Sin dall’inizio degli studi in legge e dall’inizio della pratica legale tutti abbiamo assistito a lezioni universitarie dirette o comportamentali anche indirette da parte del nostro dominus sulla deontologia forense.
Ma di cosa di tratta esattamente?
Potremmo dire anzitutto che la deontologia forense si occupa di dettare un insieme di regole e quindi anche doveri comportamentali che la figura del legale deve rispettare, estendendo la medesima, oltre agli iscritti all’ordine di riferimento, anche ai praticanti e pertanto, suscettibili di rispetto e di tutela.
Tali regole di condotta sono indicate dal Codice Deontologico Forense, approvato dal consiglio nazionale forense nella seduta del 31 gennaio 2014 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale serie generale n. 241 del 16 ottobre 2014.
Lo stesso regola alla base i principi generali, ed a seguire regola i rapporti con i clienti, i rapporti con i colleghi, rapporti con i terzi e rapporti con le istituzioni forensi.
A ben vedere, sin dalla lettura del primo articolo del codice deontologico è desumibile la ratio del medesimo, volendo indirizzare l’attenzione alla tutela assoluta dell’interesse della collettività, dettando in tal senso che, “l’avvocato tutela, in ogni sede, il diritto alla libertà, l’inviolabilità e l’effettività della difesa, assicurando, nel processo, la regolarità del giudizio e del contraddittorio”[1]
Trattandosi di normative meritevoli di tutela, in quanto articoli disciplinati dalla legge, qualora venissero violati, genererebbero a carico del soggetto interessato una responsabilità disciplinare.
Le regole generali su cui si fondano le direttive oggetto di disamina postulano la loro attenzione a dei comportamenti che ogni figura legale è volta a tenere, con riferimento sia alla sfera professionale, sia alla vita privata, in quanto, l’etica, la moralità e la figura del professionista legale non si estinguono quando ci si trova fuori dallo studio legale o fuori dal tribunale. La vita privata va piuttosto intesa come un’estensione della pubblica immagine del diritto ed in tal senso appare meritevole di cura il decoro etico e morale da parte di ogni professionista, poiché è possibile affermare con fermezza che, parlando di giurisprudenza, è esattamente lì che si fonda la società di diritto intrinseca della sua etica e moralità.
La condotta dell’Avvocato
Dall’analisi degli articoli del Codice Deontologico Forense è possibile tracciare un quadro completo e dettagliato circa la condotta che ogni legale deve tenere, potendo in tal senso far emergere i punti su cui si deve porre un accento, tra cui, i doveri di probità, dignità, diligenza, competenza, il dovere di decoro al fine di salvaguardare la propria reputazione ed immagine, ponendo alla base della propria attività il principio base correttezza e della lealtà[2].
L’avvocato deve agire nel pieno rispetto del mandato con cui ha ricevuto l’incarico da parte del cliente e tutelarlo sempre, ove a monte del rapporto che intercorre i due soggetti deve esservi la fiducia[3].
Meritevole di grande attenzione, con riflesso ai giorni d’oggi, è anche il principio che detta il dovere di segretezza previsto dall’art. 13 C.D.F. secondo cui “l’avvocato è tenuto, nell’interesse del cliente e della parte assistita, alla rigorosa osservanza del segreto professionale e al massimo riserbo su fatti e circostanze in qualsiasi modo apprese nell’attività di rappresentanza e assistenza in giudizio, nonché nello svolgimento dell’attività di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale e comunque per ragioni professionale”. Va assolutamente precisato che tale dovere di riserbo, non va limitato soltanto alla fase prima e durante il processo, ma va assolutamente esteso anche a cessazione dell’azione legale e dei rapporti tra le parti.[4]
L’informazione al cliente deve essere sempre completa e veritiera, nonché dettagliata circa le possibili soluzioni che il caso di specie prospetta; devono essere indicati la probabile durata dell’azione legale ed i costi che ne derivano, l’avvocato inoltre deve informare il cliente circa la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita ovvero mediazione e, dove ne ricorrano i presupposti, deve informarlo sulla possibilità di ricorrere al patrocinio gratuito dello Stato.[5]
Come già accennato a monte dell’articolo, la deontologia detta non solo regole nei confronti dell’avvocato che si relaziona con il cliente e l’assistito, ma getta solide basi anche alla capacità relazionale tra avvocati ed organi collegati, ove, alla base della disciplina sta il rispetto reciproco, sia in termini professionali che in termini umani.[6]
I rapporti con i collaboratori di studio e i praticanti
Al riguardo hanno posto un chiarimento gli artt. 39,40 C.D.F. secondo cui “L’avvocato deve consentire ai propri collaboratori di migliorare la loro preparazione professionale e non impedire od ostacolare la loro crescita formativa, compensandone in maniera adeguata la collaborazione, tenuto conto dell’utilizzo dei servizi e delle strutture dello studio. La violazione dei doveri di cui al presente articolo comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento.”[7]
Con riferimento alla figura del praticante, l’avvocato deve assicurare allo stesso la concretezza e la produttività della pratica forense, al fine di consentirgli un’adeguata formazione.[8]
Diventa quindi un vero e proprio dovere del dominus formare i propri collaboratori, trasferendo le conoscenze acquisite negli anni di esperienza professionale, dando la possibilità di studiare e collaborare con tutti i mezzi che si hanno a disposizione nel proprio studio, anche perché senza dimenticare il passato, gli stessi dominus un tempo sono stati dei praticanti, speranzosi e determinati ad apprendere quanto più possibile di questa eccelsa professione, al fine di diventare ciò che oggi sono.
Dunque, il collante che unisce un aspirante avvocato al raggiungimento dell’abilitazione deve essere proprio lo studio legale e per esso l’avvocato di riferimento che si è impegnato alla crescita dei propri “allievi”.
In conclusione a quanto ciò detto, a seguito della violazione delle disposizioni dettate dagli articoli tutti del presente Codice, come già accennato, grava una responsabilità disciplinare in capo a chi agisca contrariamente, allo scopo unico di tutelare l’interesse della collettività.
[1] Art. 1, Codice deontologico forense.
[2]Art. 9, Codice deontologico forense.
[3] Artt. 10, 11, Codice deontologico forense.
[4] Artt. 13,28, Codice deontologico forense.
[5] Art. 27, Codice deontologico forense.
[6] Art. 19, Codice deontologico forense.
[7] Art. 39, Codice deontologico forense.
[8] Art. 40, Codice deontologico forense.