L’epidemia di Covid-19 (comunemente denominato Coronavirus) sta suscitando parecchi interrogativi su molte tematiche.
Per ciò che interessa in questa sede, ci si chiede se la pubblicazione dei dati personali di un soggetto contagiato da Covid-19 rientri nel diritto di cronaca o se, viceversa, tale condotta sia violativa del diritto alla riservatezza.
Indice
1. Il quadro normativo: diritto di riservatezza e diritto di cronaca
2. Il principio di essenzialità e l’orientamento della Cassazione
3. La diffusione dei nomi dei contagiati da Coronavirus
Il quadro normativo: diritto di riservatezza e diritto di cronaca
Il diritto alla riservatezza trova il suo fondamento, come noto, nel D.lgs 196/2003 ( e successive modificazioni) e nel Regolamento UE 679/2016.
In particolare, il regolamento comunitario prevede all’art. 85 che “gli Stati membri, al fine di conciliare la protezione dei dati personali con il diritto alla libertà d’espressione e di informazione, possono prevedere delle deroghe al trattamento dei dati personali per scopi giornalistici o di espressione accademica, artistica o letteraria”.
Inoltre, risulta di notevole importanza l’art. 9 del medesimo regolamento, il quale statuisce il divieto del trattamento dei dati personali relativi alla salute di un soggetto a meno che il trattamento non sia necessario “per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici, sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato, in particolare il segreto professionale” (art. 9,par. 2, lett. i).
In sostanza, le suindicate disposizioni prescrivono delle deroghe al diritto di riservatezza dell’interessato, disponendo che esse possono essere stabilite per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica oppure dagli Stati membri per scopi giornalistici, accademici, artistici o letterari.
E’ dunque legittima la condotta del giornalista che pubblica le generalità di un contagiato da Covid-19?
2. Il principio di essenzialità e l’orientamento della Cassazione
L’esercizio dell’attività giornalistica gode di un regime particolare nel trattamento dei dati personali, e dunque, in linea di massima, è legittimata a raccogliere e divulgare i dati personali di un soggetto anche in difetto del preventivo consenso di quest’ultimo.
La pubblicazione dei dati personali, tuttavia, è soggetta ad alcuni limiti anche in ambito giornalistico: nello specifico, l’attività giornalistica deve esplicarsi nel rispetto del c.d. principio di essenzialità ex art. 6, All.1, del T.U. dei doveri del giornalista, il quale sancisce che “la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l´informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell´originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonchè della qualificazione dei protagonisti”.
La pubblicazione dei dati, pertanto, oltre che connotata da un rilevante interesse pubblico, deve rivelarsi “essenziale” per l’originale del fatto o per la sua descrizione.
Sulla stessa linea di pensiero anche la Cassazione, la quale, nella nota sentenza n. 6041/2008, ha statuito che vi è legittimo esercizio del diritto di cronaca soltanto quando vengano rispettate le seguenti condizioni:
- la verità (oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) delle notizie; verità che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato;
- la continenza e cioè il rispetto dei requisiti minimi di forma che debbono caratterizzare la cronaca ed anche la critica;
- la sussistenza di un interesse pubblico all’informazione.
Pertanto, alla luce delle predette disposizioni nonché dell’orientamento della giurisprudenza, dovrebbe argomentarsi che l’interesse pubblico assurge a “conditio sine qua non”: dunque, in presenza di tale requisito dovrebbe sempre concludersi per la legittimità della pubblicazione delle generalità di un contagiato, anche senza il suo preventivo consenso.
Accogliere tale tesi sarebbe, tuttavia, a parere di chi scrive, alquanto semplicistico e riduttivo.
3. La diffusione dei nomi dei contagiati da Coronavirus.
Innanzitutto, le riflessioni anzidette devono necessariamente coordinarsi con l’art. 10, All.1, del T.U. dei doveri del giornalista, volto al rispetto della tutela della dignità delle persone malate, il quale prescrive che “il giornalista, nel far riferimento allo stato di salute di una determinata persona, identificata o identificabile, ne rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza e al decoro personale, specie nei casi di malattie gravi o terminali, e si astiene dal pubblicare dati analitici di interesse strettamente clinico”.
Ebbene, alla luce di tale disposizione, non può certamente asserirsi che la diffusione delle generalità di un contagiato da Covid-19 sia rispettosa del diritto alla riservatezza di quest’ultimo.
Difatti, pare questa la linea seguita a livello istituzionale anche in raffronto a precedenti eventi pandemici: basti pensare, a titolo di esempio, alla dura presa di posizione del Garante per la privacy nel 2005, in riferimento alla diffusione dei dati personali, ad opera di diversi mezzi di informazione, di un soggetto sospettato di aver contratto il morbo Creutzfeldt-Jakob, meglio conosciuto come il c.d. “morbo della mucca pazza”.
In quell’occasione, invero, il Garante ha disposto il “divieto di ulteriore diffusione, anche tramite siti web, delle generalità e degli altri dati idonei ad identificare l’interessato”.
Non vi sono dunque, ad oggi, nonostante l’ingente epidemia di Covid-19 che ha colpito il nostro Paese, ulteriori e nuovi elementi per poter ipotizzare una deroga al divieto di diffusione della generalità di un contagiato.
Tuttavia, lo stesso Garante per la privacy ha recentemente affermato che “l’emergenza legata all’epidemia comprime alcune libertà” e che dunque “in casi così il diritto alla privacy subisce delle limitazioni”.
In conclusione, può concludersi che seppur l’esigenza di tutelare il diritto alla salute possa in qualche modo incidere sulla compressione di determinate libertà, è impensabile, in uno Stato di diritto come il nostro, l’attuazione di sistemi di totale eliminazione della riservatezza sul modello della Corea del Sud o della Cina.
Anche l’eventuale compressione di tali libertà, dunque, deve attuarsi in misura proporzionale, necessaria ed adeguata con il rispetto di dei principi e valori propri di una società democratica.
Pertanto, fermo restando l’assetto normativo sin qui delineato, la questione pare tutt’altro che sopita e non è quindi escluso che il rapido evolversi della situazione epidemiologica possa portare ad ulteriori sviluppi in merito.