In tema di risarcimento del danno provocato da immissioni rumorose, il codice civile si esprime solo all’art 844 c.c., dal quale si evince che i “rumori tollerabili” non possono essere contestati dal vicino che ne sia infastidito. Nulla si specifica su quando tali rumori possano essere considerati intollerabili.
Ad intervenire nel merito sono i D.P.C.M. del 01/03/1991 e del 14/11/1997 che hanno delineato la disciplina, orientando il magistrato nella decisione da prendere in caso di controversie in materia.
Ebbene, ai fini della risarcibilità del danno da inquinamento acustico è fondamentale la misurazione del limite differenziale, pari alla differenza tra rumore ambientale e rumore di fondo.
Ne consegue che in caso di mancata misurazione del rumore di fondo, nella fascia oraria a cui si riferiscono le contestazioni, non può legittimamente dimostrarsi l’intollerabilità delle immissioni sonore.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione civile con la sentenza n. 1025 del 17 gennaio 2018.
Il fatto
Due condomini agivano davanti al Tribunale contro una società esercente un’attività commerciale nelle immediate vicinanze del condominio di residenza.
Gli attori chiedevano che la convenuta fosse condannata alla riduzione delle immissioni acustiche prodotte dall’uso di alcuni macchinari durante l’orario notturno, oltre che al risarcimento dei danni.
Le doglianze degli attori venivano accolte dal giudice di primo grado, sulla scorta delle risultanze prodotte dal consulente tecnico d’ufficio il quale aveva accertato il superamento dei limiti di cui al D.P.C.M. del 01/03/1991 e del 14 novembre 1997, posto che, applicando il criterio differenziale tra il rumore ambientale e il rumore residuo, erano risultate incompatibili con i limiti di cui alla predetta normativa.
La società impugnava quindi la decisione del Tribunale davanti alla Corte di Appello contestando l’impossibilità di misurare il superamento delle soglie consentite dalla legge, in quanto non poteva essere fatta una contemporanea misurazione del rumore ambientale e del rumore di fondo. La Corte d’Appello riformava dunque la sentenza di primo grado, condannando gli appellati condomini.
Avverso tale provvedimento, i condomini agivano dunque davanti alla Corte di Cassazione.
La normativa di riferimento
Il D.P.C.M. del 14 novembre 1997 sulla scorta del D.P.C.M. del 01/03/1991, delinea la normativa riguardante il rumore ambientale e all’art. 2 specifica i limiti tollerabili del suono:
“Per le zone non esclusivamente industriali, oltre ai limiti massimi in assoluto per il rumore, sono stabilite anche le seguenti differenze da non superare tra il livello equivalente del rumore ambientale e quello del rumore residuo (criterio differenziale): 5 dB durante il periodo diurno; 3 dB durante il periodo notturno. La misura deve essere effettuata all’interno degli ambienti abitativi e nel tempo di osservazione del fenomeno acustico”.
Il rumore ambientale è quello prodotto da tutte le sorgenti di rumore esistenti in un dato luogo e durante un determinato tempo. Esso è costituito dall’insieme del rumore residuo e da quello prodotto dalle specifiche sorgenti disturbanti.
Pertanto nella valutazione del rumore ambientale si deve tenere conto della differenza tra rumore residuo, cioè il rumore rilevato quando si esclude la sorgente disturbante, e rumore prodotto dalla specifica sorgente disturbante, delineando così il valore differenziale che esprime il contributo che una specifica fonte dà al livello di inquinamento generale.
Il criterio differenziale, si basa sulla differenza tra il livello di rumore ambientale e livello di rumore residuo e trova il proprio ubi consistam normativo nel D.P.C.M. 14 novembre 1997.
L’altro criterio applicabile è il cd. criterio comparativo, di origine giurisprudenziale, che considera intollerabili le immissioni che superino il rumore di fondo di oltre 3 db. Secondo tale orientamento «posto che per valutare il limite di tollerabilità delle immissioni sonore occorre tener conto della rumorosità di fondo della zona in relazione alla reattività dell’uomo medio, rettamente il giudice di merito ritiene eccedenti il limite normale le immissioni che superano di 3 decibel la rumorosità di fondo (1)».
Nel caso in esame, trova applicazione la disciplina normativa di cui sopra ed il criterio differenziale.
La decisione della Corte
La Corte di Cassazione, uniformemente alla Corte d’Appello, confermava l’impossibilità di misurare contemporaneamente rumore ambientale e rumore di fondo, rilevando che, in assenza di una misurazione di quest’ultimo, la prova dell’evento dannoso non poteva dirsi raggiunta.
Nel caso di specie, il periodo di disturbo lamentato dagli attori era concentrato tra le cinque e le sette del mattino. La suddetta fascia oraria, secondo la comune esperienza, è caratterizzata dalla ripresa della maggior parte delle attività umane dopo la pausa notturna. Eppure il CTU non ha misurato il rumore di fondo nel periodo esaminato, falsando quindi la misurazione relativa ai “limiti differenziali”.
Si ricorda che il giudice, peritus peritorum, può dissentire motivatamente alle conclusioni del CTU: nella specie è stato infatti evidenziato come non sia possibile prendere a base della misurazione relativa all’eventuale superamento dei limiti differenziali un valore del rumore misurato 32 minuti prima dell’inizio e 92 minuti prima della fine del periodo considerato.
Secondo la Suprema Corte, la misurazione del rumore di fondo nel caso in esame non è avvenuta nel periodo di tempo a cui si riferivano le contestazioni. Tale circostanza è di particolare rilievo, giacché la fascia oraria in questione è caratterizzata dall’inizio di tutte le attività giornaliere: ne consegue che il rumore sia superiore rispetto alla fascia notturna.
Se dunque il rumore di fondo è più alto, muta anche il valore del limite differenziale. Infatti, nel periodo che va dalle 4.50 del mattino alle 5.00, il livello equivalente (Leq), ossia il parametro indicatore della immissione di rumore nelle abitazioni e nell’ambiente esterno, aumenta di ben 7.60 punti. Pertanto è plausibile ritenere che nelle ore successive esso possa alzarsi ulteriormente, rendendo diversi anche i livelli differenziali e assoluti rilevati.
In conclusione, la Corte di Cassazione ha dunque rigettato il ricorso sostenendo che in assenza di una misurazione del rumore di fondo effettuata nella fascia oraria nella quale si lamentava la violazione dei limiti differenziali, sulla scorta dell’imprecisa CTU, la prova dell’evento dannoso non poteva dirsi raggiunta e che non fossero perciò stati violati i limiti legali assoluti né quelli differenziali.
(1) Cass. 6 gennaio 1978, n. 38, Cass. S.U. 27 febbraio 2013 n. 4848