Danno da perdita del rapporto parentale, piena risarcibilità per il decesso del neonato

La Terza Sezione Civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 26826 del 6 ottobre 2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), interviene in materia di responsabilità sanitaria per decesso perinatale, risolvendo un apparente contrasto giurisprudenziale sulla qualificazione e liquidazione del danno non patrimoniale subito dai congiunti. La Corte accoglie il ricorso incidentale dei danneggiati, cassando la sentenza d’Appello che aveva liquidato il danno da perdita del frutto del concepimento come lesione di un “rapporto affettivo potenziale” e conseguentemente dimezzato il risarcimento. Il Collegio riafferma che la perdita di un neonato o del frutto del concepimento, imputabile a negligenza medica, costituisce un vero e proprio danno da perdita del rapporto parentale, rilevante nella sua duplice dimensione di sofferenza interiore e impatto dinamico-relazionale, superando l’espressione restrittiva di “danno potenziale” e confermando l’applicazione delle Tabelle di Milano come parametro risarcitorio.

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Manuale pratico operativo della responsabilità medica

Manuale pratico operativo della responsabilità medica

La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia.

L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario.

Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.

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Il caso: un dramma sanitario

Il provvedimento in esame trae origine da una tragica vicenda di malasanità avvenuta nel luglio del 2008. Una donna, alla quarantunesima settimana di gravidanza, giunse al pronto soccorso dell’Azienda Ospedaliera, dove sin dalle prime ore furono riscontrati segnali cardiotocografici di allarme e sintomi di sofferenza fetale acuta.

Malgrado le ripetute richieste d’intervento a opera dei familiari, e il successivo ricovero della puerpera con diagnosi conclamata di sofferenza fetale acuta avvenuto alle 00:45, nessun intervento venne eseguito per la notte intero. Solamente alle 9:45 del mattino successivo venne disposta un’ecografia e, alle 10:11, un parto cesareo.

La neonata, pur essendo stata regolarmente registrata presso l’ufficio dello stato civile del comune e descritta come compiutamente formata (“alta 50 cm, dal peso di 3,2 kg”), morì dopo appena trenta minuti dalla nascita, a causa di una grave asfissia perinatale.

Il contrasto nei gradi di merito

A seguito dell’instaurato procedimento civile, il Tribunale aveva accolto l’istanza risarcitoria di genitori e nonni, definendo la fattispecie come perdita non del feto, bensì della piccola neonata. Coerentemente, aveva liquidato il danno da perdita del rapporto parentale nella misura minima prevista dalle Tabelle di Milano all’epoca vigenti (€ 165.000,00 per ognuno) riconoscendo una riduzione solo in ragione della brevissima durata del rapporto e della giovane età dei genitori, che aveva consentito loro di generare altri due figli.

La Corte territoriale aveva parzialmente accolto il gravame interposto dall’Azienda Ospedaliera, dimidiando il risarcimento. Il giudice di secondo grado aveva motivato la sua decisione sull’assunto che la bambina fosse stata estratta dal grembo materno “già priva di vita, con punteggio AGPAR pari a zero sia al primo che al quinto minuto”.

Ritenendo applicabile l’insegnamento esplicitato dalla Cassazione nella pronuncia n. 22859/2020, la Corte d’appello aveva qualificato la lesione come pregiudizio di una “relazione affettiva non già concreta, bensì potenziale”. Da tale premessa, aveva ritenuto equa e congrua la liquidazione del danno nella misura della metà dei minimi tabellari previsti dalle Tabelle di Milano.

Avverso tale pronuncia, i congiunti hanno proposto ricorso per Cassazione, incentrato sulla contestazione della tesi della “perdita del rapporto parentale potenziale” e sulla nullità della motivazione che aveva giustificato il dimezzamento del quantum debeatur.

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Interpretazione del “danno potenziale”

Il cuore della censura dei ricorrenti, che trova pieno accoglimento nella Suprema Corte, ruota attorno alla qualificazione giuridica della relazione parentale con il concepito o il neonato deceduto per mala gestio sanitaria. La Corte territoriale, nel solco di un’interpretazione restrittiva dei precedenti giurisprudenziali (Cass. n. 22859/2020 e Cass. n. 12717/2015), aveva equiparato la vicenda alla perdita di una relazione soltanto potenziale, giustificando il demansionamento risarcitorio.

La Cassazione, con l’ordinanza in commento, interviene con una netta opera di chiarimento e ricomposizione del panorama giurisprudenziale, accogliendo i tre motivi di ricorso. Il Collegio non nega la sussistenza di un contrasto tra le decisioni precedenti e quella di cui i ricorrenti invocavano l’applicazione (Cass. n. 26301/2021), bensì ne chiarisce il significato.

L’espressione “danno potenziale” risulta ammissibile soltanto se riferita all’omessa evoluzione del rapporto genitore-figlio nel tempo, impedita dalla condotta colpevole dei sanitari. Essa, al contrario, non può in alcun modo essere intesa come negazione della doppia dimensione del danno che si verifica immediatamente.

Tale doppia dimensione, che contraddistingue il danno da perdita del rapporto parentale, si sostanzia nella sofferenza interiore (o danno morale soggettivo) e nell’impatto dinamico-relazionale (sui percorsi della vita quotidiana). In particolare, la Corte evidenzia come la madre sperimenti per nove mesi un rapporto sempre più intenso col frutto del concepimento, in una dimensione di progressiva immedesimazione. La quotidianità dei genitori che perdono il figlio (pure solo concepito) è profondamente alterata, in misura non paragonabile a chi non ha vissuto tale esperienza.

Fondamenti costituzionali e piena risarcibilità

Riaffermando i principi della richiamata sentenza n. 26301/2021, il Collegio stabilisce che la morte del feto o del neonato dovuta a colpa medica integra un vero e proprio danno da perdita del rapporto parentale tout court. Si pone l’accento sul fondamento costituzionale della tutela del concepito e della famiglia, richiamando l’art. 2 Cost. (diritti inviolabili dell’uomo), l’art. 31 Cost. (tutela della maternità), e l’art. 8 della CEDU (diritto alla protezione della vita privata e familiare).

La Corte definisce “riduttivamente ed impropriamente” la locuzione “danno da perdita del frutto del concepimento” se circoscritta alla sola dimensione funzionale, poiché essa omette di considerare la reale relazione parentale che si instaura con il feto, sin dal periodo prenatale. Il rapporto genitoriale, infatti, “viene ad esistere già durante la vita prenatale, per consolidarsi progressivamente nel corso della stessa”. Di conseguenza, tutti gli aspetti, comportamentali e sofferenziali, inflitti dal decesso del neonato o del frutto del concepimento non possono considerarsi “danno potenziale”, risultando detta espressione “riduttiva ed impropria” e non conforme alla realtà, prima ancora che al diritto.

Un passaggio fondamentale dell’ordinanza consiste anche nel rilevare un errore grossolano della Corte territoriale, la quale aveva confuso l’ordinanza n. 26301/2021 (relativa al danno per la morte del feto/neonato) con la n. 26300/2001 (relativa al decesso di un quattordicenne). Tale confusione aveva portato il giudice di merito a escludere l’applicabilità di un precedente che, all’opposto, trattava proprio la fattispecie in esame, viziando la motivazione in ordine all’abbattimento del 50% del valore monetario base fissato dalle Tabelle di Milano.

Liquidazione uniforme e rinvio

A conclusione dell’iter argomentativo, la Cassazione riafferma la doverosa applicazione delle Tabelle di Milano per la liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, in conformità con la giurisprudenza ultradecennale e il principio di uguaglianza risarcitoria.

La necessità di adottare parametri di valutazione uniformi, elaborati dal Tribunale di Milano, è volta a “porre fine a una ormai intollerabile anarchia risarcitoria” che pregiudicava la parità di trattamento dei danneggiati e minava i principi di equità e certezza del diritto. Quindi, i principi riaffermati dalla Cassazione dovranno guidare il giudice di rinvio.

In tema di responsabilità sanitaria, la perdita del frutto del concepimento, imputabile a omissioni o ritardi medici, determina la risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale. Il giudice di merito, nell’applicare le Tabelle, dovrà tenere conto di tutte le circostanze fattuali portate a suo esame e applicare i parametri alla luce della morfologia del danno da perdita del frutto del concepimento, che rileva nella sua duplice dimensione di sofferenza interiore e riflesso dinamico-relazionale, senza potersi ridurre a una mera lesione di un rapporto potenziale.

L’ordinanza ha accolto il ricorso incidentale proposto dai danneggiati, rigettando il ricorso principale delle compagnie assicurative e cassando la sentenza impugnata, quindi rinviando la causa alla Corte d’Appello in differente composizione per una nuova valutazione. La decisione segna un punto fermo di cruciale importanza, stabilendo che la relazione affettiva e la sofferenza per la perdita di un figlio, pure se avvenuta immediatamente prima o dopo il parto, non possono essere considerate di minor valore risarcitorio rispetto alla perdita di un congiunto con un rapporto di durata maggiore, rafforzando la tutela risarcitoria del nucleo familiare in un momento di estremo dolore.

Danno da perdita del rapporto parentale e risarcibilità per il decesso del neonato: in sintesi

Qual è la differenza tra “danno potenziale” e “danno da perdita del rapporto parentale”?

La Cassazione ha chiarito che il cosiddetto “danno potenziale” non descrive un diverso tipo di pregiudizio, ma un modo improprio di indicare la cessazione anticipata del rapporto genitore-figlio. La perdita del concepito o del neonato a causa di negligenza medica configura sempre un vero e proprio danno da perdita del rapporto parentale, risarcibile nella sua duplice dimensione morale e relazionale.

Il concepito ha diritto a tutela risarcitoria anche prima della nascita?

Sì. La Suprema Corte ha riconosciuto che il rapporto genitoriale nasce già durante la gestazione, fondandosi su una dimensione affettiva e identitaria tutelata dagli artt. 2 e 31 della Costituzione e dall’art. 8 della CEDU. Pertanto, il decesso del feto o del neonato imputabile a colpa medica integra una violazione del diritto alla vita familiare, pienamente risarcibile.

Come si calcola il risarcimento per la perdita del neonato o del concepito?

Il risarcimento deve essere determinato in base alle Tabelle del Tribunale di Milano, che costituiscono il parametro di riferimento per l’equità e l’uniformità del trattamento risarcitorio. Il giudice deve considerare tutti gli elementi concreti del caso, tra cui l’intensità del legame familiare, le circostanze del parto e l’età dei genitori, senza ridurre l’importo per la brevità del rapporto o per la definizione di “danno potenziale”.

Cosa cambia con l’ordinanza n. 26826/2025 della Cassazione?

L’ordinanza stabilisce che la perdita del frutto del concepimento o del neonato, se causata da mala gestio sanitaria, non può essere svalutata o dimezzata sul piano risarcitorio. Si tratta di un danno parentale pieno e attuale, che deve essere liquidato in misura analoga a quello per la perdita di un figlio nato e vissuto più a lungo. La decisione rafforza la tutela dei genitori e dei familiari nei casi di negligenza medica durante il parto.

Quali sono i principi affermati dalla Cassazione in materia di danno da perdita del concepito?

Tra i punti chiave ribaditi dalla Corte vi sono:

  • il riconoscimento del rapporto parentale come esistente sin dalla vita prenatale;

  • la piena risarcibilità del danno morale e dinamico-relazionale dei congiunti;

  • l’obbligo per i giudici di applicare criteri uniformi e non riduttivi, evitando valutazioni equitative arbitrarie;

  • la riaffermazione del principio di uguaglianza risarcitoria tra tutte le vittime di eventi sanitari colposi.

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