Allo stato, il fenomeno del cyberbullismo costituisce uno dei problemi più diffusi e in continua espansione nella nostra società.
L’ausilio di internet e dei social networking (tra cui Facebook, Twitter, Instagram e molti altri), sempre più utilizzati, rappresentano il mezzo per eccellenza per la diffusione del fenomeno, che ogni giorno vede sempre più attratti e coinvolti soggetti minorenni e alcun tempo, anche gli adulti (c.d. cyberharassment).
In materia, i dati sono davvero eclatanti; solo nel 2017 le denunce di minori sono passate da 236 a 350. Più di 40, poi, sono i minori denunciati come responsabili di cyberbullismo, per i motivi più disparati, tra cui, per diffamazione, ingiuria, minaccia e furto d’identità.
Sommario:
- 1. Cyberbullismo: precisazioni terminologiche alla luce della L. 29 Maggio 2017, n. 71.
- 2. Caratteri dei cyberbulli e forme di cyberbullismo.
- 2.1. Tutte le condotte comportano cyberbullismo?
- 3. L’autore degli atti di cyberbullismo cosa rischia? Cenni alla responsabilità penale
- 4. La responsabilità civile in materia di cyberbullismo.
- 4.1. La responsabilità civile del bullo minorenne.
- 4.2. La responsabilità civile dei genitori.
- 4.3. La responsabilità civile delle istituzioni scolastiche.
- 5. Il risarcimento del danno non patrimoniale.
- 6. Un esempio concreto: Trib. Sulmona, sez. civ. 9 aprile 2018 n. 103.
1. Cyberbullismo: precisazioni terminologiche alla luce della Legge 29 Maggio 2017, n. 71
Per contrastare il fenomeno del cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni, il legislatore ha sentito l’esigenza di approvare, nel 2017, un testo di legge intitolato “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”[1], mediante l’ausilio di azioni a carattere preventivo e con una strategia di attenzione, tutela ed educazione nei confronti dei soggetti vittime coinvolte, nonché dei responsabili degli illeciti.
Il testo, che si compone di 7 articoli, in prima facie evidenzia la nozione di cyberbullismo; in particolare, alla luce dell’art. 1, co. 2, definisce il fenomeno come – e si cita testualmente – “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”[2].
Analizzando quanto previsto nella norma, risulta doveroso soffermarsi sulle singole espressioni utilizzate nel testo:
- Per “forma di pressione” il legislatore sembrerebbe riferirsi a quanto previsto dall’art. 610 c.p. che sancisce la fattispecie della violenza privata.
- Per “forma di aggressione” si fa riferimento a quanto previsto all’art. 581 c.p. che sancisce le percosse. In alcuni casi tale reato potrebbe essere integrato con le lesioni, fattispecie prevista dall’art. 582 c.p. o con la minaccia sancita all’art. 612 c.p.
- Il termine “molestia” è riconducibile a quanto previsto dall’art. 660 c.p.[3]
- Per “ricatto” il legislatore parrebbe fare riferimento al c.d. reato di estorsione, previsto dall’art. 629 c.p.
- L’art. 594 c.p. ci parla dell’”ingiuria”, oramai depenalizzata.
- L’art. 595 c.p., ci parla di “diffamazione”, che, con l’ausilio del web e dei social media, intesi quali mezzi di pubblicità, diventa aggravata, come prevista al 3° comma dell’articolo medesimo.
- Il “furto di identità” è ricompreso nel delitto di cui all’art. 494 c.p.
- Infine, per “forma di alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni” si fa riferimento a quanto previsto dall’art. 167 codice privacy”[4]
2. Caratteri dei cyberbulli e forme di cyberbullismo.
Come noto, il cyberbullismo è un fenomeno sempre più espansivo e, come tale necessita continue azioni volte a prevenirlo. Importante risulta essere la prevenzione da parte degli adulti competenti nonché l’informazione, essenziale ai fini dell’educazione dei presunti “cyberbulli”, che molto spesso detengono condotte tali da non accorgersi di ciò che stanno facendo e che le stesse, dall’altra parte, ledono i diritti della vittima potendo incorrere in un reato penale, ma anche in un illecito civile.
Una delle caratteristiche dei cyberbulli è l’anonimato: nascondersi mediante l’ausilio di uno strumento elettronico al fine di sminuire, mortificare, umiliare o diffamare uno o più soggetti deboli, magari non in grado di difendersi, mettendoli in ridicolo; il materiale che viene utilizzato dai bulli digitali risulta essere, nella maggior parte dei casi, video o fotografie della vittima, in posizioni o situazioni imbarazzanti.
Un’altra caratteristica del cyberbullo si potrebbe dire che risulta essere il coraggio: grazie al web, il soggetto tiene condotte disinibite che non terrebbe nella vita reale. Si approfitta del presunto anonimato elettronico[5] per esprimere il proprio potere e dominio sulle vittime, ignaro delle conseguenze giuridiche. Il carnefice virtuale non vede le conseguenze delle proprie azioni, ostacolando la sua capacità di comprensione ed empatia della sofferenza ed emarginazione provata dalla vittima o da un gruppo di vittime. Si rilevano processi di depersonalizzazione.
Una terza caratteristica, ma non meno importante, riguarda i soggetti spettatori: nel cyber-bullismo, siffatti soggetti possono attivamente o passivamente essere coinvolti nella condotta del cyberbullo partecipando, anche incoscientemente, inconsapevolmente, alle prepotenze on-line.[6]
In considerazione dei caratteri ivi supra, si possono annoverare diversi atteggiamenti che prendono forma nel panorama digitale e che, come tali, vengono ricompresi nel cyber-bullismo. Un esempio è il c.d. Flamming[7], che consiste in nell’invio di messaggi online, offensivi e violenti, aventi ad oggetto insulti finalizzati a suscitare battaglie verbali sul web, sui social networking o nei forum.
Un altro è il c.d. Harrassment (o molestia) inteso quale invio ripetuto di messaggi dal contenuto offensivo volti a ferire e creare disagio psico-fisico alla vittima. Un comportamento ripetuto e assiduo nei confronti della vittima (o vittime) avvalendosi di minacce, molestie o violenze può comportare non sono un disagio psico-fisico, ma può sfociare in una vera e propria persecuzione digitale (c.d. Cyber-stalking o cyber-persecuzione). L’obiettivo è quello di incutere terrore e paura alla persona offesa.
Per Denigration s’intende la condotta volta ad insultare o diffamare un soggetto online attraverso pettegolezzi e menzogne di stampo offensivo e calunnioso avvalendosi di piattaforme di messaggistica quali e-mail, sms, messaggistica istantanea al fine di ledere la sua o l’altrui reputazione. Se i messaggi hanno ad oggetto contenuti a sfondo sessuale, si parla di Sexting.
Ancora, l’Impersonation[8] (o Identity left)[9], consiste in comportamenti volti a sostituire la persona o a rubargli l’identità in rete, creando un fake profile e utilizzando materiale personale (come fotografie, dati personali, dati di accesso quali nome utente e password) per spedire messaggi o pubblicare contenuti al fine di danneggiare l’immagine e la reputazione altrui.[10] Quando la diffusione di contenuti personali avviene con l’inganno, rivelando segreti della persona e violando la riservatezza della stessa, si parla di Outing o Trickering
Molto spesso, il cyberbullismo si snoda nell’esclusione (Exclusion) intenzionale di utenti o gruppi di utenti dai social network, con l’intento di emarginarli.
2.1. Tutte le condotte comportano cyberbullismo?
Fino ad ora abbiamo analizzato i cenni generali sul cyber-bullismo nonché le condotte che possono scaturire a seguito di comportamenti determinati.
Ma tutte le condotte costituiscono cyberbullismo? A questo quesito bisogna rispondere negativamente. Affinché si possa parlare di cyberbullismo, è necessaria la sussistenza di una serie di elementi distintivi: l’abuso di potere, la ripetizione degli atti lesivi[11] (ovvero la reiterazione di condotte diffamatorie e offensive nei confronti delle vittime), l’intenzionalità (ovvero l’esecuzione di condotte volontarie debitamente atte a danneggiare nonché causare sofferenza al soggetto debole) e l’aggressività nell’agire (questi ultimi elementi vengono definiti considerando la natura specifica del cyberbullismo).
3. L’autore degli atti di cyberbullismo cosa rischia? Cenni alla responsabilità penale
Contro gli atti di cyberbullismo non esiste una responsabilità penale specifica, vera e propria. Il soggetto che tiene tali comportamenti, risponde penalmente soltanto delle fattispecie di reato che emergono dalle condotte realizzate (ad esempio, se gli atti di cyberbullismo risultano ripetute, al punto da creare un disagio psico-fisico, potrebbe rispondere di molestie ex art. 660 c.p.).
Un elemento di grande rilevanza nel delineare la responsabilità penale, risulta essere l’età; nella grande maggioranza dei casi, gli atti di cyberbullismo avvengono tra minorenni, i quali, non sono punibili penalmente. Nello specifico, i minori al di sotto dei quattordici anni – a seguito di condotte rilevanti – non sono perseguibili penalmente, anche se vengono ritenuti socialmente pericolosi. In questi casi, il Tribunale per i Minorenni può sentenziare un percorso rieducativo che preveda misure di sicurezza (come l’ingresso in un riformatorio giudiziario oppure lo stato di libertà vigilata).
Qualora i minori al momento del compimento delle condotte lesive si trovano in un’età ricompresa tra i quattordici e i diciassette anni possono incorrere in responsabilità penale, previa valutazione del giudice sulla loro capacità di intendere e di volere in merito al reato a loro ascritto. È possibile porre nei loro confronti la c.d. procedura di ammonimento. [12]
I soggetti in condizioni di maggiore età sono perseguiti penalmente secondo le modalità ordinarie.
Affinché la punibilità possa esserci, è necessario che le vittime si facciano avanti tramite denuncia/querela entro 3 mesi dalla venuta a conoscenza del fatto da parte della vittima (ex art. 124 c.p.) e successivamente costituirsi parte civile. È importante che le stesse non rimettano la querela; solo così possono sperare di avere giustizia per quanto subito.
Come vedremo immediatamente nel seguito, la responsabilità per atti di cyberbullismo può configurarsi anche in sede civile, con azioni finalizzate al risarcimento del danno, o quantomeno, ad un indennizzo.
4. La responsabilità civile in materia di cyberbullismo.
In sede civile si configura una responsabilità del bullo maggiorenne e, qualora minorenne, anche dei genitori per gli atti sub-menzionati che si verificano al di fuori dall’ambiente scolastico; qualora, invece, le condotte si compiono nelle istituzioni scolastiche, passibili di responsabilità civile possono essere anche gli insegnanti e i dirigenti scolastici. La Legge del 29 maggio 2017 n. 71, con la sua entrata in vigore ha previsto qualche misura preventiva volto a contrastarlo in tutte le sue declinazioni, anche se, allo stato, potremmo dire che risulta ancora insufficiente ad arginare il fenomeno.
Una delle norme cardine che sancisce la responsabilità civilistica in materia è l’art. 2043 c.c. rubricato “risarcimento per fatto illecito”.
4.1. La responsabilità civile del bullo minorenne.
L’art. 2046 c.c. rubricato imputabilità del fatto dannoso, sancisce che “Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità di intendere e di volere al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d’incapacità derivi da sua colpa”.
Leggendo la norma si evidenzia come l’imputabilità per il fatto dannoso commesso si perfeziona qualora la capacità di intendere e volere di cui gode il cyberbullo venga meno per sua colpa e non qualora ne risulti sprovvisto ab origine. In ques’ultimo caso, al posto del soggetto incapace ne risponderà, ai sensi dell’art. 2047 c.c., colui che si occupa di sorvegliarlo, salvo che dimostri di non aver potuto impedire il fatto.
Il 2° comma dell’art. 2047 c.c. prosegue stabilendo che “se il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla sorveglianza, il giudice, in considerazione delle condizioni economiche delle parti, può condannare l’autore del danno ad un’equa indennità”.
Nel caso in cui il soggetto si trovi a risponderne, quest’ultimo lo farà in via patrimoniale, per il tramite dei propri genitori, essendo di minor età.
Si precisa altresì che per configurarsi tale tipo di responsabilità, è sufficiente che il soggetto goda della semplice capacità di intendere e di volere; non è necessario anche il godimento della capacità di agire[13].
Ovviamente, in sede civile spetterà al Giudice valutare, caso per caso, l’effettivo godimento della capacità[14].
4.2. La responsabilità civile dei genitori.
Oltre al minore, anche i genitori incorrono in responsabilità civile. L’art. 2048 c.c., rubricato “Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte”, afferma come i genitori o il tutore, sono responsabili degli eventuali danni cagionati dal minore, sia esso emancipato, sia esso sotto la loro tutela.
Tale articolo prevede la c.d. responsabilità per culpa in vigilando e in educando dei genitori per non aver vigilato, impedito o prevenuto comportamenti scorretti.
La giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere responsabili i genitori o tutori dei minori per i comportamenti da loro tenuti, che violano quanto previsto dall’art. 2 Cost., come il diritto alla riservatezza, all’onore, all’immagine. In tali casi, vi è fatto obbligo per coloro che si occupano dei cyberbulli di risarcire il danno per loro conto, per violazione degli obblighi educativi e di controllo sui figli.
In alcuni casi, i genitori possono incorrere in una “responsabilità personale e oggettiva per culpa in vigilando, per violazione dei doveri relativi all’esercizio della responsabilità genitoriale ex art. 147 c.c.”.[15]
Per andare esenti da responsabilità devono dimostrare di aver fatto tutto quanto necessario, in relazione all’età, al carattere, alle condizioni economiche e sociali affinché il minore potesse crescere in serenità e con un livello di educazione adeguato, come sostenuto dalla giurisprudenza maggioritaria. I genitori incorrono e concorrono in responsabilità anche qualora si trovano in stato di separazione.
4.3. La responsabilità civile delle istituzioni scolastiche.
Nel panorama in cui ci troviamo e tenendo in considerazione i soggetti a cui facciamo riferimento, è necessario considerare le istituzioni scolastiche, luoghi di forte impatto nella vita del cyberbullo e, non esenti da responsabilità civile.
L’articolo di riferimento è il 2048, comma 2 c.c. che sancisce come coloro che insegnano un mestiere o un’arte, risultano responsabili dei danni cagionati dai loro allievi e apprendisti, per tutto il tempo cui sottostanno a loro vigilanza. Con esso, si prevede, nei giorni e nelle ore scolastiche, in caso di mancata vigilanza[16] e educazione, una c.d. responsabilità per culpa in vigilando e in educando delle istituzioni scolastiche, con particolare riguardo agli insegnanti e ai dirigenti scolastici. Essa risulterà aggravata, salvo dimostrazione di aver vigilato bene o del caso fortuito.
Sul punto, si segnala la Sentenza del Tribunale di Milano n. 8081 del 2013 che, in conformità con la giurisprudenza italiana, “sancisce la responsabilità del Ministero della Pubblica Istruzione per culpa in vigilando, a causa di lesioni cagionate a scuola dal minore”.[17]
L’istituzione scolastica può altresì incorrere anche nella c.d. “culpa in organizzando” qualora non siano attuate tutte le misure idonee atte a prevenire fenomeni di Cyberbullismo.
Affinché vadano esenti da responsabilità, come confermato dalla Corte di Cassazione, Sez. III, del 2003, n. 2657, è necessario non solo dimostrare di non essere stati in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo, ma anche “di aver adottato, in via preventiva tutte le misure disciplinari od organizzative idonee ad evitare il sorgere di situazioni pericolose”[18].
È proprio sulla base di tutto ciò che, con la Legge 29 maggio 2017, n. 71 si sono previste delle linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto del fenomeno nelle istituzioni scolastiche, così come previsto all’art. 4 della succitata legge[19].
5. Il risarcimento del danno non patrimoniale.
La questione risarcitoria è sempre molto delicata. Le violenze, anche se avvenute via web o social networking comportano oltre che una responsabilità, anche un risarcimento del danno. Un risarcimento di carattere non patrimoniale, all’intero del quale viene ricompreso il c.d. danno biologico, il danno morale e quello esistenziale.
In particolare, così come confermato dalla Corte di Cassazione Civile del 2014 n. 531, quando si configura una responsabilità che comporta il risarcimento del sopradetto danno, si ricomprendono anche le categorie di danno biologico, morale ed esistenziale sopra menzionate, “trattandosi di locuzioni meramente descrittive dell’unica categoria di danno, che è quella del danno non patrimoniale”.[20]
Quando parliamo di queste categorie di danno ricomprese nella “macrocategoria” di danno non patrimoniale, cosa intendiamo?
Per “danno biologico” facciamo riferimento ad un danno alla salute e all’integrità psicofisica della vittima, tutelato anche dallo stesso art. 32 Cost.
Il “danno morale” consiste nel dolore, nella sofferenza interiore provata dalla vittima a causa del comportamento del cyber-bullo.
Ancora, il “danno esistenziale”, consiste nella violazione all’esistenza, alla qualità di vita della vittima. Tale danno è costituzionalmente riconosciuto all’art. 2.[21]
6. Un esempio concreto: Trib. Sulmona, sez. civ. 9 aprile 2018 n. 103.
Al fine di consolidare quanto detto fino ad ora, pregnante risulta essere la Sentenza del Tribunale di Sulmona, sez. civ. del 9 Aprile 2018 n. 103 [22], la quale va a confermare, a livello pratico-giuridico, quanto esposto.
A seguito di un procedimento penale terminato con una sentenza di non luogo a procedere all’esito dell’udienza preliminare, in sede civile, il Tribunale di Sulmona ha riconosciuto una responsabilità ex art. 2048 c.c. nei confronti dei genitori degli autori dei fatti illeciti, per non aver vigilato ed educato adeguatamente sui figli minori autori di cyberbullismo, oltre a quella prevista ai sensi dell’art. 2043 c.c. nei confronti degli altri maggiorenni, co-autori dell’illecito. Altresì, alla vittima, gli veniva riconosciuto un risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c.
[1] Cfr. Legge 29 maggio 2017, n. 71.
[2] Se volessimo dare una definizione più chiara e semplice del fenomeno, potremmo definirlo come una forma di prepotenza virtuale attuata tramite l’utilizzo di internet e delle tecnologie digitali. È una forma di prevaricazione e di oppressione reiterata nel tempo, perpetrata da un soggetto o da un gruppo di soggetti più potenti nei confronti di un’altra percepita come più debole. Si consiglia per approfondimento, M. Alovisio – G.B. Gallus – F.P. Micozzi (a cura di), Il Cyberbullismo. Alla luce della legge 29 maggio 2017, n. 71, Collana diretta da G. Cassano – Diritto IN CHIARO, Giuridica Editrice 2017. Cfr. Art. 1, co. 2, Legge 29 Maggio 2017 n. 71; Cyberbullismo a scuola in https://www.generazioniconnesse.it/site/it/cyberbullismo-scuole/; N. Skodnik, F. Pastore, Il cyberbullismo, in Diritto24, Il Sole 24 Ore, ed. 2016.
[3] Cfr. Art. 660 c.p. (molestia o disturbo delle persone): “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a cinquecentosedici euro”.
[4] Si veda art. 167 cod. privacy (Trattamento Illecito di Dati);
[5] I dispositivi elettronici lasciano sempre tracce rintracciabili dalla polizia postale. Cfr. L. Acampora – E. Tosco, Cyberbullismo. Che cos’è, perché occuparsene, le risorse utili in dorS, p. 3, ed. 2014.
[6] Bisogna tenere in considerazione il fatto che molto spesso, dietro ad un bullo, ce ne sono molti altri che lo incitano, intensificando in peius la sua condotta a danno della vittima.
[7] Il termine “flamming” deriva dal termine inglese flame, che significa fiamma.
[8] Con il termine “impersonation” s’intende sostituzione di persona.
[9] Con il termine “identity left” si fa’ riferimento al furto d’identità.
[10] Indirettamente, da questi comportamenti si può dedurre anche una violazione della privacy altrui a causa della diffusione pubblica di informazioni personali e private, sensibili della vittima mediante il web. Cfr. Si veda, C. Virelli, Responsabilità civile per atti di cyberbullismo, pp. 2-3 in Diritto.it, ed. 2018. Si consiglia per approfondimento, E. Menesini – A. Nocentini – B. E. Palladino, Prevenire e contrastare il bullismo e il cyberbullismo, Ed. Il Mulino 2017.
[11] Bisogna precisare che la reiterazione delle condotte, nel cyberbullismo, assume svariate sfumature a seconda che avvenga in modo diretto (quando vengono utilizzati strumenti di messaggistica istantanea che colpiscono immediatamente la vittima) o indiretto (quando vengono usate aree pubbliche della rete – social network, blog o forum – aperti ad una moltitudine di utenti. Nel primo caso, la ripetizione viene data da interventi continui, che colpiscono direttamente la vittima (ad esempio tramite sms, e-mail continue e molti altri); nel secondo caso, invece, la ripetizione è dovuta alla possibilità che altri utenti possano vedere, salvare e condividere in via infinita il materiale “postato” in rete. Cfr. L. Acampora – E. Tosco, Cyberbullismo. Che cos’è, perché occuparsene, le risorse utili in dorS, pp. 2-3, ed. 2014.
[12] È doveroso precisare come, ai sensi della Legge 29 Maggio 2017, n. 71, previsto dall’art. 7, fintanto che non viene proposta denuncia/querela da minorenni, per i reati previsti dagli artt. 594, 595, 612 c.p. e 167 cod. privacy, nei confronti di altri minorenni, è applicabile la c.d. procedura di ammonimento prevista nella Legge 23 aprile 2009, n. 38 e succ. modifiche. Per l’applicazione dell’ammonimento, il questore convoca il minore accompagnato dall’esercente la responsabilità genitoriale (che sia genitore o tutore), i cui effetti perdureranno fino alla maggiore età. Cfr. Art. 7 commi 1, 2 e 3, Legge 29 maggio 2017, n. 71. Per approfondimenti si consiglia, l’art. 8 della Legge 23 Aprile 2009, n. 38.
[13] La capacità di agire si acquista con la maggior età, al compimento del diciottesimo anno, così come previsto all’art. 2 c.c. Cfr. C. Virelli, Responsabilità per atti di cyberbullismo, p. 6 in Diritto.it, ed. 2018; E.L. Lo Gullo, Quali violazioni di legge comporta il bullismo? , ed. 2013.
[14] Ciò differisce da quanto accade in sede penale dove il minore di anni quattordici non è punibile penalmente (§ 3).
[15] Cfr. C. Virelli, Responsabilità per atti di cyberbullismo, pp. 6-7 in Diritto.it, ed. 2018; Trib. Milano, sent. n. 8081 del 2013.
[16] La vigilanza deve essere assicurata sia all’interno della classe che all’esterno, ma comunque in tutto il plesso scolastico.
[17] Cfr. E.L. Lo Gullo, Quali violazioni di legge comporta il bullismo?, ed. 2013.
[18] Cfr. E.L. Lo Gullo, Quali violazioni di legge comporta il bullismo?, ed. 2013; Cass. Civ., sez. III n. 2657 del 2003.
[19] In particolare, rilevante risulta la formazione del personale scolastico mediante corsi specializzati in materia nonché la previsione di misure di sostegno e rieducazione dei minori coinvolti. È importante che ciascun istituto scolastico si doti di un docente referente che ha il compito di coordinare le iniziative di prevenzione e di contrasto del cyberbullismo, avvalendosi dell’aiuto delle Forze di polizia e delle associazioni e dei centri di aggressione giovanile presenti sul territorio. Cfr. Art. 4 commi 1, 2 e 3, Legge 29 maggio 2017, n. 71.
[20] Cfr. Cass. civ., sez. III, 14 Gennaio 2014 n. 531 in Altalex, con nota di M. Iaselli.
[21] Il danno esistenziale viene quantificato dal giudice in via equitativa e, come tale, è differente a seconda del caso. Cfr. C. Virelli, Responsabilità per atti di cyberbullismo, p. 6 in Diritto.it, ed. 2018.
[22] Cfr. P. Russo, Cyberbullismo: i genitori dei cyberbulli risarciscono il danno da carenza educativa, in Il Quotidiano Giuridico, Wolters Kluwer, 2018.