Sommario: Introduzione – 1. Soggetti potenziali convenuti per il risarcimento del danno -2. Indennizzo e risarcimento – 3. La responsabilità del Ministero della salute – 4. Il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria
L’espressione danno da sangue infetto designa qualsivoglia pregiudizio derivante da contagio di patologie mediante trasfusione di sangue o somministrazione di emoderivati.
L’azione di risarcimento dei danni da emotrasfusioni o emoderivati trae origine, nella maggioranza dei casi, da un fatto dannoso che colpisce il soggetto che, per una sua patologia congenita, è costretto con periodicità, in tutto l’arco della sua vita, a sottoporsi ad emotrasfusioni e ad assumere emoderivati, presso una o più strutture sanitarie. In un minor numero di casi il contagio avviene, invece, in conseguenza di un singolo fatto traumatico, per esempio, l’operazione chirurgica, il parto o l’infortunio che rendono necessaria una trasfusione.
Nella prima serie di casi è particolarmente complesso individuare con precisione quale sia stata la singola trasfusione o la somministrazione di prodotti che abbia causato la contrazione del virus e in certi casi anche presso quale struttura sia avvenuto il contagio. Di conseguenza, i soggetti danneggiati, nella maggior parte dei casi, preferiscono indirizzare l’azione verso il Ministero della salute, facendo valere la sua responsabilità per i danni causati dalla violazione dei doveri di sorveglianza e di controllo che su di esso gravano quale principale responsabile della raccolta e distribuzione del sangue, nonché della prevenzione dei rischi. In taluni casi, alla ipotizzata responsabilità del Ministero si affianca quella, di natura contrattuale, del medico o dell’ospedale.
Nella seconda serie di casi, invece, in cui le patologie sono contratte da un soggetto a seguito di un singolo fatto potenzialmente dannoso, l’unicità dell’assunzione del prodotto a rischio spinge spesso il danneggiato ad indirizzare l’azione direttamente nei confronti del soggetto o della struttura che ritiene responsabile del suo contagio.
E’ evidente che dall’impostazione della causa come volta a far valere la responsabilità contrattuale o extracontrattuale del convenuto discendono rilevanti differenze in ordine a molteplici profili, quali il termine, decennale o quinquennale, di prescrizione dell’azione, la decorrenza del suddetto termine di prescrizione, il contenuto dell’onere probatorio in relazione al nesso causale e alla responsabilità colposa o dolosa del convenuto, l’ampiezza dell’area del danno risarcibile.
1. Soggetti potenziali convenuti per il risarcimento del danno
La prova della responsabilità per tali tipologie di danni non è certo agevole, stante la difficoltà di individuare i singoli soggetti coinvolti nella realizzazione del pregiudizio e la difficoltà di identificare con certezza il momento preciso in cui si è verificato il contagio, oltre che la sua causa. Il riferimento è soprattutto a quelle patologie che presentano un periodo di incubazione molto lungo; in questi casi si suole parlare di danni lungo-latenti potendo i medesimi manifestarsi a distanza anche di anni molti dal contagio. Ciò comporta, come intuibile, rilevanti conseguenze in ordine alla prescrizione del diritto al risarcimento del danno, questione sulla quale la giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi più spesso.
In premessa va chiarito che diversi soggetti potrebbero essere in astratto convenuti per il risarcimento del danno da emoderivati: a partire dal Ministero della salute, su cui gravano obblighi di sorveglianza e controllo, fino ad arrivare alla struttura ospedaliera coinvolta e al medico o ai medici che abbiano effettuato concretamente le operazioni.
Per ciascun soggetto la giurisprudenza ha individuato uno specifico inquadramento di responsabilità legato al ruolo che il medesimo ha svolto nella prevenzione e nell’esclusione del danno da emotrasfusione.
Per quanto attiene al Ministero della salute, gli interpreti inquadrano nell’ambito della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. la responsabilità per omesso controllo e vigilanza sulle procedure fissate per l’emotrasfusione[2].
Diversamente, per le case farmaceutiche distributrici di farmaci pericolosi la responsabilità trova il suo inquadramento nell’art. 2050 c.c.[3]
Nel caso delle strutture sanitarie viene invece in rilievo una “responsabilità contrattuale da contatto sociale”[4].
Pertanto, la responsabilità potrà considerarsi contrattuale nei confronti del medico e della struttura sanitaria con cui il paziente viene in contatto, ma dovrà ritenersi extracontrattuale nei riguardi del Ministero della salute, con tutte le conseguenze in punto di onere della prova e durata dei termini di prescrizione per far valere la relativa azione risarcitoria.
2. Indennizzo e risarcimento
Quando si parla di danno da emotrasfusione è necessario distinguere tra l’indennizzo dovuto in base alla l. 210/1992 (del quale abbiamo già discusso in seguito ad una recente e importante pronuncia della Cassazione) e il risarcimento del danno ex art. 2043 cc.
L’indennizzo di cui alla l. n. 210/1992, dovuto dallo Stato, è riconosciuto a coloro i quali presentino danni irreversibili da epatiti post- trasfusionali o da epatite contratta a seguito di somministrazioni di derivati del sangue e consiste in un assegno composto da una somma determinata nella misura stabilita dalla tabella B allegata alla legge 177/76, cumulabile con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito e da una somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale di cui alla l. 324/59. Esso si compone quindi di due quote: una prima quota che rappresenta il vero e proprio indennizzo, ed una seconda quota che integra la prima, detta appunto indennità integrativa speciale.
Cosa diversa è l’aspetto risarcitorio che trova invece il proprio presupposto nell’accertamento di una responsabilità colposa o dolosa della amministrazione di tipo giudiziario.
3. La responsabilità del Ministero della salute
La responsabilità del Ministero della salute per i danni conseguenti ad infezioni da Hiv e da epatite contratte da soggetti emotrasfusi per l’omessa vigilanza esercitata dall’Amministrazione sulla sostanza ematica negli interventi trasfusionali e sugli emoderivati è stata inquadrata nella violazione della clausola generale di cui all’art. 2043 c.c.[5]
Al mantenimento di tale condotta di vigilanza, sicurezza ed attivo controllo, l’Amministrazione è, d’altro canto, tenuta già in base all’obbligo di buona fede o correttezza, generale principio di solidarietà sociale – che trova applicazione anche in tema di responsabilità extracontrattuale – in base al quale, nei rapporti della vita di relazione, ciascuno è tenuto a mantenere un comportamento leale che si specifica in obblighi di informazione e di avviso, nonché volto alla salvaguardia dell’utilità altrui, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi.
Appare rilevante l’individuazione della responsabilità del Ministero, in quanto il giudizio relativo alla sussistenza del nesso causale non può limitarsi alla mera valutazione della materialità fattuale, bensì postula la preventiva individuazione dell’obbligo specifico o generico di tenere la condotta omessa.
Dato che il giudice è tenuto ad accertare se l’evento sia ricollegabile all’omissione (causalità omissiva), ovvero se esso non si sarebbe verificato qualora (causalità ipotetica) l’agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli, con esclusione di fattori alternativi, allora l’accertamento del rapporto di causalità ipotetica passa attraverso l’enunciato controfattuale che pone al posto dell’omissione il comportamento alternativo doveroso, onde verificare se esso avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato. In termini probatori, ciò comporta che il paziente il quale si pretenda danneggiato dall’inadempimento della prestazione di cura ha l’onere di provare il fatto costitutivo del rapporto obbligatorio (legge o contratto) e di allegare un inadempimento efficiente alla produzione del danno.
Si deve, peraltro, notare come la prova del nesso causale tra la specifica trasfusione ed il contagio da virus Hiv, ove risulti provata l’idoneità di tale condotta a provocarla, può essere fornita anche con il ricorso alle presunzioni (art. 2729 c.c.).
In ordine alla responsabilità del Ministero, in giurisprudenza si afferma, inoltre, che, in tema di patologie conseguenti ad infezioni con i virus HBV (epatite B), HIV (AIDS) e HCV (epatite C), contratte a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, per l’unicità dell’evento lesivo consistente nella lesione dell’integrità fisica, vi è una presunzione di responsabilità del Ministero della salute per il contagio verificatosi negli anni tra il 1979 e il 1989, stante l’avvenuta scoperta scientifica della prevedibilità delle relative infezioni, individuabile nel 1978, con il conseguente obbligo di controllo e di vigilanza in materia di raccolta e distribuzione di sangue umano per uso terapeutico, presunzione che può essere vinta solo se viene fornita dallo stesso Ministero la prova dell’adozione di condotte e misure necessarie per evitare il contagio, a prescindere dalla conoscenza di strumenti di prevenzione specifica[6].
In altri termini, il Ministero della salute è tenuto ad esercitare un’attività di controllo e di vigilanza sulla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e sull’uso degli emoderivati, per cui risponde, ai sensi dell’art. 2043 c.c., dei danni conseguenti ad epatite ed a infezione da HIV, contratte da soggetti emotrasfusi, per omessa vigilanza sulla sostanza ematica e sugli emoderivati[7].
4. Il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria
Importante è la questione relativa al termine di prescrizione dell’azione risarcitoria e al dies a quo da cui tale azione decorre.
Sul punto occorre, innanzitutto, precisare che nell’individuazione del dies a quo non si attribuisce rilievo alla mera conoscibilità soggettiva del danneggiato. Difatti il principio della efficienza causale deve essere saldamente ancorato a due parametri obiettivi, come richiesto dalla giurisprudenza[8], è cioè: al parametro dell’ordinaria diligenza (parametro interno al soggetto danneggiato) e al livello di conoscenze scientifiche che in merito a tale patologia era ragionevole richiedere in una data epoca ai soggetti a cui si è rivolta (o avrebbe dovuto rivolgersi) la persona lesa (parametro esterno al soggetto danneggiato).
Sulla base di ciò, la prescrizione dell’azione risarcitoria decorre dal momento in cui l’emotrasfuso comprende e ricollega, secondo l’ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche dell’epoca, che la sua patologia è stata contratta a seguito di trasfusione.
Se non si conosce la causa del contagio, infatti, la prescrizione non inizia a decorrere, poiché la malattia, sofferta come tragica fatalità non imputabile ad un terzo, non è idonea a concretizzare il “fatto” che l’art. 2947, c.1, c.c. individua quale esordio della prescrizione.
Sul punto, le Sezioni Unite hanno chiarito che non può ritenersi che la prescrizione inizi a decorrere solo con la comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui all’art. 4 della legge n. 210/1992; ciò in quanto, dal momento che l’indennizzo, di cui alla citata legge, è dovuto in presenza di danni irreversibili da vaccinazioni, emotrasfusioni o somministrazioni di emoderivati, è ragionevole ritenere che già al momento della proposizione della domanda amministrativa la vittima del contagio abbia acquisito sufficiente percezione della malattia, delle cause e delle conseguenze dannose.
Trattandosi, dunque, di fatto dannoso “lungo-latente”, per il quale può intercorrere un lasso di tempo rilevante tra l’intervento sanitario e il momento in cui la malattia viene (o può) essere percepita, il danneggiato potrà agire a notevole distanza di tempo dall’effettuazione delle emotrasfusioni infette.
[2] Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 577; Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2011, n. 15453; Cass. civ., Sez. III, 23 gennaio 2014 n. 1355: “La responsabilità del Ministero della salute per i danni conseguenti a infezioni da virus HBV, HIV, HCV contratte da soggetti emotrasfusi è di natura extracontrattuale, né sono ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione (epidemia colposa o lesioni colpose plurime); ne consegue che il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, 1 co. c.c. […] dal giorno in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche“.
[3] Cass., 1 febbraio 1995, n. 1138: “Il produttore, come l’importatore del farmaco, e prima ancora il produttore delle ditte gammaglobuline, per liberarsi della presunzione di responsabilità contemplata dall’art. 2050 c.c. devono fornire la prova, particolarmente rigorosa, dell’adozione di tutte le misure idonee ad evitare il danno con la verifica dell’innocuità del prodotto mercé quei metodi, anche sperimentali, di analisi e controllo che la scienza medica fornisce, indipendentemente dal loro costo o perfezionabilità, non bastando la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorrendo quella positiva, di aver impiegato ogni cura e misura atta ad impedire l’evento dannoso“.
[4] Con recente sentenza la Corte di Cassazione (Cass., Sez. III, 19 febbraio 2016 n. 3261) ha affrontato la questione del riparto di responsabilità tra Ministero della Salute e struttura medica in tema di sangue infetto: sul Ministero grava un obbligo di controllo, direttiva e vigilanza, mentre la struttura ospedaliera risponde soltanto rispetto alle attività di tracciabilità interna del sangue.
[5] Così Cass., Sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1355; in senso conforme anche Tribunale Roma, Sez. II civ., 11 ottobre 2017, n. 19130: “A fronte di un danno alla salute conseguente ad emotrasfusione di sangue infetto per omessa rilevazione sierologica della presenza del virus, la responsabilità del Ministero della Salute deriva dal generale precetto dell’art. 2043 c.c., per danno derivante da comportamento, non provvedimentale, della Pubblica Amministrazione ovvero per violazione di regole di comune prudenza ovvero di leggi o regolamenti a cui l’Amministrazione è vincolata. Il citato Ministero ha, infatti, diverse competenze, nonché poteri di vigilanza sulla preparazione e sull’impiego di emoderivati e di controllo sulla sicurezza dei protocolli attuati. Le omissioni nell’esercizio del potere attribuitogli allo scopo di tutelare la salute pubblica sono a fondamento, pertanto, della responsabilità extracontrattuale del Ministero per violazione di interessi giuridicamente rilevanti“. (Nella fattispecie si ravvisava tale responsabilità, atteso il nesso di causalità tra le omissioni del Ministero convenuto e la trasmissione del virus HCV, con conseguente contagio dell’attore, non avendo il Ministero applicato alcun protocollo idoneo a garantire che dall’attività di emotrasfusione non derivasse la contrazione di malattie veicolate dal sangue).
[6] Cass. Civ., III, 14.3.2014, n. 5954.
[7] Cass. Civ., III, 12.12.2014, n. 26152.
[8] Cass. civ., sez. III, 3 luglio 2015, n. 13660.