Decreto di esecutorietà dello stato passivo non preclude a giudice delegato di escludere in sede di riparto un credito già ammesso al concorso

Con la sentenza n. 525 del 14 gennaio 2016, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito che, in materia di riparto dell’attivo fallimentare, il decreto di esecutorietà dello stato passivo non preclude al giudice delegato in sede di riparto di escludere il credito già ammesso al concorso, ove il curatore faccia valere il fatto estintivo sopravvenuto all’ammissione.

Sul punto, giurisprudenza consolidata sostiene che, stante l’efficacia preclusiva endofallimentare del decreto di approvazione dello stato passivo, non possono essere esclusi in sede di riparto i crediti ammessi, e le questioni che possono porsi in detta sede sono solo quelle relative “alla graduazione dei vari crediti ed all’ammontare della somma distribuita, con esclusione di qualsiasi questione relativa all’esistenza, qualità e quantità dei crediti e privilegi” (cosi Cass. 19940/06 e 27044/06).

La Suprema Corte ha confermato suddetto principio, affermando altresì che i provvedimenti che, in sede di verificazione dei crediti, vengono adottati dal giudice delegato, quand’anche non abbiano formato oggetto di opposizione, non acquistano efficacia di cosa giudicata, ma spiegano effetti preclusivi nell’ambito della procedura fallimentare di ogni questione relativa all’esistenza del credito, validità, ed efficacia del titolo da cui deriva ed all’esistenza delle eventuali cause di prelazione.

Diverso, secondo la Corte di legittimità, è tuttavia il caso in cui in sede di riparto non sia stata posta alcuna questione già valutata in sede di ammissione al passivo e quindi coperta col decreto di esecutività dal giudicato endofallimentare, bensì un fatto estintivo successivo all’ammissione, che il Tribunale ha accertato in sede di reclamo. In tale circostanza, come nel caso di specie, non v’è infatti alcuna violazione dell’efficacia preclusiva endofallimentare del decreto di approvazione dello stato passivo, “giacchè la Curatela ha fatto valere, ed il Tribunale ha accertato, l’estinzione del credito per fatti sopravvenuti all’ammissione, in contraddittorio con la creditrice, che ha quindi potuto spiegare le proprie difese“.

Invero, l’autorità del giudicato non è di ostacolo all’allegazione ed alla cognizione di nuovi e posteriori eventi i quali incidano sul modo di essere del diritto deciso, ma impedisce il riesame o la deduzione di questioni anteriori ad esso, tendenti ad una nuova decisione della controversia già risolta con provvedimento definitivo ( sul principio, tra le altre, le pronunce 11169/2012, 23082/2011, 2732/2011, 25862/2010).

La Cassazione ha inoltre rilevato che, nell’ambito fallimentare, nessuna differenza può sussistere tra l’ipotesi in cui la chiusura avvenga previo riparto finale che soddisfi integralmente i creditori ammessi, e quella verificatasi con soddisfazione stragiudiziale che emerga a livello di procedura concorsuale con le rinunzie e le dichiarazioni dei creditori ammessi. Con la previsione dell’ipotesi in cui i crediti ammessi “siano in altro modo estinti“, l’art. 118 n. 2 L.F. ha infatti voluto sia favorire le situazioni estintive diverse dal pagamento, sia soprattutto “favorire l’emersione di disponibilità e possibilità, anche da parte di terzi, che altrimenti resterebbero occulte e non si tradurrebbero in un vantaggio per i creditori.

In conclusione, la Corte ha pertanto respinto il ricorso, affermando il seguente principio di diritto: “Il decreto di esecutorietà dello stato passivo non preclude al giudice delegato in sede di riparto di escludere il credito già ammesso al concorso, ove il curatore faccia valere il fatto estintivo sopravvenuto all’ammissione (nel caso, l’integrale soddisfazione del creditore da parte dei coobligati in solido del fallito)“.

Leggi la sentenza integrale: Corte di Cassazione, sez. I civile, sentenza n. 525 del 14 gennaio 2016

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