Tra i diritti di proprietà intellettuale, il copyright è quello che garantisce la protezione maggiore nel tempo: è infatti considerata suscettibile di tutela qualsiasi opera dell’ingegno di carattere creativo che appartiene alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione, così come stabilito dall’art. 1 della legge sul diritto d’autore (l. n. 633 del 1941). Sono comprese, nella disciplina, all’art. 2, n. 4, le opere della scultura.
Il diritto d’autore garantisce protezione dell’opera per una durata di settant’anni dopo la morte dell’individuo che ha creato la stessa, senza bisogno di registrazione alcuna[1]. Una tale protezione si esplica in diverse forme, di cui possono ravvisarsi due categorie: i diritti “morali” e i diritti “patrimoniali”, e possono essere ceduti solo i secondi.
In particolare, i diritti morali non sono suscettibili di cessione, né di qualsivoglia azione che abbia lo scopo di disfarsene; sono diritti, cioè, inalienabili, imprescrittibili e irrinunciabili. Essi nascono con l’estrinsecazione dell’opera in un lavoro “fisico” e rimangono in capo all’autore; anche quando i diritti patrimoniali sono stati ceduti a terzi, essi possono essere rivendicati dall’autore dell’opera, e in quanto illimitati nel tempo possono essere rivendicati, in caso di morte dell’autore, anche dal coniuge, dai discendenti e dagli ascendenti[2].
All’art. 6 l.d.a. viene definito il diritto di paternità; si legge infatti che “il titolo originario dell’acquisto del diritto di autore è costituito dalla creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale”. Il diritto di inedito, ossia di pubblicare l’opera, è poi disciplinato all’art. 24 l.d.a., per cui l’autore ha facoltà di decidere se pubblicare l’opera, e di contro, se non pubblicarla mai, lasciandola (appunto) inedita, o di opporsi alla prima pubblicazione; tale diritto si esaurisce con la pubblicazione. L’autore ha poi diritto ad “opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione, ed a ogni atto a danno della stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione” (art. 20 l.d.a.) e ha diritto esclusivo di introdurre nell’opera qualsiasi modificazione (art. 18 l.d.a.).
Dalla disciplina appena descritta risulta quindi che qualsiasi alterazione di un’opera originale costituisce plagio, da cui consegue che l’opera “secondaria” deve essere ritirata dal commercio e non deve essere disponibile per il pubblico quale opera originale. È, tuttavia, legittimo l’utilizzo di opere originali come ispirazione per opere secondarie, ma tale ispirazione deve avere carattere di rivisitazione, in cui è evidente il contributo artistico dell’autore secondario. In altre parole, l’utilizzo è legittimo laddove vi siano i presupposti anche nel caso della creazione secondaria per la concessione della protezione del diritto d’autore.
Il giudice di merito si è spesso trovato a dover valutare le caratteristiche di originalità e creatività di opere artistiche: ha dovuto, cioè, individuare i tratti distintivi di opere oggetto di controversia e affermare o negare l’esistenza di plagio[3].
La controversia
La controversia (Fondazione Alberto e Annette Giacometti c. Fondazione Prada, Prada Spa e John Baldessari) iniziata nel 2009 riguardava l’utilizzo di alcune statue d’autore, protette da copyright, dell’autore Giacometti, statue che erano state utilizzate dal famoso artista Baldessari nella loro forma originaria al fine di essere esibite alla Fondazione Prada a Milano. Questi aveva operato quale unica modificazione all’opera di Giacometti l’aggiunta di parti di tessuto a guisa di abiti di alta moda sulle statue stesse. L’esibizione aveva poi preso il nome di “Giacometti’s variations”.
La Fondazione Giacometti, ravvisando in tali opere l’esistenza di plagio, aveva intentato un’azione contro la Fondazione Prada, richiedendo anche un provvedimento cautelare nei confronti delle opere di Baldessari. La parte resistente, tuttavia, sottolineava che non vi fosse riproduzione o ispirazione illegittima alle opere di Giacometti; le statue di Baldessari, invece, avrebbero riprodotto semplici “forme allungate di statue” volte a condannare la cultura dei disturbi alimentari nel mondo della moda (mentre nell’opera di Giacometti il messaggio trasposto era invece una condanna alle atrocità della guerra).
Non sarebbe, quindi, secondo la parte resistente, configurabile il plagio, essendo invece l’opera frutto della c.d. arte appropriativa, che si concreta nel realizzare opere artistiche che reinterpretano “immagini preesistenti tratte dell’arte e dalla cultura di massa, cambiandone totalmente il significato”. Peraltro, le parti avevano addotto diverse pronunce giurisprudenziali sia italiane che statunitensi, riguardo al diritto di appropriazione di un’opera altrui.
La valutazione da farsi nel caso di specie era quindi se nell’opera di Baldessari si dovesse individuare un intento di rivisitazione dell’opera di Giacometti (per rendere omaggio ad un’artista o alla sua corrente artistica), legittimo, o se, di contro, l’intento era quello di rielaborazione (anche a fini parodistici[4]), che realizza invece plagio dell’opera originale ex art 18 l.d.a.
La decisione del Tribunale di Milano, 13/07/2011
La corte competente ha valutato nel caso di specie l’inesistenza di plagio. Snodo cruciale per la decisione è stato il cambiamento di messaggio dell’opera, valevole a modificare l’intento artistico dell’opera, conferendo all’opera secondaria (di Baldessari) carattere originale e per questo non suscettibile di plagiare alcuna opera preesistente.
L’opera di Baldessari, infatti, è stata considerata opera autonoma, tanto che la Corte non ha nemmeno ravvisato l’esistenza dei necessari requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, per cui la fondazione Prada avrebbe dovuto cautelarmente ritirare le opere dalla sua esposizione.
La decisione riveste un importante tassello nella giurisprudenza in materia. Infatti, l’utilizzo di opere protette è pratica diffusa, che ingenera non poche controversie, ma i criteri al fine di stabilire quando un’opera è frutto di plagio sono tutt’altro che puntuali. Stabilire quale sia il limen tra plagio e ispirazione non è sempre agevole, e alle corti è richiesto di valutare caso per caso quali siano le caratteristiche che fanno di una creazione artistica un’opera originale.
[1] La registrazione si rende invece necessaria per usufruire della tutela di altri diritti di proprietà industriale, quali marchi o disegni.
[2] I diritti morali, siae.it, https://www.siae.it/it/diritto-dautore/diritti-morali/i-diritti-morali-0
[3] Il plagio si esplica in diversi modi: esso può essere mera riproduzione di un’opera, ma può anche essere individuato nella “eccessiva ripresa” dei caratteri distintivi di opere esistenti che vanno oltre la mera ispirazione, e possono condurre addirittura alla confusione con l’autore originario (lo spettatore, cioè, è convinto di osservare un dipinto di un artista, ma esso è in realtà stato creato da altri).
[4] Per approfondimenti v. BOGGIO L., Estensione del diritto d’autore – l’opera parodistica tra proprietà intellettuale e diritti della personalità, in Giur. It., 2015, 5, 1137.