Diritto alla conversione Lire Euro: il recente intervento del Tribunale Roma

in Giuricivile, 2018, 10 (ISSN 2532-201X), nota a Trib. Roma, ord. 27.9.2018, R.G. n. 13561/2018

La questione giuridica in esame trae origine da una controversia, decisa in una recentissima pronuncia del Tribunale di Roma, (Trib. Roma, ord. 27.9.2018, R.G. n. 13561/2018), nella quale una signora pensionata, ultraottantenne, analfabeta e agricoltore diretto aveva proposto ricorso ex art. 702-bis c.p.c. nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze per la condanna dell’Erario alla conversione in euro di una consistente somma di lire in suo possesso.

Costei aveva accumulato i risparmi di una vita nella somma di £ 71.000.000, tenendoli costantemente nascoste in casa e non provvedendo mai alla conversione in valuta corrente. Cessato il corso legale della lira a seguito dell’introduzione dell’euro[1], aveva confidato nella previsione di legge[2] che fissava il termine ultimo per la conversione delle lire al 28.2.2012[3].

Data la complessa situazione dell’economia italiana e della stabilità dei conti pubblici nell’autunno del 2011, inopinatamente, il legislatore era poi intervenuto, stabilendo con l’art. 26 d.l. 6.12.2011, n. 201[4], convertito con modificazioni nella legge 22.12.2011, n. 214, la prescrizione immediata[5] di tutte le banconote, i biglietti e le monete in lire ancora in circolazione, con riassegnazione del relativo controvalore al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.

Colta di sorpresa dalla modifica normativa, con l’aiuto di un’amica che l’assisteva nella scrittura, la signora aveva inviato al Presidente della Repubblica una lettera[6], dolendosi dell’ingiustizia della nuova disposizione e chiedendo la conversione in euro della somma posseduta. Il Segretario Generale e il Consigliere Capo Servizio della Presidenza della Repubblica, nel marzo 2012, le comunicarono l’impossibilità di accogliere le sue richieste, necessitando in tal senso di un’apposita previsione legislativa che annullasse gli effetti della prescrizione anticipata, disposta con la manovra finanziaria per il 2012.

Intervenne poi la Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 216 del 7.10.2015, dichiarò costituzionalmente illegittima la norma controversa, in quanto in contrasto con i principi di tutela dell’affidamento e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost..

Sulla scorta di tale pronuncia, la signora aveva allora convenuto il Ministero dell’economia e delle finanze per vederlo condannare alla conversione di £ 71.000.000 e al pagamento in euro, previa riconsegna delle banconote, della somma di € 36.668,41.

Il riparto di giurisdizione in materia di moneta e debito pubblico e la posizione della difesa erariale.

Anzitutto, pare necessario inquadrare la vicenda nella materia dei rapporti di credito aventi ad oggetto la valuta corrente nel territorio di uno Stato.

La valuta, infatti, è emessa di regola dalla Banca centrale dello Stato, viene fatta circolare tra le famiglie e le imprese che compongono la società civile e rappresenta un documento che, dietro presentazione ad un istituto di credito, dà diritto a ricevere un valore corrispondente, solitamente in oro o in preziosi. Dunque, in un certo senso, la valuta corrente in uno Stato non incorpora un valore, ma lo rappresenta quale credito che dà diritto ad una prestazione. Sembra perciò opportuno chiedersi se tali rapporti possano, con riguardo alla lira italiana, essere ricondotti ad obbligazioni civilistiche lato sensu tra cittadini-creditori e Stato-debitore, ovvero esorbitino del tutto dall’inquadramento nel genus dell’obbligazione e vertano piuttosto su rapporti di debito pubblico.

In effetti, nel recente giudizio dinanzi al Tribunale di Roma, la difesa erariale aveva eccepito anzitutto il difetto della giurisdizione ordinaria, sostenendo che la causa, in quanto relativa alla materia del debito pubblico, dovesse considerarsi attribuita alla cognizione del giudice amministrativo. Ciò ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. v) c.p.a.[7], secondo cui rientrano nella giurisdizione amministrativa (esclusiva) “le controversie tra lo Stato e i suoi creditori riguardanti l’interpretazione dei contratti aventi per oggetto i titoli di Stato o le leggi relative ad essi o comunque sul debito pubblico.

Sul punto, va evidenziato che l’art. 2001, secondo comma, c.c., sancisce che “i titoli del debito pubblico, i biglietti di banca e gli altri titoli equivalenti sono regolati da leggi speciali”, con ciò distinguendo nettamente fra tali categorie di titoli: i titoli del debito pubblico, da una parte; i biglietti di banca ed altri titoli equivalenti, dall’altra.

Ebbene, di regola si definisce biglietto di banca o banconota quel buono[8], emesso da una banca a ciò autorizzata, a fronte del quale l’istituzione finanziaria si obbliga a pagare “a vista e al portatore”[9] il corrispettivo valore[10]. Sicché, la banconota rappresenta un buono, corrispondente ad un determinato valore, che, ove presentato ad una banca, obbliga quest’ultima alla conversione del buono in valore, ossia in metallo prezioso. Ciò significa che la banconota è una valuta corrente, utilizzata come denaro dallo Stato, che incorpora un certo valore in argento o in oro ma non lo contiene, giungendo ad assomigliare ad un titolo di credito[11].

Infatti, le monete metalliche, che un tempo contenevano una certa percentuale d’oro o d’argento, non costituivano soltanto un’unità di misura, ma un vero e proprio “fondo di valore”, poiché possedevano una riserva di valore insito[12]. La moneta si definiva, poi, a corso legale quando lo Stato ne imponeva l’utilizzo e, dunque, l’accettazione. Di conseguenza, le banche di emissione, per fronteggiare le richieste di conversione derivanti dalla circolazione e dall’utilizzo della banconota legale, erano solite detenere a disposizione un’adeguata riserva in monete auree, metallo in verghe o lingotti ovvero divise estere.

Al contrario la banconota e, insieme con essa, la moneta ”ferrosa”[13] o legale rappresentano ”misure di valore”, ossia semplici unità di conto convenzionali atte ad esprimere un valore. Di solito, in tal caso la legge interviene ad impedire la libertà di conversione della valuta in oro ed essa, oltre ad essere a corso legale, sarà perciò definita anche inconvertibile o a corso forzoso[14].

Premessi tali cenni sulla funzione della moneta legale, essa va distinta dal diverso concetto di debito pubblico. In particolare, il d.P.R. 30.12.2003, n. 398[15], all’art. 2, comma 1, lett. g) ed h), definisce il debito pubblico interno “prodotti e strumenti finanziari a breve, medio e lungo termine emessi in Euro” e il debito pubblico estero “titoli e prodotti finanziari emessi in valuta e quelli emessi secondo le medesime modalità procedurali”. Inoltre, il legislatore precisa che per titoli si devono intendere i “documenti, certificati o scritture, anche nelle forme di iscrizioni contabili rappresentativi di diritti su strumenti finanziari” (art. 2, comma 1, lett. n)) e per prodotti finanziari le “obbligazioni e titoli non negoziabili” (art. 2, comma 1, lett. o)).

Il debito pubblico, dunque, è costituito di titoli emessi nel tempo dallo Stato al precipuo scopo di reperire risorse per il fabbisogno finanziario della pubblica amministrazione[16]. Devono quindi inevitabilmente escludersi dal concetto di debito pubblico i biglietti di banca, che non sono finalizzati al reperimento di risorse per il soggetto che li emette, bensì all‘utilizzo per convenzione, legale e forzoso, tra tutti i componenti della società civile, nel commercio e nella vita quotidiana. Peraltro, proprio il carattere forzoso della valuta corrente manca al titolo di debito pubblico, che può essere sottoscritto sulla base della fiducia di cui gode lo Stato e, comunque, facoltativamente.

Per tutti questi motivi, il Tribunale di Roma[17] ha precisato i confini tra i plessi giurisdizionali, confermando la sussistenza della giurisdizione ordinaria in materia di moneta corrente, posto che la controversia, attinente al diritto alla conversione di valuta fuori corso, non riguarda la materia del debito pubblico di cui all’art. 133, comma 1, lett. v) c.p.a..

L’individuazione del debitore e la legittimazione della Banca d’Italia

Per quanto concerne il lato passivo dell’obbligazione e all’individuazione del soggetto debitore, l’Erario ha sempre sostenuto, nel corso del giudizio in esame, che unico soggetto passivamente legittimato fosse la Banca d’Italia, in quanto competente per le operazioni di conversione lira-euro ai sensi dell’art. 3, comma 1-bis, l. n. 96/1997.

Inoltre, pur riconoscendo gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 216 del 7.10.2015, che ha condotto alla reviviscenza del termine prescrizionale originario del 28.2.2012, la difesa erariale ha sostenuto che quest’ultimo non fosse stato tempestivamente e validamente interrotto, in quanto la nota indirizzata alla Presidenza della Repubblica, anziché alla Banca d’Italia, era rivolta ad un soggetto estraneo al contendere e non avrebbe potuto assumere alcun valore di richiesta di pagamento.

Quanto al difetto di legittimazione passiva, il Tribunale di Roma ha respinto l’eccezione “sul rilievo che la Banca d’Italia è un soggetto meramente preposto all’esecuzione dell’operazione di cambio delle banconote, mentre il rapporto dedotto in giudizio è costituito nei confronti dello Stato italiano, rappresentato dal Ministero dell’economia e finanze[18].

Vero è, secondo la ricostruzione del Giudice, che la Banca d’Italia è tenuta a svolgere diversi controlli e attività, quali la verifica dell’autenticità di ciascuna banconota, della loro appartenenza ai tagli più recenti[19], i controlli antiriciclaggio ex d. lgs. 21.11.2007, n. 231[20], nonché la dimostrazione, previa idonea documentazione, della tempestività della richiesta di conversione dell’istante. Tuttavia, ritiene il Tribunale, è altrettanto agevole replicare che le verifiche e i controlli indicati dal MEF si iscrivano nei compiti esecutivi che la Banca d’Italia è tenuta ad effettuare nell’atto del compimento dell’operazione di conversione e quale soggetto delegato istituzionalmente di tali operazioni dallo Stato. La titolarità del debito, invece, appartiene allo Stato e le controversie sulla moneta hanno ad oggetto una fase anteriore alla presa in gestione della Banca d’Italia, cioè quella dell’accertamento del diritto di credito ad ottenere la conversione delle banconote in lire fuori corso legale.

A tal proposito, l’art. 3, comma 1, legge n. 96/1997[21], dispone che “le banconote ed i biglietti a debito dello Stato si prescrivono a favore dell’Erario decorsi dieci anni dalla data di cessazione del corso legale”. Il successivo comma 1-bis, aggiunto dall’art. 87, comma 1, legge n. 289/2002, prevede, con particolare riguardo alla cessazione delle lire quale valuta legale, che “le banconote in lire possono essere convertite in euro presso le filiali della Banca d’Italia non oltre il 28 febbraio 2012”. In effetti, il tenore letterale delle norme induce a ritenere che il debitore sia proprio l’Erario, poiché soggetto in favore del quale opera la prescrizione delle banconote, ancorché le operazioni siano svolte presso gli sportelli della Banca d’Italia.

La prescrizione del credito di conversione della moneta.

Quanto poi al merito del diritto alla conversione, come già osservato il comma 1-bis dell’art. 3 l. n. 96/1997, aggiunto dall’art. 87, comma 1, l. n. 289/2002, individuò quale termine prescrizionale di conversione in euro presso la Banca d’Italia la data del 28.2.2012. Ciò posto, occorre pertanto verificare quale effetto abbia avuto l’intervento normativo del 2011, poi caducato dalla Corte Costituzionale.

L’art. 26 d.l. n. 201/2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 214/2011, stabilì che “in deroga alle disposizioni di cui all’articolo 3, commi 1 e 1-bis, della legge 7 aprile 1997, n. 96, e all’articolo 52-ter, commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213[22], le banconote, i biglietti e le monete in lire ancora in circolazione si prescrivono a favore dell’Erario con decorrenza immediata e il relativo controvalore è versato all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato[23]. In questo modo, chi aveva legittimamente confidato nel termine decennale di prescrizione ancora in corso si era trovato, con la manovra finanziaria del 2011, depauperato del credito, senza termini di preavviso e con immediata estinzione del credito ope legis.

Come riconosciuto dal Tribunale di Roma, la norma fu poi dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza 7.10.2015, n. 216. Secondo il dettato della Corte, “la norma contrasta, in primo luogo, con gli artt. 3 e 97 Cost., sotto i profili della lesione dell’affidamento nella sicurezza giuridica, dell’irragionevolezza … perché avrebbe disposto, in via anticipata rispetto alla scadenza dell’originario termine di prescrizione … una vera e propria estinzione immediata del diritto di convertire in euro le banconote, i biglietti e le monete in lire ancora in circolazione. La norma contrasterebbe, in secondo luogo, con gli artt. 42, terzo comma, e 117, primo comma, Cost.[24].

Pronunciatasi favorevolmente al primo profilo e ritenuto assorbito il secondo, la sentenza della Corte, secondo il Tribunale di Roma “ripristinò in tal modo l’originaria prescrizione di banconote, biglietti a debito dello Stato e monete metalliche in lire stabilita al 28.2.2012[25]. Pertanto, secondo la ricostruzione del Giudice di Roma, la riviviscenza della normativa di cui alla legge n. 96/1997 ha comportato l’effetto riespansivo dell’originario termine prescrizionale del 28.2.2012. Tuttavia, posto che la sentenza è intervenuta soltanto nel 2015, ciò significava che avrebbero potuto convertire le lire in euro soltanto i creditori, particolarmente accorti, che avessero interrotto il termine prescrizionale tra la data di entrata in vigore della manovra del 2011 (6.12.2011) e quella dell’originaria prescrizione (28.2.2012)[26].

Da quanto sinora illustrato si può altresì desumere che il diritto alla conversione postulava la presentazione, fra il 6.12.2011 e il 28.2.2012, di una richiesta di pagamento rivolta allo Stato o al delegato istituzionalmente preposto, ossia la Banca d’Italia. Ciò significa che tale richiesta non doveva essere rivolta necessariamente alla Banca d’Italia, quale soggetto cui la legge attribuisce i compiti di emissione e conversione, ma anche allo stesso debitore. Tali operazioni, infatti, potevano avere luogo in base ad una qualunque intimazione a pagare, purché con caratteristiche di affidabilità e rivolta ad un soggetto legittimato a riceverla.

Dunque, non necessariamente al Ministero dell’economia e delle finanze, quale ente deputato al pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni, ma, come ritenuto dal Tribunale di Roma nella citata sentenza in esame, anche alla Presidenza della Repubblica, soggetto che ben può ritenersi rappresentante dello Stato. Posto infatti che la legittimazione e la titolarità del lato passivo dell’obbligazione spettano allo Stato e pur non avendo la pensionata ricorrente proposto alcuna istanza di conversione alla Banca d’Italia, la nota da lei inviata alla Presidenza della Repubblica nel gennaio 2012 poteva costituire un’idonea richiesta di pagamento al debitore, interruttiva dei termini prescrizionali del credito.

Restano tuttavia impregiudicati tutti i controlli e le verifiche demandati alla Banca d’Italia, fra cui il fondamentale riscontro che le banconote in possesso del creditore siano del tipo “convertibile” entro il 28.2.2012, ossia che appartengano ai tagli più recenti della lira, e non anche alle tipologie più risalenti e già fuori corso al momento dell’introduzione dell’euro.

Pertanto, in accoglimento del ricorso proposto, il Tribunale di Roma ha dichiarato l’esistenza del diritto alla conversione delle lire in euro ove il creditore abbia interrotto la prescrizione tra il 6.12.2011 e il 28.2.2012, ma ha altresì condizionato tale diritto al previo positivo riscontro di tutti i presupposti di politica monetaria ai quali la conversione stessa è subordinata.


[1] Dal 28.2.2002.

[2] Art. 3, comma 1, legge 7.4.1997, n. 96.

[3] Ossia nel termine di dieci anni dall’introduzione dell’euro quale unica valuta corrente, data entro la quale si sarebbero prescritti banconote e biglietti a debito dello Stato italiano, termine prescrizionale fissato dall’art. 3, comma 1, della legge 7.4.1997, n. 96.

[4] C.d. Manovra Monti.

[5] Ossia, dallo stesso 6.12.2011.

[6] Del 25.1.2012, dopo il termine di prescrizione immediata disposto con il d.l. n. 201/2011 ma prima dell’originario termine di prescrizione del 28.2.2012.

[7] D. Lgs. 2.7.2010, n. 104.

[8] Nascente, per un verso, dalla trasformazione delle fedi e delle ricevute di depositi rilasciate da banchieri e circolanti dapprima per girata fra i loro clienti; per un altro verso, dall’uso dei banchieri di offrire sul mercato le cambiali a loro firma, in cambio di quelle scontate, in attesa della loro scadenza. Tanto l’uno quanto l’altro modello comportano, dopo un determinato lasso temporale, l’emissione di buoni per somme fisse e rotonde. Si cessa di scrivere su di essi il nome del depositante o creditore e, al contempo, la banca rinunzia a qualsiasi compensazione con eventuali altri debiti del portatore dei medesimi, dandogli anzi un diritto di preferenza su tutti gli altri creditori. La figura del biglietto risulta così compiuta e perfetta (Enciclopedia Italiana, Treccani, 1930).

[9] P.P. Leroy-Beaulieu.

[10] Dizionario di economia e finanza, Treccani, 2012.

[11] Anche per questi motivi, il legislatore ha sentito la necessità di normare l’art. 2001 c.c..

[12] Sin da prima degli Accordi di Bretton Woods del 22 luglio 1944 sulla politica monetaria internazionale, in ragione dei materiali preziosi che le componevano ovvero, pur composte di semplice metallo, garantivano la convertibilità in oro del loro valore corrispettivo. Da ciò la distinzione tra ”moneta merce”, ormai abbandonata dopo il c.d. fallimento del sistema Bretton Woods, quando il Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon decretò la fine della convertibilità della moneta in oro, e ”moneta legale”, che invece esprime il concetto di unità di misura convenzionale ma può essere composta di qualsiasi materiale metallico, conferendo così ad essa un valore convenzionale meramente astratto dai materiali di cui è composta.

[13] Ossia quella moneta che non contiene metalli preziosi ma rappresenta unicamente un valore convenzionale.

[14] Si è così sostituito al sistema monetario a base aurea o argentea un sistema di circolazione di “carta moneta” disancorata dal metallo e da ogni altro materiale prezioso (Dizionario di economia e finanza, Treccani, 2012).

[15] Recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di debito pubblico”.

[16] Ossia la spesa pubblica, che esorbiti dalle entrate tributarie. Si tratta, come è noto, di prestiti concessi allo Stato e agli enti locali da sottoscrittori di titoli di debito pubblico, come istituti di credito, intermediari finanziari, imprese e famiglie, italiani e stranieri.

[17] Trib. Roma, ord. 27.9.2018, R.G. n. 13561/2018.

[18] Trib. Roma, ord. 27.9.2018, R.G. n. 13561/2018.

[19] I soli per i quali era consentita la conversione sino al 28.2.2012.

[20] Come da ultimo modificato dal d. lgs. 25.5.2017, n. 90.

[21] Recante “Norme in materia di circolazione monetaria”.

[22]  Norma relativa alla prescrizione delle monete metalliche, speculare a quella sulle banconote.

[23] A conferma della posizione erariale di debitore del rapporto controverso in esame.

[24]… in riferimento all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, in quanto realizzerebbe, di fatto, una sorta di espropriazione ai danni dei possessori delle banconote in lire, della quale beneficiano in prima battuta lo Stato, mediante il trasferimento del relativo controvalore al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, e in ultima analisi i possessori dei titoli del debito pubblico, che vedono così rafforzata la garanzia dei loro crediti (Corte Cost., 7.10.2015, n. 216).

[25] Trib. Roma, ord. 27.9.2018, R.G. n. 13561/2018.

[26] Così anche il comunicato stampa della Banca d’Italia, emesso all’indomani della pronuncia della Corte Cost., secondo il quale “… chi è in grado di documentare di aver richiesto di convertire lire tra il 6 dicembre 2011 e il 28 febbraio 2012, specificandone l’importo, potrà eseguire la conversione presso una qualsiasi delle Filiali della Banca d’Italia che svolgono il servizio di Tesoreria dello Stato … Gli interessati potranno recarsi allo sportello portando – oltre alle lire da convertire – idonea documentazione della richiesta fatta a suo tempo, in particolare: richieste scritte (cartacee con sottoscrizione, tramite PEC o semplici e-mail), ovvero dichiarazioni relative alla mancata effettuazione del cambio da parte di una Filiale della Banca d’Italia, purché sottoscritte da parte del personale dell’Istituto, con data non successiva al 28 febbraio 2012. La conversione potrà avvenire anche sulla base di una diversa documentazione, purché la stessa presenti analoghe caratteristiche di affidabilità, che saranno valutate caso per caso dalla Banca d’Italia”.

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