Convivenza di fatto e ANF: la Corte Costituzionale dice no all’estensione del divieto

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 120 del 2025, depositata il 22 luglio (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’art. 2 del d.P.R. 797/1955, nella parte in cui esclude dagli assegni familiari solo il coniuge del datore di lavoro, e non anche il convivente more uxorio. Rigettando la proposta di estendere il divieto, la Corte ribadisce che la differenza tra matrimonio e convivenza ha ancora rilievo normativo e sistematico, soprattutto in ambito previdenziale. Per un approfondimento su questi temi, ti consigliamo il volume “I nuovi procedimenti di famiglia”, acquistabile cliccando su Shop Maggioli o su Amazon.

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Ida Grimaldi,
Avvocato cassazionista, esperta in materia di diritto di famiglia e tutela dei minori, lavoro e discriminazioni di genere. È docente e relatrice in numerosi convegni nazionali, dibattiti e corsi di formazione. Autrice e curatrice di diverse opere in materia di diritto di famiglia e minorile, lavoro e pari opportunità, scrive per numerose riviste giuridiche ed è componente del Comitato Scientifico della rivista “La Previdenza Forense”, quadrimestrale della Cassa di Assistenza e Previdenza Forense.

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La questione sollevata dalla Corte d’appello di Venezia

La vicenda trae origine da un ricorso in opposizione proposto dal titolare di un’impresa individuale contro un avviso di addebito emesso dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) in relazione alla contribuzione dovuta per il periodo aprile 2010-dicembre 2016 ed oggetto di «conguaglio» (ritenuto indebito) con gli assegni per il nucleo familiare. Tali assegni erano stati riconosciuti in relazione alla posizione di una lavoratrice subordinata, sua convivente more uxorio, risultando a carico i figli nati dalla relazione.

L’INPS aveva contestato i conguagli e chiesto il rimborso delle somme. Nel giudizio di appello, la Corte d’appello di Venezia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del d.P.R. 797/1955 per contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione. Secondo il giudice rimettente, la norma sarebbe irragionevolmente limitata, poiché non include tra le cause ostative all’ANF (assegno per il nucleo familiare) la convivenza more uxorio col datore di lavoro, vanificando così la ratio antielusiva della disposizione.

Il perimetro normativo e la posizione delle parti

L’art. 2 del d.P.R. 797/1955, norma di raccordo tuttora vigente per l’assegno per il nucleo familiare, esclude dal beneficio il coniuge e i parenti del datore di lavoro conviventi con lui. Secondo l’INPS, la norma potrebbe essere letta in chiave estensiva, ricomprendendo anche il convivente more uxorio, alla luce della ratio di evitare che l’assegno si traduca in autofinanziamento per il datore. L’Avvocatura dello Stato, invece, ha chiesto il rigetto, ritenendo che l’estensione della causa ostativa debba spettare al legislatore e non possa essere oggetto di manipolazione costituzionale.

La decisione della Corte: no alla manipolazione in malam partem

La Corte ha respinto entrambe le censure, sottolineando che l’ANF (assegno per il nucleo familiare) è una prestazione legata al reddito e alla composizione del nucleo familiare, il quale – per legge – non include il convivente more uxorio, salvo che sia stato stipulato un contratto di convivenza ex lege n. 76/2016. Proprio questa impostazione giustifica, per simmetria, anche la mancata inclusione della convivenza tra le situazioni ostative: non si può perdere un beneficio in base a una condizione che, per norma, non dà accesso al beneficio stesso. In tal senso, la Corte ha ritenuto che un’estensione in malam partem – come quella invocata dal rimettente – violerebbe la coerenza interna del sistema.

Il ruolo della convivenza di fatto nel diritto previdenziale

La Corte ha ricordato che il convivente di fatto non è equiparabile al coniuge sul piano previdenziale, se non nei casi tassativamente previsti. È vero che la legge n. 76/2016 (c.d. Legge Cirinnà) riconosce alcune tutele, ma queste sono subordinate alla stipulazione di un contratto di convivenza che disciplini i reciproci rapporti patrimoniali. In assenza di questo, manca la certezza giuridica necessaria per riconoscere – o negare – una prestazione come l’ANF (assegno per il nucleo familiare). Laddove il legislatore abbia voluto, ha previsto l’equiparazione; altrimenti, l’assenza di regolazione si traduce in irrilevanza giuridica.

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Una sentenza che protegge la coerenza normativa

Sul piano sistematico, la sentenza 120/2025 rafforza l’idea che la giurisprudenza costituzionale non può spingersi a ridefinire, per via additiva o manipolativa, ambiti che rimangono riservati al legislatore, salvo violazioni manifeste e gravi di diritti fondamentali. La Corte sceglie qui una via di rigore, mantenendo ferma la distinzione tra matrimonio e convivenza nelle prestazioni assistenziali. In questo modo evita che la convivenza di fatto venga considerata solo nei casi sfavorevoli, e mai in quelli favorevoli, salvaguardando la simmetria del sistema.

Più in profondità, la pronuncia segnala che la convivenza, per assumere rilevanza ai fini della protezione sociale, deve essere formalizzata: una scelta, questa, che ricade nella sfera dell’autonomia privata, e che comporta – o meno – effetti giuridici. La Corte richiama il legislatore a una riflessione sistematica sull’inclusione della convivenza nei meccanismi di protezione sociale, ma nel rispetto dei principi di coerenza e certezza del diritto. Una sentenza che riafferma la prudenza, senza rinunciare alla visione costituzionale.

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