Con l’ordinanza n. 21706 del 26 ottobre 2015, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito che la conservazione del cognome dell’ex marito in seguito al divorzio è consentita solo in circostanze eccezionali valutate discrezionalmente dal giudice di merito.
Nel caso di specie, la Corte territoriale respingeva la domanda di una moglie che, in seguito al divorzio, chiedeva l’autorizzazione a conservare il cognome famoso del marito, al fine di facilitarle la frequentazione degli ambienti mondani, di rango sociale e censo elevati, nonchè di assicurarle notorietà e agevolazioni confacenti a quelle di una famiglia molto conosciuta nel ramo imprenditoriale. Avverso detta pronuncia di rigetto, la donna ricorreva in Cassazione.
La Suprema Corte ha, in primo luogo chiarito che la possibilità di conservare, con effetti di carattere giuridico-formali, il cognome del marito accanto al proprio, dopo il divorzio, è un’ipotesi consentita, ma si tratta di una decisione straordinaria affidata alla decisione discrezionale del giudice di merito “secondo criteri di valutazione propri di una clausola generale ma che non possono coincidere con il mero desiderio di conservare come tratto identitario il riferimento a una relazione familiare ormai chiusa quanto alla sua rilevanza giuridica”.
Peraltro, la Corte di legittimità ha evidenziato che non possa escludersi che l’uso del cognome possa costituire un pregiudizio per il coniuge che non vi acconsenta e che intenda ricreare, esercitando un diritto fondamentale a mente dell’art. 8 della C.E.D.U., un nuovo nucleo familiare che sia riconoscibile, come legame familiare attuale, anche nei rapporti sociali e in quelli rilevanti giuridicamente.
Alla luce di quanto affermato, la Corte di Cassazione ha dunque dimostrato di propendere per il rigetto del ricorso. Tuttavia, essendo intervenuto un accordo tra le parti con cui il marito avrebbe acconsentito all’uso del proprio cognome, le stesse rinunciavano al giudizio di cui, conseguentemente, veniva dichiarata l’estinzione.
(Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 26 ottobre 2015, n. 21706)