire alla tesi della carenza di potere del difensore d’ufficio di impugnare la sentenza di adottabilità.

In tale modo viene però meno la funzione garantista ed il ruolo del difensore d’ufficio introdotto nel procedimento avanti al Tribunale per i Minorenni. Sul punto sarebbe necessario un intervento della Suprema Corte di Cassazione che chiarisse il ruolo e i poteri del difensore d’ufficio, nei procedimenti di adottabilità.

Diritto e Neuroscienze: un colloquio necessario e strumentale nella difesa processuale del minore.

Con particolare efficacia la dottrina italiana ormai da qualche anno affronta la tematica delle neuroscienze in lettura simbiotica con uno degli istituti fondanti il sistema penale, quali l’imputabilità e l’accertamento della stessa.

Le “neuroscienze” studiano il sistema nervoso, analizzano la comprensione del pensiero umano, le emozioni ed i comportamenti, biologicamente correlati, attraverso cui si manifesta o non stesso. Le tecnologie neuro-scientifiche spiegano come funziona, si sviluppa e degenera il sistema nervoso. Gli studiosi del campo si chiedono cosa sia la mente, in che modo gli individui percepiscano le loro emozioni, quali siano le cause di disturbi neurologici e psichiatrici.

La ricerca neuro-scientifica è transitata dalla descrizione del cervello umano e delle sue attività metabolico funzionali, quale categoria generale, a quella di categoria specifica, quale le neuroscienze “giuridiche” o “forensi” , dove lo studio delle cellule nervose è parametrato al comportamento umano, a quello specifico settore del comportamento umano, che afferisce alla commissione dei fatti di reato e alla valutazione degli stessi all’interno del processo penale[2].

La ricerca nel campo delle neuroimaging ha anche fornito intuizioni relative allo sviluppo del cervello dei minori. Studi effettuati tramite la fMRI hanno associato il periodo dell’adolescenza a una maggiore attività dei sistemi di ricompensa immediata, rispetto allo sviluppo delle funzioni della corteccia prefrontale, quali la capacità di giudizio e il controllo degli impulsi, che maturano successivamente. Questa differenza aiuta a spiegare negli adolescenti la prevalenza di comportamenti impulsivi, guidati dalla ricompensa immediata[3].  Di applicazione importante del neuroimaging di è quello relativo alla testimonianza dei minori, la cui memoria è soggetta a ‹‹gravi rischi di inquinamento».

L’imputabilità per i minori costituisce ulteriore ipotesi di costruzione giuridica sia in ordine ai presupposti, sia in ordine agli effetti che essa scaturisce.

Presupposto oggettivo essenziale è dato dalla fondata considerazione che il minore non ha ancora raggiunto un grado di sviluppo fisico e psichico tale da poter comprendere il valore etico-sociale, talvolta anche il significato, delle proprie azioni.

Qui la scissione tra diritto e scienze è netta. Sorge l’interrogativo, qual è il limite di età a partire dal quale si può ritenere il soggetto under age capace di intendere e di volere? Tale limite è vincolato al reale raggiungimento della maturità psico-intellettiva del minorenne?

Per il diritto esigenze di certezza, uguaglianza e legalità impongono l’adozione di un criterio cronologico. Per le scienze psicologiche, l’età della maturazione psichica varia da persona a persona, e, dunque, l’accertamento della stessa, andrebbe verificato caso per caso. Per le neuroscienze il “cut-off stabilito per l’età minima del’imputabilità” dovrebbe essere agganciato ai risultati della ricerca scientifica[4].

Il contenuto sostanziale dell’imputabilità è lessicalmente reso dalla “definizione aperta” data dal capoverso dell’art.85 c.p., secondo cui è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere e secondo l’orientamento della Cassazione con la sentenza della sezione penale VI, del 27 ottobre 2009, n. 43285.

L’art. 97 c.p. elaborato come fictio iuris, con un’espressa presunzione assoluta di non imputabilità, elusiva dell’effettivo riscontro della capacità di intendere e di volere. Il giudizio di immaturità è l’unica causa di esclusione dell’imputabilità, apparentemente costruita non in relazione al concetto di capacità di intendere e di volere, bensì sulla base di un dato tecnico, quale l’età anagrafica.

Il legislatore ha escluso l’imputabilità del minore di quattordici anni proprio perché, sulla base dell’id quod plerumque accidit, è necessario valutare concretamente la capacità dell’autore di reato minorenne di rendersi conto del disvalore penale relativo alla condotta criminosa posta in essere e della sua effettiva capacità di autodeterminazione[5]. E, dal momento che la personalità del minore di quattordici anni è ancora in fieri, si cerca di non impedirne il regolare sviluppo prevedendo, la non sottoposizione a giudizio e la non applicazione della sanzione penale.

La discrezionalità del giudice in questo settore è fortemente condizionata dalla concezione “paternalistica/assistenziale” del diritto penale minorile. Nel caso dibattuto all’art. 98 c.p. ciò è maggiormente evidente. “Il minore che ha più di quattordici anni, ma non ha ancora compiuto diciotto anni, infatti, è imputabile solo se, al momento in cui ha commesso il fatto, aveva la capacità di intendere e di volere”. Nei confronti degli infradiciottenni, pertanto, non opera alcuna presunzione né di capacità, né di incapacità, dovendo il giudice accertare se il soggetto era imputabile o meno caso per caso. I cavilli dottrinali e giurisprudenziali sulle ipotesi di maturità/immaturità minorile, hanno reso necessaria una interpretazione della locuzione «capacità di intendere e di volere» di cui all’art. 98 c.p. ha un’accezione diversa rispetto a quella esaminata ex art. 85 c.p., come rapporto da genus a species. Bisogna, quindi, conferire alla capacità di intendere e di volere del minore infradiciottenne una propria sfera di operatività, in considerazione della peculiarità dell’età minorile, diversa e aggiuntiva rispetto a quella “originaria” dell’adulto.

La capacità di cui all’art. 98 c.p. si distingue dalle altre ipotesi di incapacità, essa viene solitamente individuata nel concetto di maturità. Si tratta di un concetto controverso. Il termine immaturità non risulta da nessuna disposizione legislativa, in quanto frutto della elaborazione giurisprudenziale[6].  La giurisprudenza della Corte di Cassazione interpreta il concetto in questione, proponendo vari parametri, diversamente definiti: armonico sviluppo della personalità, sviluppo intellettivo adeguato all’età, capacità di valutare adeguatamente i motivi degli stimoli a delinquere, comprensione del valore morale della propria condotta si vedano le sentenze tra le più recenti la Sentenza della sezione IV, n. 17661, 14 aprile- 7 maggio 2010; la sentenza della Sezione V, Sent., n. 18052, 17 gennaio-11 maggio 2012.

Nell’elaborazione dottrinale del concetto di maturità, in particolare merita attenzione la letteratura psicopedagogica. Nella negazione del binomio immaturità/malattia di mente, il minore può essere immaturo, ma perfettamente sano di mente, L’art. 98 c.p., tuttavia, menziona la tipologia di ragazzo clinicamente “normale”, che deve essere considerato ai fini dell’imputabilità.

E sulla base di tale asserzione normativa, col tempo, sono stati sempre più utilizzati i contributi della psicologia dell’età evolutiva per l’analisi delle dinamiche adolescenziali. Il ricorso a paradigmi psicologici ha permesso di prendere in considerazione situazioni più sfumate, caratteristiche peculiari dell’individuo in via di sviluppo, come il problema del’aggressività distruttiva.  Le diverse interpretazioni dell’aggressività, intesa come marcato malfunzionamento di alcuni sistemi neurobiologici o genetici, o come istinto cui soggiace una forza biologica da scaricare in qualche modo, interagenti con i fattori ambientali e comportamentali, spiegano le ipotesi tipo in cui l’adolescentescarica” le pulsioni di aggressività, ostilità, sopraffazione, sul contesto sociale ed ambientale, commettendo reati, senza badare alle regole esistenti e ai diritti degli altri, situazioni comportano una devianza legata alla fase pre ed adolescenziale dei minori, comune alla stessa fascia d’età. immaturità “non inferma” sono sostenute da forme di auto giustificazioni poste in essere dai minori, autori di fattispecie criminose, come “negazione della propria responsabilità”; “minimizzazione del danno provocato”; “negazione della vittima”; “condanna di chi condanna l’azione criminosa”; “giustificazione etica”; “attribuire la colpa ad altri”[7].

Nel giudizio di maturità le neuroscienze giocano un ruolo chiave per una valutazione della capacità di intendere e volere degli imputati minorenni. Gli scienziati sostengono che lo sviluppo del cervello avvenga tra i 20 e i 25 anni; dati statistici evidenziano come i comportamenti antisociali, delinquenziali, trasgressivi, criminali in senso lato, si manifestano principalmente nella fase preadolescenziale, ovvero nell’arco di età compresa tra i 10 e i 16 anni, rientrando nelle fasce protette sia dalla presunzione iuris et de iure di imputabilità, sia dall’accertamento rimesso alla discrezionalità del giudice[8].

La ratio della ricerca neuroscientifica è rivolta a comprendere e a dimostrare se in questa soglia d’età i soggetti coinvolti in attività criminose siano in grado o meno di controllare il proprio comportamento. La maturità si rileva, dunque, quale manifestazione di scelte consapevoli di evitare il rischio, di prevedere le conseguenze dell’azione, di moderare i propri impulsi.

Il codice penale sancisce, come scelta di politica criminale, che i minori di anni 14 siano non imputabili, non in grado, cioè, di operare quelle scelte consapevoli e di evitare le conseguenze derivanti; come scelta culturale legata al contesto sociale in cui si innesta, dispone che fino ai 18 anni possano essere imputabili o non imputabili, previo accertamento della loro maturità di intendere e di volere.  Il cervello del minorenne viene studiato come mappa delle cellule nervose, capaci di generare connessioni tra le parti, trasmettere e informazioni, attraverso impulsi elettrici, che governano le azioni sia esse volontarie, che involontarie. Esso si compone di materia grigia e bianca, soggette nel corso degli anni a processi di crescita e di decrescita (arborization and pruning). Durante l’infanzia, l’adolescenza, la prima giovinezza (range compreso tra i 7 e 30 anni), si assiste, tramite brainimaging o mappatura della distribuzione spaziale del cervello, ad una stretta correlazione negativa tra crescita cerebrale e riduzione della sostanza grigia corticale, soprattutto nei lobi frontali e parietali. Nelle predette fasce d’età si verificano “eventi cellulari regressivi” e “progressivi”. I cambiamenti morfologici di synaptic pruning e myelination hanno sicuro impatto a livello comportamentale. Negli individui omicida e i soggetti con istinti predatori si riscontra un ridotto metabolismo prefrontale e anormalità funzionali cerebrali[9]. L’area del lobo frontale, infatti, non risulta adeguatamente sviluppata negli adolescenti delinquenti o dai comportamenti devianti. I percorsi di crescita e di sviluppo del cervello sono influenzati durante la giovinezza dal sistema limbico e dall’amidgala, zone associate ai tassi di aggressività ed impulsività. Mentre, infatti, tale area della corteccia prefrontale “interviene” nel mondo degli adulti sul controllo e sulla determinazione delle emozioni, negli adolescenti essa non interagisce in maniera convincente con la modulazione della sfera delle pulsioni e dei sentimenti, ragion per cui i minorenni si comportano in maniera instabile. I minorenni, dunque, in base alla ricerca empirica, non sono neuropsicologicamente e neurofisiologicamente in grado di utilizzare le proprie funzioni cognitive, di pianificazione e controllo, perché l’area cerebrale del caso non è ancora giunta ad un livello di mielinazione adeguato, e di controllare le proprie emozioni in un rapporto di ‹‹bi-direzionalità interattiva tra cervello ed emozioni». I minori, così come gli adulti, con accertati danni a livello frontale manifestano comportamenti caratterizzati da un deterioramento ed indebolimento della capacità decisionale, con conseguente produzione di condotte distruttive ed antisociali[10].

Conclusioni

Alla luce di questa analisi tra diritto e neuroscienze è evidente che sarà necessario che il difensore d’ufficio del minore, provenga non solo da studi tecnico- giuridici, ma che sia iscritto in un elenco specifico, con una specifica preparazione nel diritto minorile. In ragione delle ultime evoluzioni delle neuroscienze appare necessaria una ulteriore professionalizzazione e specializzazione dei difensori penali ma anche civili del minore, quanto più se d’ufficio, ossia un preparazione che tenga conto di una conoscenza approfondita di aspetti psicologici e sistemico relazionali della vita familiare e del minore. evidente come accanto alla predisposizione di un codice deontologico, o forse ancora prima, solo la particolare formazione dell’avvocato dei genitori e del minore potrà garantire davvero un servizio utile e professionalmente adeguato. Occorre che, in questa materia, l’avvocato sviluppi una capacità comunicativa e una competenza relazionale che gli permetta non solo di rapportarsi con il proprio assistito ma anche di “dialogare con la famiglia, interagire con i servizi, collaborare con i consulenti  sviluppando con tutti questi soggetti un rapporto di collaborazione sinergica, anziché di contrapposizione”.

In conclusione, l’avvocato dei genitori e del minore non deve essere soltanto preparato sul terreno tecnico-giuridico, poiché coloro che sono chiamati ad assistere un minore o uno dei genitori debbono possedere una formazione pluridisciplinare, che attinga anche a competenze di psicologia e sociologia, per poter comprendere meglio la personalità del minore nelle varie fasi dello sviluppo evolutivo, e per poter entrare con maggior competenza all’interno delle dinamiche familiari. Affinché il minore sia veramente presente con i propri bisogni nelle procedure che lo riguardano è necessario che il suo difensore sappia interpretarli correttamente, attivando con lui una valida e proficua relazione. È considerevole capire come con l’avvento della neurolaw cambia il modo di considerare l’uomo. L’apporto delle neuroscienze apparirebbe come necessario per prevenire gli errori che possono essere compiuti dal diritto. È per questo che oggi si potrebbe parlare di diritto “plastico”, proprio per evidenziare la sua relazione con la scienza.

Tuttavia sul piano nazionale, l’impatto processuale delle neuroscienze è ancora piuttosto contenuto e sostanzialmente limitato alla sedes naturalis, vale a dire il giudizio di imputabilità. Anche in quest’ambito, tuttavia, si registra un atteggiamento assai cauto, se non talvolta diffidente, da parte della giurisprudenza, ancora dubbiosa sulla piena affidabilità epistemologica delle discipline in questione. La continuità del dialogo interdisciplinare è chiamata a favorire il superamento di incertezze e resistenze, con l’auspicio che anche nell’ambito civilistico possano approdare difensori formati non solo sul piano squisitamente giuridico, quanto più specializzati in psicologia e neuroscienze, conoscenze non sottovalutabili specie nelle materie del diritto di famiglia e minori ove la lettura meramente tecnico-giuridica appare limitante innanzi a questioni che germinano e si radicano nel profondo della psicologia dell’essere umano.


[1] CIPOLLA, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Lattanzi-Lupo, Processo minorile, Cipolla-Cottatellucci-Giarrusso, (a cura di), Vol. XII, Milano, 2013, p. 106 s.

[2] Cfr. V. L. Sammicheli, G. Sartori, Neuroscienze giuridiche: i diversi livelli di interazione tra diritto e neuroscienze, in A. Bianchi, G. Gullotta, G. Sartori (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, Giuffrè, Milano 2009.

[3] Cfr. Gullotta, Zara, La neuropsicologia criminale e dell’imputabilità minorile, in A. Bianchi, G. Gullotta, G. Sartori (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, Giuffrè, Milano 2009, 109 ss., in specie 127 ss.

[4] Gullotta, Zara, La neuropsicologia criminale e dell’imputabilità minorile, cit., 121 ss.

[5] Cfr. per tutti M. Mantovani, L’imputabilità del minorenne: problemi e prospettive, in G. Giostra (a cura di), Per uno Statuto europeo dell’imputato minorenne, Giuffrè, Milano, 2005, 15 ss. Vedi in giurisprudenza, Cass. pen., sez. I, sentenza 11 febbraio 2009, n. 5998 in Altalex Massimario.

[6] M. Bouchard, L. Pepino, L’imputabilità, in Palermo Fabris, Presutti (a cura di), Diritto e procedura penale minorile, cit., 114 ss.; P..Vercellone, L’imputabilità e la maturità del minore, in Forza, S. Gustavo, P. Michielin (a cura di), Difendere, valutare e giudicare il minore. Il processo penale minorile, Giuffrè, Milano, 2001, 329 ss.; G. Ponti, P. Gallina Fiorentini, voce Immaturità, in Digesto delle discipline penalistiche, UTET, Torino, 1992, vol. VI, 145.

[7] D. Matza, Come si diventa devianti, Il Mulino, Bologna, 1976; V.G. Caprara, Tempi moderni, Giunti, Firenze, 2003.

[8] M. ANTONELLA PASCULLI, Imputabilità e minori alla luce delle neuroscienza,Università degli studi di Bari.

[9] Gullotta, I volti del’aggressività e dell’aggressione:predatori strumentali ed affettivi, in Gullotta. Merzagora Betsos (a cura di), L’omicidio e la sua investigazione, Giuffré, Milano, 2005, 1 ss.

[10] R. Epstein, The Myth of Teen Brain, 2007, in www. sciammind.com ; cfr. Gullotta, Zara, La neuropsicologia criminale e dell’imputabilità minorile, cit., 137, con riferimenti agli studi di Anderson e altri, secondo cui i pazienti con danno precoce manifestavano inadeguatezza sociale in tutto il corso della vita; le difficoltà comportamentali risultavano più severe e gravi; erano incapaci di trasferire alle situazioni concrete conoscenze ed informazioni adeguate; le disfunzioni a livello comportamentale erano causate dal danno cerebrale, indipendentemente da fattori psicologici e sociali.

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