Crediti da lavoro ed obbligazioni extracontrattuali: applicabilità degli interessi previsti dall’art. 1284 comma 4 c.c.

Nel presente documento si affronta la problematica relativa all’applicabilità, anche ai crediti da lavoro ed alle obbligazioni extracontrattuali, della disciplina prevista dal D.lgs. 231/2002 riguardante i tassi di interesse da applicare nelle transazioni commerciali.

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Premessa

La presente analisi trae spunto dalla sentenza della Cassazione SSUU n. 12974 del 13.05.2024, la quale era stata chiamata a pronunciarsi sulla seguente questione oggetto di rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c.: “se gli interessi nella misura legale, contemplati dall’art. 429, comma 3, cod. proc. civ., spettino, dal momento della proposizione della domanda giudiziale, sulla base del saggio previsto dall’art. 1284, comma 4, cod. civ. e se tale disposizione trovi applicazione anche nel caso di obbligazione derivante da responsabilità extracontrattuale”.

Le SSUU si sono uniformate a quanto affermato nella sentenza n. 2449 del 07.05.2024, la quale aveva enunciato il seguente principio di diritto: “ove il giudice disponga il pagamento degli interessi legali senza alcuna specificazione, deve intendersi che la misura degli interessi, decorrenti dopo la proposizione della domanda giudiziale, corrisponde al saggio previsto dall’art. 1284, comma 1, cod. civ. se manca nel titolo esecutivo giudiziale, anche sulla base di quanto risultante dalla sola motivazione, lo specifico accertamento della spettanza degli interessi, per il periodo successivo alla proposizione della domanda, secondo il saggio previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”.

La decisione è stata motivata con il fatto che la sentenza pronunciata dal Giudice di cognizione non aveva specificato “quali” interessi dovessero essere applicati – e cioè se quelli previsti dal comma 1 dell’art. 1284 c.c. (ossia quelli al saggio legale) oppure quelli di cui al comma 4 della stessa norma (ossia quelli maggiorati previsti dal D.lgs. 231/2002, di seguito “D.lgs.”), avendo essa semplicemente statuito la condanna al pagamento degli “interessi legali”, senza alcun’ altra specificazione. E’ stato ribadito il principio in base al quale è solo ed esclusivamente il processo di cognizione la sede per definire, in tutti i suoi aspetti, l’obbligazione prevista dal titolo esecutivo giudiziale, anche in ordine alla determinazione degli interessi -che siano al saggio generale (art. 1284 comma 1 c.c.) od a quello maggiorato (successivi commi 4 e 5)-  a seguito di uno specifico accertamento giudiziale riconducibile ad una compiuta qualificazione giuridica del rapporto sostanziale dedotto in giudizio. Di conseguenza, “se il titolo esecutivo è silente, il creditore non può conseguire in sede di esecuzione forzata il pagamento degli interessi maggiorati, stante il divieto per il giudice dell’esecuzione di integrare il titolo, ma deve affidarsi al rimedio impugnatorio”.

Nel presente documento viene lasciata in disparte la questione relativa alla (ribadita) impossibilità del Giudice dell’esecuzione di integrare il contenuto della decisione del Giudice di cognizione, e viene, invece, approfondita la tematica sostanziale, e cioè se la disciplina prevista dal D.lgs. riguardante i tassi di interesse da applicare nelle transazioni commerciali, richiamata dall’art. 1284 comma 4 c.c., sia applicabile anche ai crediti da lavoro ed alle obbligazioni extra – contrattuali.

L’applicabilità del D.lgs. 231/2002 ai crediti da lavoro: problemi legati al criterio “definitorio” ed al mancato richiamo del D.lgs. nelle normative in materia di rapporti di lavoro

Ai sensi dell’art. 1284 comma 4 c.c., “se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”.

L’art. 429 comma 3 c.p.c. prevede che il giudice, quando pronuncia sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro per crediti di lavoro, deve determinare “gli interessi nella misura legale”.

Un ostacolo all’applicazione, anche ai crediti da lavoro, della disciplina prevista dal D.lgs. (per il tramite dell’art. 1284 comma 4 c.c.) consiste nel fatto che, ai sensi dell’art. 2 comma 1 lett. A) di quest’ultimo, per “transazioni commerciali” si intendono “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo”. Il “rapporto di lavoro” non può essere inquadrato nell’ambito di una “transazione commerciale”.

Un altro ostacolo a ciò è rappresentato dal fatto che la disciplina dettata dal codice di procedura civile (artt. 409 – 473) non prevede alcuna norma dalla quale sia ricavabile un principio in base al quale il Giudice possa condannare il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore interessi superiori alla misura legale.

E lo stesso sembra valere anche per il D.lgs. 165/2001 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”) e per il D.lgs. 81/2015 (“Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”).

Inoltre, l’art. 18 della Legge 300/1970 (“Statuto dei lavoratori”) prevede che il lavoratore, nel caso in cui il Giudice abbia accertato l’illegittimità del licenziamento disposto nei suoi confronti, condanna il datore di lavoro, tra l’altro, anche al versamento dei contributi assicurativi e previdenziali, dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, “maggiorati degli interessi nella misura legale”. Quindi, al lavoratore non spettano interessi superiori a quelli legali.

Di conseguenza, se ci si basa sui suddetti criteri, si deve concludere che al lavoratore non possono spettare gli interessi previsti per le transazioni commerciali.

L’applicabilità del D.lgs. 231/2002 ai crediti da lavoro: fondatezza in base alla “inderogabilità” della norma contenuta nell’art. 1284 comma 4 c.c.

La tesi secondo cui, in materia di crediti del lavoratore, debba applicarsi la disciplina specifica prevista dall’art. 429 c.p.c., anziché quella generale prevista dall’art. 1284 c.c., si basa sul principio di specialità, mutuato dall’art. 15 c.p., che così dispone: “quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito”. Nel nostro caso, la norma speciale è quella contenuta nell’art. 429 c.p.c., e pertanto ai crediti da lavoro dovrebbe applicarsi questa norma, e non quella generale prevista dall’art. 1284 comma 4 c.c. .

Tuttavia, va considerato quanto segue.

 L’art. 1284 comma 4 c.c., nel prevedere che, ove le parti non abbiano determinato il tasso da applicare, la proposizione della domanda giudiziale da parte del creditore determina l’applicazione non del saggio legale bensì di quello (più alto) che si applica nelle transazioni commerciali, afferma un principio in contrasto con quello contenuto nel terzo comma della stessa norma, ai sensi del quale, se le parti non hanno stabilito l’applicazione di un tasso superiore alla misura legale, devono applicarsi gli interessi legali.

Le parti, in sede di stipula del contratto, possono stabilire che, nel caso di ritardo nel pagamento, si applichino interessi superiori al saggio legale (comma 3°); tuttavia, anche nel caso in cui esse non abbiano pattuito in tal senso, l’azione giudiziale proposta dal creditore fa sì che, automaticamente, vengano applicati gli interessi di cui al D.lgs., i quali sono superiori al saggio legale (comma 4°).

Quindi il diritto del creditore nel caso di ritardo nel pagamento deve essere comunque tutelato anche se quest’ultimo non si era premurato di far inserire nel contratto una clausola in base alla quale gli interessi gravanti sul debitore avrebbero dovuto essere superiori a quelli legali. Il mancato utilizzo di uno strumento di tutela – appunto il contratto – messo a disposizione dalla legge, non impedisce al creditore di ottenere comunque tale tutela: è sufficiente, a tal fine, che egli esperisca l’azione giudiziale. Pertanto, la previsione contenuta nel comma 4° deroga a quella di cui al comma 3°, rendendo di fatto quest’ultima del tutto irrilevante: infatti, è inutile prevedere che la mancata determinazione di un tasso superiore a quello legale impone al creditore di poter incassare solo gli interessi legali, se poi si stabilisce che in tal caso il creditore stesso, proponendo l’azione giudiziale, potrà comunque incassare interessi superiori al saggio legale.

Il principio è quello in base al quale la domanda giudiziale prevale sulla mancata pattuizione.

Ai sensi dell’art. 1372 c.c., “il contratto ha forza di legge tra le parti”: da ciò discende che le parti non possono esercitare diritti da esso non previsti, in quanto, così facendo, chiederebbero il riconoscimento di un qualcosa che dalla “legge” (quella contrattuale) non è contemplato. In questo caso, però, la “legge generale”, e cioè il codice civile, attribuisce al creditore un diritto – quello al pagamento degli interessi al saggio previsto dal D.lgs. – che dalla “legge contrattuale” non era stato previsto, e quindi l’art. 1284 comma 4 c.c. costituisce, nella sostanza, una “norma inderogabile”, in quanto esso impone, a favore del creditore, l’applicazione di un meccanismo di tutela che quest’ultimo non aveva previsto a proprio favore (vedi comma 3°). L’ inderogabilità è data dal fatto che la tutela del creditore viene stabilita anche se questi non aveva manifestato interesse alla medesima, non avendo egli preteso l’inserimento di una clausola, pur ammessa dalla legge, che gli garantisse tale tutela.

E’ esattamente la stessa cosa che accade per quanto riguarda la tutela del lavoratore, a cui favore l’art. 2113 c.c. stabilisce che la rinuncia da lui fatta a diritti che sono previsti da disposizioni inderogabili, non è valida.

Ebbene, una norma, quando è inderogabile, stabilisce un principio generale dell’ordinamento, che, in quanto tale, non può essere derogato da una norma speciale qual è quella contenuta nell’art. 429 c.p.c., che riconosce al lavoratore il diritto ai “soli” interessi legali. L’espressione “salvo che sia altrimenti stabilito” – utilizzata dall’art. 15 c.p. per indicare i casi in cui la legge speciale, suo malgrado, non può derogare alla legge generale – è riferibile proprio al caso in cui quest’ultima rivesta un carattere di inderogabilità, il quale verrebbe privato del suo significato più autentico nel caso in cui la legge speciale prevalesse sulla legge generale.

L’applicabilità del D.lgs. 231/2002 alle obbligazioni extra – contrattuali: fondatezza incentrata sul concetto di “inerzia del creditore”

L’altra questione è se l’art. 1284 comma 4 c.c. – ossia l’applicazione del tasso di interesse previsto per le transazioni commerciali – si applichi anche alle obbligazioni extra contrattuali.

Queste ultime sono disciplinate dagli artt. 2043 – 2059 c.c. .

A norma dell’art. 2056 comma 1 c.c.,il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227”. Pertanto, anche alle obbligazioni extra contrattuali si applicano le norme che disciplinano il risarcimento del danno nelle obbligazioni contrattuali.

Tuttavia, ai sensi dell’art. 1 n. 2) lett. B) del D.lgs., le disposizioni ivi contenute non si applicano ai “pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno”.

Di conseguenza, siccome interessi per ritardato pagamento nelle transazioni commerciali e risarcimento del danno sono due istituti differenti, il fatto che anche alle obbligazioni extra contrattuali si applichino le norme che disciplinano il risarcimento del danno nelle obbligazioni contrattuali, non è idoneo a determinare l’applicabilità degli interessi di cui al D.lgs. anche alle obbligazioni extra contrattuali.

Del resto, che interessi e risarcimento del danno si trovino tra loro in un rapporto di alternatività, risulta evidente dal fatto che, a norma dell’art. 1224 comma 2 c.c., se il mancato pagamento di quanto dovuto ha causato un danno maggiore rispetto a quello di ammontare corrispondente agli interessi di mora, il risarcimento di tale maggior danno non è dovuto se la misura degli interessi moratori sia stata pattuita tra le parti. Quindi, il risarcimento del danno spetta soltanto se l’ammontare degli interessi di mora non è stata previamente stabilita; laddove quest’ultimo sia stato stabilito, non spetta il risarcimento.

Peraltro, va rilevato quanto segue.

In linea generale, gli interessi costituiscono “obbligazioni”, ossia obblighi di carattere patrimoniale, e questi, ai sensi dell’art. 1173 c.c., possono derivare, oltre che dal contratto, anche dal “fatto illecito” e “da ogni altro atto, o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”, ossia, per l’appunto, da obbligazioni di natura extra contrattuale.

Il comma 4 dell’art. 1284 c.c. prevede che la domanda giudiziale produca il diritto agli interessi di cui al D.lgs. solo se le parti “non ne hanno determinato la misura”.

“Determinare” l’entità di una prestazione significa che questa viene stabilita per l’eventualità in cui si verifichi l’evento (ossia il danno) che la origina: nel caso degli interessi, l’evento è costituito dal ritardato pagamento. Ma, affinchè si possa procedere a tale determinazione, è necessario che sia stato sottoscritto un accordo in tal senso, e quindi che sia stato stipulato un “contratto”.

L’obbligazione extra contrattuale, siccome nasce al di fuori di un rapporto contrattuale, non può essere disciplinata mediante la stipula di patti tra le parti, e pertanto in tal caso gli interessi, che dell’obbligazione stessa sono la conseguenza, non possono essere “determinati” nel quantum.

Pertanto, viene a mancare il presupposto – ossia “la determinabilità” della misura degli interessi – previsto dal comma 4 dell’art. 1284 c.c. affinchè possano applicarsi, a favore del danneggiato, gli interessi di cui al D.lgs. .

Questo presupposto, però, viene a mancare non per inerzia o disinteresse del danneggiato stesso, ma per un motivo oggettivo, e cioè il fatto che nessun contratto sia stato in precedenza sottoscritto con il danneggiante. Allora il ragionamento è il seguente: la proposizione della domanda giudiziale, se attribuisce al creditore il diritto di ottenere il pagamento degli interessi di cui al D.lgs. anche quando questi non abbia voluto riservarsi tale diritto nel contratto (“se le parti non ne hanno determinato la misura”) e cioè quando non abbia inteso utilizzare uno strumento, qual è quello negoziale, che la legge eppur gli metteva a disposizione, dovrà attribuire eguale diritto anche al creditore (in tal caso, il danneggiato) il quale non era nelle condizioni di poter utilizzare il suddetto strumento, in quanto, appunto, l’obbligazione sorta verso di lui è stata di tipo extra – contrattuale, e non contrattuale. In questo secondo caso, non vi è stata inerzia del creditore nel riservarsi il diritto al pagamento di interessi superiori al saggio legale: egli, semplicemente, “non poteva” pretendere questa riserva perché nessun rapporto negoziale era stato instaurato con il danneggiante.

Di conseguenza, gli interessi di cui al comma 4 dell’art. 1284 c.c. dovrebbero poter applicarsi anche alle obbligazioni extra – contrattuali.

 

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Lucilla Nigro
Autore di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.

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