Nel 2020 in Turchia almeno 300 donne sono state uccise.
Includendo ulteriori 171 casi sospetti frettolosamente archiviati come suicidi e 99 cambi di identità e trasferimenti per sfuggire alla violenza domestica, il grande Paese eurasiatico precipita in una spirale dai contorni inquietanti (1).
In questo drammatico contesto il 19 marzo 2021 Recep Tayyp Erdogan ha siglato le cinque righe del Decreto presidenziale n. 3718 entrato in vigore nelle prime ore del mattino del 20 marzo 2021 sul recesso della Turchia dalla Convenzione di Istanbul ratificata dal Parlamento il 24 novembre 2011.
Oggetto di questo elaborato al di là dell’indubbiamente condivisa e forte preoccupazione verso le sorti dei diritti delle donne turche, è la ricerca di una risposta attraverso la normativa sovrannazionale ed interna a due ordini di fattori.
La Turchia può uscire dalla Convenzione, ed in caso affermativo, il recesso può considerarsi legittimo?
Le criticità
Istanbul 2011 riveste la forma ‘soft-law’ del Trattato internazionale aperto similmente al Trattato di Roma istitutivo delle Comunità Economiche europee.
A differenza dei c.d. ‘Trattati chiusi’ quale ad esempio l’istituzione del Benelux che non ammettono né il successivo ingresso di altri soggetti di Diritto internazionale oltre ai firmatari né l’uscita degli aderenti, la prima forma consente successive adesioni nel tempo.
In forza del principio generale “pacta sunt servanda” riportato nell’articolo 26 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati le Parti sono vincolate al rispetto, applicazione ed interpretazione del trattato secondo buona fede.
Nell’osservanza tanto della forma ‘aperta’ quanto in base disposizioni dell’articolo 42 co. 2 di Vienna la Turchia ha quindi provveduto a comunicare la propria denuncia o ritiro (2) dalla Convenzione di Istanbul esercitando il relativo diritto nelle forme e nei tempi dei successivi artt. 44, 56 e 65.
Le ampie possibilità di recesso dalla Convenzione non significano automaticamente che la decisione di Erdogan possa definirsi legittimamente adottata.
Un primo elemento di fragilità del Decreto 3178 può rinvenirsi nella mancata ottemperanza alla clausola di salvaguardia contenuta nell’articolo 74 della Convenzione di Istanbul.
La disposizione in caso di controversia circa l’applicazione o l’interpretazione del trattato, obbliga le Parti a “trovare anzitutto una soluzione mediante negoziato, conciliazione, arbitrato o qualsiasi altro mezzo pacifico di loro scelta”.
In buona sostanza una condicio sine qua non di natura prettamente collaborativa, da esperire anteriormente ad ogni dichiarazione di recesso che, in questo caso, è avvenuto tout court senza alcun esperimento anche con eventuale esito vano, delle vie conciliative e diplomatiche da esperire preventivamente all’uscita nelle forme di Vienna.
Inoltre, sempre sotto il profilo squisitamente internazionale l’art. 80.1 di Istanbul 2011 prevede che l’atto di recesso debba essere notificato al Segretario Generale del Consiglio d’Europa e la denuncia-recesso spiegano la loro efficacia il primo giorno del mese successivo alla scadenza di un periodo di tre mesi dalla data di ricevimento della notifica da parte del Segretario Generale.
Tale finestra temporale permette la successiva notifica dal Segretario agli Stati membri del Consiglio d’Europa, a quelli non membri ma che abbiano partecipato all’elaborazione della Convenzione nonché ad ogni firmatario, ad ogni Parte, all’Unione europea e ad ogni Stato invitato ad aderire alla Convenzione del 2011 in ottemperanza al successivo articolo 81.
Il Decreto presidenziale del 19-20 Marzo non pare quindi sufficiente a spiegare, almeno al momento, alcun effetto supranazionale.
Assodato quindi il mancato rispetto delle norme internazionali spostiamo la nostra attenzione su altri aspetti valutando la legittimità dell’operato di Ankara secondo la normativa interna.
Mutato l’ordine degli addendi il risultato non cambia, e, specularmente, l’uscita dalla Convenzione è da considerarsi illegittima anche in forza del diritto domestico.
L’articolo 8 della vigente Costituzione approvata il 18 ottobre 1982 ed oggetto di successivi ventuno emendamenti, delinea le funzioni del potere esecutivo esercitato dal Presidente della Repubblica e dal Consiglio dei Ministri in conformità con la Costituzione e la legge.
L’articolo 104 determina le funzioni ed i poteri presidenziali nulla elencando in ordine alla possibilità di uscire dai trattati internazionali.
Al contrario, il potere di ratificare od uscire da un trattato internazionale rientra nelle esclusive attribuzioni del potere legislativo esercitato dal Parlamento o ‘Grande assemblea nazionale turca’ in base all’articolo 90 dello Statuto.
Anche qualora la denuncia della Convenzione fosse stata adottata dal Parlamento, il comma 5 dell’articolo 90 attribuisce agli accordi internazionali statuenti sui diritti fondamentali e sulle libertà dell’individuo l’assoluta prevalenza rispetto a qualsiasi diversa disposizione interna che si ponga in conflitto.
Il Decreto presidenziale n. 3178 è quindi censurabile per manifesta incostituzionalità essendo un mero atto del potere Esecutivo in materia per la quale vi è un’espressa riserva di legge formale ordinaria ed ulteriormente illegittimo in quanto confliggente con un trattato internazionale sui diritti fondamentali.
Il superamento dell’impasse
La questione di legittimità costituzionale della decisione di Erdogan può essere sottoposta alla Corte Costituzionale entro e non oltre sessanta giorni dalla pubblicazione del provvedimento nella Gazzetta Ufficiale – articolo 150 della Costituzione – e giusta l’articolo 152 la Corte dovrà pronunciarsi a favore o contro l’annullamento entro cinque mesi dalla ricezione del relativo ricorso.
Legittimati all’azione non sono solo il principale partito di opposizione ovvero almeno un quinto dei rappresentanti della Grande Assemblea, ma chiunque vi abbia un concreto ed attuale interesse.
Quindi singole cittadine ed organizzazioni non governative portatrici di rivendicazioni sull’eguaglianza di genere e sulla lotta ad ogni forma di violenza e di discriminazione.
La Corte Costituzionale dovrà essere adìta in ogni caso prima di qualsiasi decisione del Consiglio di Stato-autorità amministrativa di ultima istanza-che forte delle attribuzioni conferite dall’articolo 24 della Legge n. 2575 del 1982-possa confermare l’incostituzionalità dell’uscita ma anche pronunciarsi sulla manifesta infondatezza della relativa questione chiudendo in tal caso e definitivamente qualsiasi percorso di revisione.
Normativa
- Convenzione del Consiglio d’Europa siglata ad Istanbul l’11 maggio 2011
- Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati conclusa il 23 maggio 1969
- Costituzione Turca “Turkiye Cumhuriyeti Anayasasi” adottata il 18 ottobre 1982
(1) Fonte: www.kadincinayeterinidurduracagiz.net/veriler/2949/2020. La piattaforma ‘Fermeremo i femminicidi’ che rilascia questi dati raccoglie dati e denunce sulla vioenza di genere in Turchia per creare un database alternativo rispetto alla labile statistica ufficiale
(2) I sinonimi ‘denuncia’ e ‘ritiro’ si riferiscono all’Atto unilaterale di uno Stato che manifesta la volontà di recedere