Danni da fauna selvatica nella circolazione stradale

in Giuricivle, 2020, 9 (ISSN 2532-201X), nota a Cass., Sez. III civ., sent. n. 13848 del 06/07/2020

Il caso di specie involge il tema dell’imputabilità e, conseguentemente, della risarcibilità dei danni derivanti dall’impatto tra animali selvatici protetti ed un’autovettura nel corso della circolazione stradale.

Il Giudice di Pace, dapprima, e poi il Tribunale confermano la responsabilità della Regione con conseguente condanna, a carico di quest’ultima, di risarcire il danno alla vettura subito dal soggetto coinvolto nel sinistro.

Avverso quest’ultima statuizione la Regione presenta ricorso per Cassazione sulla base di un unico motivo.

In particolare, la ricorrente eccepisce il difetto di titolarità passiva dell’obbligo di risarcimento ritenendo che la responsabilità per danni cagionati dalla fauna selvatica vada ascritta alla Provincia territorialmente competente, all’ente proprietario della strada e/o al Parco Nazionale

Ancor più, nell’unica doglianza posta a fondamento del ricorso, la Regione deduce violazione e falsa applicazione delle previsioni di cui agli artt. 1 e 9 della Legge n. 157/1992 nonché del disposto normativo di cui all’art. 2043 c.c..

In via preliminare, la Regione evidenzia come la propria responsabilità sia stata riconosciuta per la mancata attivazione di barriere protettive o di ulteriori strumenti atti a scongiurare pregiudizi della stessa tipologia di quello verificatosi nell’area coinvolta dal sinistro.

Nello specifico, la ricorrente sottolinea come, nella sentenza oggetto di impugnazione, la responsabilità regionale sia stata affermata sull’assunto che, in tema di controllo della fauna selvatica, i compiti sono considerati espressamente quali “funzioni amministrative regionali ad essa delegate”.

Entrando maggiormente nel dettaglio, la Regione (ricorrente) rileva come non vi sia stato alcun riconoscimento di autonomia decisionale in capo all’ente provinciale ritenendosi, invece, valida la tesi secondo cui la normativa[1], nell’individuare l’impiego di risorse finanziarie che la Regione pone a disposizione delle Province, non prende in considerazione le funzioni di controllo della fauna selvatica. In ragione di tale argomentazione, il Tribunale ha ritenuto di dover escludere la responsabilità in capo alla Provincia, non avendo, quest’ultima, ottenuto dall’ente delegante poteri, funzioni, strumenti e mezzi idonei al fine di fronteggiare adeguatamente tali situazioni.

Avverso le suesposte considerazioni addotte (dalla Regione) nel ricorso, il soggetto proprietario della vettura propone controricorso.

Al riguardo, la parte resistente (conducente veicolo) sostiene l’infondatezza del ricorso per Cassazione ponendo a sostegno del proprio ragionamento la norma di cui all’art. 4-bis della Legge regionale n. 10/2003[2]. Ancor più, sottolinea come il sinistro in oggetto abbia avuto luogo su di una strada regionale, con conseguente applicazione delle norme di cui agli artt. 2051 e 2043 c.c. per cattiva o omessa custodia del tratto stradale e, in particolare, per la mancata segnalazione della presenza, sul territorio, di animali selvatici.

Di qui, a detta del resistente, la responsabilità della Regione potrebbe venir meno solo in ipotesi di caso fortuito, situazione che può dirsi realizzata allorquando ricorrano i presupposti dell’imprevedibilità e della non evitabilità; ovvero, nell’ipotesi in cui l’insidia, nonostante l’attività di controllo e l’impiego di diligenza, non possa essere evitata, rimossa o segnalata per difetto di tempo necessario ad intervenire.

Seguono memorie depositate da entrambe le parti, con richiesta di accoglimento delle rispettive argomentazioni.

Disamina del quadro normativo di riferimento

Partendo dall’assetto di carattere normativo, non vi è dubbio alcuno che il tema della risarcibilità dei danni causati dalla fauna selvatica è divenuto di interesse per la giurisprudenza solo in conseguenza degli interventi legislativi sul punto.

Difatti, è grazie a questi ultimi che l’impostazione restrittiva di stampo tradizionale[3] è stata ampiamente superata.

Al riguardo, un primo e risolutivo tassello è stato posto dalla Legge n. 968/1977, recante i principi generali e disposizioni tese alla protezione e salvaguardia della fauna e alla disciplina della caccia.

In particolare, a rilevare sono due previsioni in essa contenute:

  • l’articolo 1 a mente della quale: “la fauna selvatica è stata dichiarata patrimonio indisponibile dello Stato e tutelata nell’interesse della comunità nazionale”;
  • l’articolo 5, il quale assegna le relative funzioni amministrative alle Regioni[4], pur riconoscendo, in via residuale, la possibilità di delega alle Province.

Con riferimento a questo secondo dato e, nello specifico, alla competenza provinciale, merita di essere menzionata, in chiave integrativa, la Legge n. 142 dell’8 giugno 1990, altrimenti nota quale “Ordinamento delle autonomie locali”.

Difatti, la suddetta normativa ha inteso attribuire alla provincia attribuzioni e/o funzioni amministrative che interessano vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale nel settore rappresentato da caccia e pesca nelle acque interne (rectius: articolo 14, primo comma, letto. f)).

Disposto, quest’ultimo, attualmente trasfuso nell’art. 19, primo comma, letto. f) del Testo Unico degli Enti Locali

Infine, a completamento del suesposto quadro, si pone la legge n. 157 del 1992, propriamente intitolata “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”.

In proposito, rilevano le seguenti disposizioni normative:

  • Art. 1 per il quale le Regioni a statuto ordinario sono tenute ad “emanare norme circa la gestione e la tutela di tutte le specie della fauna selvatica”;
  • Art. 9 il quale attribuisce alle Regioni “funzioni amministrative di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione faunisticovenatoria” nonché “compiti di orientamento, controllo e sostitutivi previsti dalla legge e dagli statuti regionali” oltre il compito di attuare la “pianificazione faunisticovenatoria mediante il coordinamento dei piani provinciali”;
  • Art. 10 prevede che le Regioni siano titolari di “poteri sostitutivi nel caso di mancato adempimento da parte delle Province delle loro funzioni”;
  • Art. 19 statuisce, altresì, che le Regioni provvedono al “controllo della specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate dalla caccia”;
  • Art. 26, in conclusione, prevede sono tenute ad “istituire e disciplinare un fondo destinato al risarcimento dei danni causati dalla fauna selvatica e dell’attività venatoria”; ciò al fine di poter fronteggiare quei pregiudizi non altrimenti risarcibili arrecati alla produzione agricola e alle opere affrontate sui terreni coltivati e a pascolo dalla fauna selvatica, in specie da quella protetta.

(Segue) Orientamenti giurisprudenziali

Duplice è l’interrogativo che ha richiesto l’intervento risolutivo del Supremo Consesso in tema di responsabilità per i danni cagionati dalla fauna selvatica.

L’individuazione del parametro normativo nonché del soggetto responsabile dell’evento dannoso.

Partendo dal primo interrogativo, la giurisprudenza di legittimità tradizionalmente ha inteso ancorare la risarcibilità del danno cagionato dalla fauna selvatica ai principi generali positivizzati dall’art. 2043 c.c., anche in materia di onere probatorio[5], con conseguente esclusione della presunzione sancita dal disposto normativi ex art. 2052 c.c..

Considerazioni, tra l’altro, aderenti alla posizione adottata dalla giurisprudenza costituzionale[6], avendo quest’ultima ritenuto non ipotizzabile un discrimen, in termini di trattamento, tra il privato, proprietario di un animale domestico, e l’amministrazione pubblica, nell’ipotesi in cui nel suo patrimonio sia ricompresa anche la fauna selvatica.

Ma nel tempo la suesposta tesi è stata oggetto di revisione.

Al riguardo, nella sentenza “de qua”, i giudici di legittimità hanno inteso evidenziare i profili che hanno condotto verso una rivisitazione del pregresso orientamento. Nello specifico, evidenziando i punti di debolezza riguardanti l’applicazione di un importante baluardo: l’effettività della tutela giurisdizionale[7] nei giudizi civili di danno.

In particolare, il Supremo Consesso ha sottolineato l’intimo collegamento che intercorre tra le argomentazioni di carattere giurisprudenziale e la natura “effettiva” del principio della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive.

Di qui, è giunto ad una revisione del criterio di imputazione della responsabilità per danni derivanti alla circolazione stradale dalla fauna selvatica, sottolineando come le criticità siano frutto di una iniziale scelta di chiusura circa l’applicazione del disposto normativo di cui all’art. 2052 c.c..

Una opzione, quest’ultima, che trovava la propria ratio in una duplice circostanza. Ovvero che: la norma riguardasse solo gli animali domestici (con esclusione di quelli selvatici) nonché recasse un criterio di imputazione fondato sulla inosservanza del dovere di “custodia” da parte del proprietario dell’animale.

La suddetta argomentazione, però, nel corso degli anni non ha avuto più alcun seguito e/o riscontro positivo.

Difatti, attualmente, si ritiene che il dato di cui all’art. 2052 c.c., sia per il tenore letterale della norma che per il suo profilo funzionale, non rechi alcuna limitazione, in termini di portata applicativa.

Il che ha condotto gli orientamenti più recenti a slegarsi dalla ricorrenza di una situazione di custodia dell’animale, sull’assunto che la previsione in oggetto si riferisca non solo agli animali domestici bensì – in chiave ampliativa – agli animali suscettibili di proprietà o di utilizzazione da parte dell’uomo.

Dunque, vi è un chiaro riferimento al concetto di utilitas (beneficio) che assolve ad una precisa finalità: agevolare l’individuazione del soggetto responsabile, attribuendosi al solo caso fortuito la funzione di causa di giustificazione dell’evento/danno.

E proprio in considerazione delle suesposte precisazioni, gli Ermellini evidenziano come, nel caso di specie, la responsabilità vada riconosciuta alle Regioni, con conseguente applicazione dell’art. 2052 c.c.. Ciò in quanto la funzione di salvaguardia dell’ambiente e, in generale, dell’ecosistema trova piena e concreta realizzazione nell’attribuzione di determinate sfere di competenza (normative e amministrative) nonché di funzioni di controllo, coordinamento ed indirizzo in capo alla Regione, ferma restando la titolarità in capo agli altri e diversi enti territoriali di funzioni amministrative più circoscritte.

Diversamente, venendo al secondo profilo, maggiori sono state le problematiche circa l’identificazione del soggetto nei cui confronti ritenere operante la previsione normativamente sancita dall’art. 2043 c.c.

Tuttavia, nella sentenza in commento, la suesposta problematica è stata affrontata dai giudici in chiave costruttiva, ovvero attraverso un confronto tra il tradizionale orientamento con quello venutosi a contrapporre in termini più recenti.

Viene sottolineato, da un lato, come il pregresso e tradizionale filone interpretativo tendeva ad ancorare la responsabilità in capo alla Regione, considerandolo ente titolare della competenza a disciplinare la tutela della fauna e la gestione sociale del territorio[8].

Dall’altro, poi, si evidenzia l’opera di revirement giurisprudenziale che ha condotto verso una nuova e rinnovata analisi della quaestio.

In particolare, stando a quest’ultima linea argomentativa[9], i danni provocati dalla fauna selvatica non sono da imputarsi in via esclusiva alla Regione ma, al contrario, anche all’ente cui siano concretamente affidate funzioni di amministrazione e gestione del territorio e della fauna ivi presente. E ciò al di là della fonte di derivazione di tali funzioni (legge, delega o concessione).

Non mancano, tuttavia, delle puntualizzazioni che gli Ermellini hanno inteso chiarire in ordine a quest’ultimo indirizzo di matrice giurisprudenziale.

Precisazioni che rilevano sotto un triplice ordine di considerazioni.

In primo luogo, si precisa che è consolidata la tesi secondo cui la responsabilità è di natura regionale, sempre che non venga dimostrato che la delega di funzioni attribuisca in capo alle Province un’autonomia decisionale ed operativa tale da consentire lo svolgimento dell’attività in modo da poter gestire in maniera idonea i rischi di danni a soggetti terzi e, conseguentemente, poter mettere in atto le misure atte ad evitarli e/o prevenirli o quanto meno a limitarne la portata.

Per altro, poi, viene ad essere puntualizzata l’esigenza di una indagine tesa a sancire che l’ente delegato sia stato ragionevolmente messo nella condizione di eseguire i poteri attribuitigli.

Infine, i giudici di legittimità sottolineano come, in taluni casi, la responsabilità extracontrattuale per danni cagionati alla circolazione stradale da animali selvatici (art. 2043 c.c.) sia stata imputata alla Provincia cui appartiene il tratto stradale ove l’incidente ha avuto luogo. Ciò in quanto ente cui è attribuito quell’insieme di poteri e funzioni di tutela, protezione nonché amministrazione della fauna selvatica[10].

Soluzione finale

Il Supremo Consesso rigetta l’unico motivo posto dalla Regione a fondamento del proprio ricorso, in quanto orientato sulla esclusiva responsabilità della Provincia.

A tal proposito, rilevano taluni punti che i giudici ben evidenziano nella sentenza in commento.

In via preliminare, intervengono in merito al regime di imputazione della responsabilità, in applicazione dei presupposti normativamente positivizzati dall’art. 2052 c.c..

Sul punto, precisano che grava sul soggetto danneggiato l’allegazione e la prova che il danno sia funzionalmente ed oggettivamente connesso alla presenza dell’anima selvatico sul tratto stradale (venendo in rilievo la prova del c.d. “nesso di causalità” tra fatto ed evento dannoso) nonché l’appartenenza dell’animale ad una categoria specifica oggetto di tutela (rilevando, al riguardo, la Legge n. 152/1992) o la sua appartenenza al patrimonio indisponibile dello Stato.

Di qui, si sostiene che, nella ipotesi di danni scaturenti da sinistri stradali che abbiano coinvolto autovetture e fauna selvatica, la parte lesa dovrà provare non solo la presenza dell’animale lungo la strada e l’impatto con essa ma anche che la condotta dell’animale abbia rappresentato il fattore causante l’evento lesivo e/o dannoso.

Pertanto, ricadrà su di lui un ulteriore onere probatorio: dimostrare di aver fatto tutto il possibile al fine di scongiurare il danno, avendo adottato ogni idonea ed opportuna cautela nella guida[11] (art. 2054 c.c.).

Secondo profilo riguarda la prova liberatoria che ricade sulla Regione. Più precisamente, deve dimostrarsi che l’evento sia conseguenza del caso fortuito, richiedendosi la dimostrazione che la condotta tenuta dall’animale abbia operato come causa autonoma, eccezionale e non evitabile del danno.

E, dunque, come fattore del tutto imprevedibile e, come tale, slegato dalla sfera di controllo anche mediante l’impiego di idonee misure di gestione e tutela della fauna selvatica nonché dell’incolumità dei privati.

Ne discende una definizione di caso fortuito speculare a quella elaborata dalla giurisprudenza con riguardo alla fattispecie di cui all’art. 2051 c.c.; venendo qui in rilievo l’ipotesi di danni cagionati da anomalie di beni demaniali di ampia estensione, ove a rilevare è l’esigibilità da parte dell’ente pubblico di una condotta funzionalmente orientata a prevenire e/o scongiurare un pregiudizio[12].

In conclusione, venendo all’ultimo aspetto, gli Ermellini precisano come la Regione ben possa agire in rivalsa nei riguardi degli altri enti, indicandoli come responsabili.

Ma con una doverosa precisazione. Ovvero che tale azione non determinerà una modifica del criterio di individuazione del titolare (lato passivo) del rapporto dedotto in giudizio.

Di guisa che, con riguardo all’azione di rivalsa tra Regione ed ente (Provincia), possono assumere un ruolo centrale anche le questioni riguardanti il trasferimento o la delega di funzioni nonché l’effettività della delega medesima.


[1] Si veda art. 55, quinto comma, legge regionale 28 gennaio 2004, n. 10.

[2] L’art. 4-bis della legge regionale Abruzzo 23 giugno 2003, n. 1 statuisce che: “la Regione è responsabile per i danni causati da incidenti stradali, non altrimenti risarcibili, provocati dalla fauna selvatica nel territorio regionale durante la regolare circolazione veicolare lungo ogni strada aperta al pubblico transito, prevedendosi anche che l’indennizzo sia pari al 100% del danno, demandando, solo per l’accertamento dello stesso, le rispettive Province”.

[3] L’impostazione tradizionale ricostruiva la fauna selvatica in termini di “res nullius”, con impossibilità di risarcimento per danni e/o pregiudizi provocati dalla stessa.

[4] Sul punto, in combinato disposto con l’art. 5 della Legge n. 968 del 27 dicembre 1977 va posto l’art. 117 Costituzione, laddove la Carta Costituzionale già riconosce competenza in tema di caccia alle Regioni, discorrendo di funzioni legislative.

[5] Cfr. Cass. sez. III, ord.  n. 5722/2019; Cass. n. 9276/2014; Cass. n. 24547/2009; Cass. n. 27673/2008.

[6] Cfr. Corte Costituzionale, ord. 4 gennaio 2001, n. 4.

[7] Principio, quest’ultimo, che presenta una rilevanza estesa, atteso che la sua regolamentazione si rinviene tanto in disposizioni di carattere costituzionale quanto in previsioni di ordine europeo.

[8] La responsabilità della Regione veniva ad essere riconosciuta anche laddove la stessa avesse delegato le sue attribuzioni agli enti provinciali; ciò sull’assunto che la delega di funzioni non fa venir meno la titolarità di tali poteri e deve essere esercitata nell’ambito delle direttive impartite dall’ente delegante (sul punto vengono riportati in sentenza tali orientamenti pregressi: Cass. Sez. III, n. 4202/2011; Cass., Sez. III, n. 23095/2010; Cass., Sez. III, n. 467/2009; Cass., Sez. III, n. 8953/2008).

[9] Sul punto si vedano: Cass., Sez. 6-3, ord. n. 23151/2019; Cass., Sez. III, ord. n. 18952/2017; Cass., sez. III, n. 12727/2016.

[10] In proposito, Cassazione, Sez. III, n. 11785/2017.

[11] Orientamenti giurisprudenziali costanti concordano nel ritenere che sia operativo il criterio normativamente sancito dal disposto di cui all’art. 2054, primo comma, c.c. Al riguardo, nella sentenza in commento vengono riportati i seguenti precedenti: Cass., Sez. III, n. 4373/2016; Cass., Sez. III, n. 11780/2002.

[12] Sul punto, i giudici riportano tali pronunce: Cass., Sez. III, n. 16295/2019; Cass., Sez. III, n. 6326/2019; Cass., ord. n. 1725/2019.

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