Corte Costituzionale sul contrasto tra sentenza passata in giudicato e sopravvenuta pronuncia Corte EDU

in Giuricivile, 2018, 9 (ISSN 2532-201X), nota Cort. Cost., sent. 93/2018

È infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 395 e 396 c.p.c., nella parte in cui non prevedono tra i casi di revocazione delle sentenze civili nelle more passate in giudicato l’ipotesi dell’adeguamento a una sopravvenuta pronuncia della Corte Edu di segno contrario, per asserita violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al parametro interposto dell’art. 46, paragrafo 1, della Cedu, dovendo, in proposito, essere ribadita la differenza tra processi penali e civili e la necessità, con riferimento a questi ultimi, di tutelare i terzi, la cui posizione processuale non è assimilabile a quella delle vittime dei reati nei procedimenti penali.

  1. Premessa: il responso della Corte sulla sottoposta questione di legittimità costituzionale

Con la sentenza in epigrafe, n. 93 del 2018, la Consulta si è pronunciata in merito alla legittimità costituzionale degli artt. 395 e 396 c.p.c., attesa l’asserita violazione dell’art. 117, co.1, Cost., in relazione al parametro interposto dall’art. 46, par. 1, Cedu, per la mancata previsione dell’ipotesi di adeguamento a una sopravvenuta pronuncia della Corte Edu di segno contrario, tra i casi di revocazione delle sentenze civili nelle more passate in giudicato.

La Corte Costituzionale ha infatti in proposito ribadito la differenza tra processi penali e quelli civili, soprattutto per quanto concerne la necessità per questi ultimi di tutelare i terzi, che nel processo hanno una posizione del tutto dissimile rispetto a quella delle vittime di reato nei procedimenti penali.

  1. Il caso di specie e il dubbio di legittimità sollevato

A sollevare la questione di legittimità costituzionale dei summenzionati articoli 395 e 396 c.p.c. è stata la sezione per i minorenni della Corte d’Appello di Venezia, la quale ha dedotto la mancata previsione, tra i casi di revocazione previsti dalle norme, di quello in cui la stessa sia necessaria per permettere il riesame del merito della sentenza impugnata, al fine di uniformarsi alle statuizioni vincolanti della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Ciò infatti, a parere della rimettente Corte, comporta, come diretta conseguenza, la violazione dell’art. 117, co. 1, della Costituzione, e, a livello comunitario, dell’art. 46, par. 1, CEDU.

Nel caso de quo, con sentenza n. 98 del 19 febbraio 2010, il Tribunale per i minorenni di Venezia, dichiarava lo stato di adottabilità del minore A. T. Z. disponendo l’interruzione dei rapporti con la madre con la conseguente nomina di un tutore.

Avverso tale sentenza la madre del minore J.Z., proponeva appello lamentando in primis la carenza dei presupposti necessari per la pronuncia dell’adottabilità e, in secundis, la mancata valutazione, da parte del Tribunale, di una eventuale adozione non legittimante che avrebbe consentito alla madre di continuare ad avere un rapporto con il figlio.

Con sentenza n. 126 del 19 novembre 2010, la Corte D’appello di Venezia, sezione per i minorenni, confermava la sentenza di primo grado non essendo prevista nel nostro ordinamento una tale fattispecie di adozione.

Pertanto, la ricorrente J.Z. adiva la Corte Edu la quale dopo aver accertato la violazione lamentata, condannava lo Stato italiano con sentenza del 21.01.2014, divenuta definitiva il 02.06.2014, al pagamento in favore della stessa ricorrente, della somma di Euro 40.000,00, a titolo di indennizzo per il danno morale subito, oltre alle spese, per violazione dell’art. 8 della CEDU. Con la suddetta sentenza la Corte Edu rilevava che le autorità italiane, prima di disporre l’affidamento avrebbero dovuto salvaguardare il legame madre – figlio e, quindi, adottare tutte quelle misure necessarie per tutelarlo. E l’impugnazione per revocazione sembrava essere l’unico rimedio idoneo a porre in esecuzione la pronuncia della Corte EDU, permettendo, così il riesame nel merito di una questione già decisa con sentenza passata in giudicato.

Sicché, la ricorrente J.Z. agiva in giudizio per ottenere la revocazione della sentenza d’appello, chiedendo non solo di non recidere il legame con la stessa mediante un’adozione non legittimante ma di pronunciarsi preliminarmente sulla questione di legittimità costituzionale degli articoli 395 e 396 c.p.c. per la mancata previsione tra i casi di revocazione di quello in cui tale rimedio sia imposto dalla necessità di dare attuazione a una sentenza della Corte EDU.

Pertanto, la rimettente Corte d’Appello di Venezia ha, nel caso di specie, ritenuto che, qualora l’ordinamento non individuasse la revocazione delle sentenze passate in giudicato come strumento giuridico cui ricorrere nell’ipotesi di conflitto con sopravvenute sentenze della Corte EDU, l’art. 117, co. 1, Cost., ne risulterebbe violato, in relazione all’art. 46, par. 1, CEDU, il quale espressamente obbliga gli Stati contraenti a conformarsi alle proprie sentenze definitive nell’ambito delle controversie di cui sono parti.

A tal fine, secondo la ricorrente neppure le conclusioni a cui era addivenuta la Corte costituzionale con la sentenza n. 123 del 2017 osterebbero all’accoglimento della questione sollevata.

Difatti, con tale sentenza veniva dichiarato non estensibile ai processi civili e amministrativi l’obbligo di riapertura previsto per i processi penali in ragione di tre argomentazioni: la diversità di rango dei diritti protetti, la necessità di tutelare i terzi e la discrezionalità riconosciuta in capo ai singoli Stati contraenti nella scelta dei mezzi di attuazione delle sentenze della Corte di Strasburgo.

Dunque, la parte privata osservava che non poteva essere considerato di rango superiore a quello della libertà personale, il diritto a mantenere un rapporto con il proprio figlio o quanto meno ad avere sue notizie. E ancora, riteneva che non essendo i genitori adottivi parti del procedimento di adottabilità, la necessità di tutelare i terzi non sussisteva nel caso di specie. Infine, circa la discrezionalità degli Stati, rilevava che l’art. 46 della Convenzione imponesse agli stessi di adottare tutte le misure fondamentali per dare attuazione ai diritti fondamentali da essa tutelati.

Per tali ragioni, la ricorrente chiedeva l’accoglimento della questione sollevata, e, di conseguenza, la possibilità di contestare quanto stabilito con sentenza passata in giudicato.

La Corte Costituzionale, analizzando la delicata vicenda, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 395 e 396 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Venezia, sezione per i minorenni.

Difatti, con la precedente sentenza n. 123 del 2017, la Corte, dopo un’attenta disamina della giurisprudenza della Corte Edu e in virtù dell’importante pronuncia della Grande camera, 5 febbraio 2015, Bochan contro Ucraina (n. 2), ha ritenuto che l’art. 46, paragrafo 1, della Cedu, non stabilisca un obbligo di riapertura dei processi civili e amministrativi. In particolare, la Corte Edu tende a favorire la riapertura dei processi non penali, lasciando, tuttavia, la relativa decisione agli Stati contraenti.

La Consulta ha chiarito, richiamando i propri precedenti, che è di primaria importanza il tema dell’esecuzione delle sentenze della Corte Edu anche al di fuori della materia penale e, pertanto, è auspicabile che vi sia un intervento del legislatore che permetta di conciliare il diritto di azione delle parti vittoriose a Strasburgo con quello di difesa dei terzi.

Inoltre, la Consulta ha rilevato che la giurisprudenza della Corte EDU non è mutata al riguardo, come dimostra la sentenza della Grande camera, 11 luglio 2017, Moreira Ferreira contro Portogallo (n. 2), nella quale veniva sottolineata la differenza tra processi penali e civili e la necessità, con riferimento a questi ultimi, di tutelare i terzi, la cui posizione processuale non è assimilabile a quella delle vittime dei reati nei procedimenti penali.

Pertanto, secondo l’opinione della Consulta, la Convenzione non riconosce come diritto, quello alla riapertura dei processi interni, anche penali, qualora si verificasse un contrasto con una sentenza della Corte Edu che accerti la violazione di diritti convenzionali.

  1. L’infondatezza della questione di legittimità e le precedenti pronunce sul tema

Ordunque, il Giudice delle leggi si è pronunciato negativamente sulla sollevata questione di legittimità, dichiarandola infondata.

Preme, però, sottolineare che la Consulta si era già, nel recente passato[1], pronunciata sul medesimo tema. Nello specifico, la stessa, uniformandosi alla giurisprudenza della Corte EDU[2] – a cui è stata attribuita la funzione di interprete “eminente” del diritto convenzionale[3] -, ha sostenuto che l’art. 46, par. 1, CEDU, non preveda un obbligo di riapertura dei processi civili e amministrativi. Invero, la Corte di Strasburgo, pur favorendo l’introduzione di tale riapertura come misura ripristinatoria nell’ambito dei processi non penali, lascia agli Stati contraenti la decisione al riguardo, al fine di garantire ugualmente tutela anche a soggetti che non sono parti necessarie del giudizio convenzionale, in quanto diversi dal ricorrente dinanzi alla Corte in parola e dallo Stato, ma che avevano tuttavia preso parte al giudizio interno.

Pertanto, la Corte Costituzionale, considerando il tema dell’esecuzione delle sentenze della Corte Edu fondamentale anche al di fuori del settore penale, aveva già auspicato un intervento legislativo che conciliasse il diritto di azione delle parti vittoriose a Strasburgo con quello di difesa dei terzi[4], e, al contempo, un sistematico coinvolgimento di questi ultimi all’interno del processo convenzionale.

Tanto premesso, la Consulta, dinanzi alla sollevata questione di legittimità costituzionale, ne ha dichiarato l’infondatezza rispetto all’articolo 117, co. 1, Cost.

Invero, a parere della stessa, non rientrando tra le attribuzioni della Corte Europea l’indicazione delle misure dirette alla concretizzazione della restitutio in integrum e alla conclusione della violazione convenzionale, e sussistendo di conseguenza la libertà degli Stati nella scelta dei mezzi da utilizzare per l’adempimento dell’obbligo derivatone, purché non divergenti con quanto previsto nelle conclusioni della sentenza, mutevole sarebbe il contenuto di detto obbligo di conformazione alle sentenze europee. A ciò si aggiunga che qualsiasi misura ripristinatoria individuale differente dall’indennizzo sarebbe eventuale e andrebbe pertanto adottata solo qualora ritenuta necessaria per dare esecuzione alle pronunce europee, per quanto, ciò nonostante, le misure più idonee alla  restitutio in integrum in caso di violazione delle norme convenzionali sul giusto processo siano ritenute il riesame del caso o la riapertura dello stesso processo[5]. A sostegno di tale tesi la stessa Consulta ha altresì sottolineato che l’indicazione dell’obbligo di riapertura del processo come misura finalizzata alla restitutio in integrum, è rinvenibile solo in quelle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo contro Stati i cui ordinamenti nazionali già contemplano strumenti di revisione delle sentenze passate in giudicato in caso di violazione delle norme convenzionali[6]. Ciò detto, sempre secondo il ragionamento della Consulta, allo stato, dall’analisi della giurisprudenza convenzionale in materie diverse da quella penale, non si rinviene alcun obbligo generale di adozione della misura ripristinatoria della riapertura del processo, la cui scelta, invece, è demandata allo Stato coinvolto[7].

La mancata riapertura dei processi al di fuori della materia penale da parte della Corte di Strasburgo è giustificata dalla necessità di tutelare le parti private che non partecipano al giudizio dinanzi a essa e di non scalfire la certezza del diritto[8].

In altri termini, dunque, la Consulta ha convenuto sull’assunto in base al quale attiene alla discrezionalità dello Stato la scelta dei mezzi e delle modalità attraverso i quali dare esecuzione alle sentenze europee, da effettuare a seguito di un delicato bilanciamento del legislatore tra il diritto di azione degli interessati e il diritto di difesa dei terzi, non sussistendo uno specifico obbligo di revocazione della sentenza non penale derivante dalla giurisprudenza della Corte Europea.

Ebbene, con siffatta conclusione, la Corte Costituzionale, pur non pronunciandosi sulle modalità di esecuzione delle sentenze europee, estranee alle proprie competenze, conviene sulla possibilità, per l’ordinamento italiano, di eseguire una pronuncia europea con la misura risarcitoria, senza rimettere in discussione una sentenza passata in giudicato[9]. La Consulta, quindi, media in tal modo la necessità di procedere alla restitutio in integrum attraverso la revocazione della sentenza con l’impossibilità di procedere con la misura integratoria a tutela della salvaguardia del principio della certezza del diritto e della stabilità delle situazioni giuridiche.

  1. Gli obblighi derivanti dalle violazioni delle sentenze della Corte di Strasburgo

La Consulta, in relazione al contenuto dell’obbligo di conformazione alle sentenze della Corte europea, ha evidenziato che lo stesso è sì mutabile[10] ma ciò non contraddice il sistema della Convenzione europea, né, nello specifico l’art. 46.

La logica di tale assunto è rinvenibile nel fatto che la Corte di Strasburgo compie un accertamento di carattere puramente dichiarativo, il quale, pertanto, non obbliga gli Stati all’adozione di specifiche misure per l’esecuzione della sentenza[11]. Tale carattere dichiarativo è difatti rinvenibile nella discrezionalità attribuita ai citati Stati nella scelta dei mezzi ritenuti più idonei per dare esecuzione alle pronunce europee[12]. E però, nonostante la sussistenza di un margine di apprezzamento, sugli Stati grava comunque l’obbligo di porre fine alla violazione e, laddove possibile, di ripristinare la situazione anteriore alla violazione per il ricorrente (restitutio in integrum)[13]. In virtù di siffatta argomentazione non appare condivisibile la statuizione della Consulta secondo cui dalla giurisprudenza convenzionale non emergerebbe, allo stato, un obbligo generale di adozione della misura ripristinatoria della riapertura del processo nelle materie diverse da quella penale, essendo agli Stati contraenti rimessa la decisione in tal senso[14]. Infatti, detto obbligo, in caso di violazione dell’art. 6 CEDU, sussiste laddove la suddetta riapertura del processo rappresenti l’unica forma possibile di restitutio in integrum, e, al contempo non ricorrano quelle condizioni legittimanti la sostituzione della misura riparatoria con quella risarcitoria.

A ciò si aggiunga che, nel medesimo filone logico, confutabile appare anche quanto sostenuto dalla Consulta laddove afferma che l’indicazione dell’obbligatorietà della riapertura del processo come misura atta a garantire la restituito in integrum appaia solo nelle sentenze emesse nei confronti di Stati il cui ordinamento già prevede strumenti di revisione delle sentenze passate in giudicato in caso di violazione di norme convenzionali[15]; invero, come già messo in luce dalla dottrina, diverse sono le sentenze che rivolgono invece un simile invito anche a Stati la cui normativa nazionale non contemplava ancora la riapertura dei processi[16].

Se ne ricava dunque che, per quanto sia in ambito penale che simili istanze siano avvertite con maggiore pregnanza, in ambito europeo non si esclude un riconoscimento del rimedio in forma specifica anche rispetto ai processi civili e amministrativi[17]. D’altronde, attesa la rilevanza della CEDU nella gerarchia delle fonti giuridiche, illogico sarebbe applicare le norme sull’equo processo, dalla stessa previste all’interno dell’art. 6, soltanto al processo penale. Detto articolo, infatti, deve ritenersi applicabile anche in ambito civile e amministrativo.[18].

  1. Il responso della Consulta e l’adeguamento alla giurisprudenza europea.

Dalla più recente giurisprudenza[19] è possibile intuire come immutato sia l’orientamento della Corte di Strasburgo. Difatti, con tale pronuncia, la Corte ha ribadito la sostanziale differenza tra processo penale e processo civile e, rispetto a quest’ultimo, ha posto in rilievo la tutela dei terzi sottolineando altresì la differente posizione del terzo rispetto a quella delle vittime dei reati nei procedimenti penali. Il rigetto della questione di legittimità costituzionale da parte della Consulta è allora diretta conseguenza dell’adeguamento alla linea interpretativa della Corte Edu, relativamente all’art. 46, par. 1, CEDU, e all’obbligo di riapertura dei processi civili e amministrativi. Non sussistendo violazione del suddetto art. 46, non sussiste violazione, in relazione al parametro interposto, dell’art.117, co. 1, Cost.

Tutto ciò considerato, pur non ritenendo condivisibile l’esito a cui è giunta la Corte Costituzionale, si conviene, tuttavia, sulla necessità dalla stessa palesata, di un intervento legislativo.

Invero, appurato che lo Stato dispone sempre di un organo cui compete la garanzia dell’adempimento dell’obbligo di esecuzione, non è ancora chiaro a chi spetti detto compito.

Al riguardo, la stessa Consulta ha ritenuto competente il legislatore attesa la ponderazione tra interessi contrapposti da operare in caso di riapertura del processo con conseguente travolgimento del giudicato, e ciò non solo per i procedimenti penali.

Detta Corte però già in passato[20] aveva invitato il legislatore a introdurre un meccanismo che consentisse la riapertura del processo penale ritenuto non equo in sede europea, nonché una modalità di adeguamento delle sentenze penali alle pronunce definitive rese dallo Corte di Strasburgo.

Ciò nonostante, in assenza di un organo legislativo che colmasse la lacuna descritta, la Consulta ha aggiunto un’ulteriore ipotesi di revisione del processo penale. A ciò si aggiunga che il giudice delle leggi nella più recente giurisprudenza sul punto[21] ha soffermato la propria attenzione sulla tutela dei soggetti diversi dallo Stato che partecipano al giudizio interno ma non a quello dinanzi alla Corte europea, esigendo che la riapertura del processo non penale segua l’operata ponderazione tra il diritto di azione degli interessati e quello di difesa dei terzi, operazione che compete anzitutto al legislatore[22]. Peraltro, sempre a parere della Corte in parola, coinvolgere i terzi nel processo convenzionale[23] faciliterebbe l’introduzione di rimedi revocatori da parte del legislatore. Ciò detto, la questione dovrebbe essere rimessa all’organo legislativo, e sino ad allora improbabile appare un intervento della Corte Costituzionale sulle norme censurate.


[1] V. C. Cost., 7 marzo 2017, n. 123.

[2] V. C. Edu, Bochan c. Ucraina (n. 2), 5 febbraio 2015.

[3] V. C. Cost., 24 ottobre 2007, n. 348 e C. Cost., 26 marzo 2015, n. 49.

[4] Cfr., di recente, anche C. cost., 18 gennaio 2018, n. 6.

[5] Cfr. C. Cost. 7 marzo 2017, n. 123, cit.

[6] Cfr. C. Cost. 7 marzo 2017, n. 123, cit. § 12.

[7] Cfr. C. Cost. 7 marzo 2017, n. 123, cit. § 15.

[8] Cfr. C. Cost. 7 marzo 2017, n. 123, cit. § 13.

[9] Come si evince dal testo della sentenza: «se è vero che non è irrilevante l’interesse statale ad una disciplina che eviti indennizzi a volte onerosi, per lesioni anche altrimenti riparabili, non si può sottacere che l’invito della Corte EDU [di riapertura del processo] potrebbe essere più facilmente recepito in presenza di un adeguato coinvolgimento dei terzi nel processo convenzionale» (§ 17, 2° cpv.).

[10] V. C. Cost. 7 marzo 2017, n. 123, § 11.

[11] Si rileva che, la Corte di Strasburgo potrebbe intervenire per l’esecuzione delle sentenze soltanto in virtù dell’art. 41 CEDU, ai sensi del quale “se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa”.

[12] V. C. Cost. 8 giugno 2006, n. 75529/01, Surmeli c. Germania, § 137. Nello stesso senso Corte EDU, sentenze del 4 giugno 2002, n. 32106/96, Komanicky c. Slovacchia; del 3 marzo 2000, n. 35376/97, Krcmar e a. c. Repubblica Ceca.

[13] Si veda in tal senso, per tutte, Corte europea, sentenza del 31 ottobre 1995, n. 14556/89, Papamichalopoulos

e a. c. Grecia, § 34. In argomento G. COHEN JONATHAN, La Convention européenne des droits de l’homme et les systems nationaux des Etats contractans, in AA.VV., Mélanges en l’honneur de Nicolas Valticos. Droit et justice, Paris, 1999, p. 385 ss.; F. BILANCIA, I diritti fondamentali come conquiste sovrastatali di civiltà, Torino, 2002, spec. p. 93 ss.; P. PIRRONE, Il caso Papamichalopoulos dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo: restitutio in integrum ed equa soddisfazione, in Riv. dir. int., 1997, p. 151 ss.; F. POCAR, Epuisement des recours internes et réparation en nature ou par équivalent, in AA.VV., Le droit international a l’heure de sa codification. Etudes en l’honneur de Roberto Ago, Milano, 1987, p. 291 ss.

[14] V. C. Cost. 7 marzo 2017, n. 123, § 15.

[15] V. C. Cost. 7 marzo 2017, n. 123, § 12.

[16] V. R. CONTI, L’esecuzione delle sentenze della Corte edu, p. 338.

[17] V. A. CARBONE, Rapporti tra ordinamenti e rilevanza della CEDU nel diritto amministrativo (a margine del problema dell’intangibilità del giudicato, in Dir. proc. amm., 2016, p. 456 ss.

[18] Cfr. anche G. GRECO, La convenzione europea dei diritti dell’uomo e il diritto amministrativo in Italia, in Riv. it. dir. pubb. com., 2000, p. 25 ss.

[19] V. Grande camera, 11 luglio 2017, Moreira Ferreira contro Portogallo (n. 2).

[20] V. C. Cost. 4 aprile 2011, n. 113.

[21] In sede di primi commenti alla sentenza, non è mancato chi ha prospettato che sebbene la Corte abbia evitato di introdurre un nuovo caso di revocazione della sentenza passata in giudicato per contrasto con una pronuncia della Corte europea, la decisione potrebbe essere soltanto rinviata: così F. FRANCARIO, La violazione del principio del giusto processo, p. 21.

[22] V. C. Cost., 7 marzo 2017, n. 123, § 17. Tale esigenza è stata sostenuta anche dalla dottrina. Si vedano, in tal senso, R. CAPONI, Corti europee e giudicati nazionali, in http://www.personaedanno.it/cms/data/articoli/files/015606_resource1_orig.pdf, 2009; U. COREA, Il giudicato come limite alle sentenze della Corte costituzionale e delle Corti europee, in Judicium.it, 2017, fasc. 1, p. 37 ss. In senso contrario, A. CARBONE, Rapporti tra ordinamenti e rilevanza della CEDU nel diritto amministrativo, cit. supra, nota 24, p. 531; C. DI SERI, Primauté del diritto comunitario e principio della res iudicata nazionale: un difficile equilibrio, in Giur.it., 2009, p. 2835 ss.; F. FRANCARIO, La violazione del principio del giusto processo, cit. supra, nota 1, p. 16; V. SCIARABBA, Il giudicato e la Cedu, Padova, 2013, p. 89.

[23] V. C. Cost. 7 marzo 2017, n. 123, § 17.

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