Congedo di paternità anche alla madre intenzionale: la Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 155 del 2025, depositata il 21 luglio (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis del d.lgs. 151/2001, nella parte in cui esclude dal congedo obbligatorio di paternità la lavoratrice madre intenzionale all’interno di una coppia di due donne riconosciute come genitori nei registri dello stato civile. Per un approfondimento su questi temi, ti consigliamo il volume “Il lavoro subordinato”, acquistabile cliccando su Shop Maggioli o su Amazon.

Il lavoro subordinato

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Vincenzo Ferrante
Università Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);
Mirko Altimari
Università Cattolica di Milano;
Silvia Bertocco
Università di Padova;
Laura Calafà
Università di Verona;
Matteo Corti
Università Cattolica di Milano;
Ombretta Dessì
Università di Cagliari;
Maria Giovanna Greco
Università di Parma;
Francesca Malzani
Università di Brescia;
Marco Novella
Università di Genova;
Fabio Pantano
Università di Parma;
Roberto Pettinelli
Università del Piemonte orientale;
Flavio Vincenzo Ponte
Università della Calabria;
Fabio Ravelli
Università di Brescia;
Nicolò Rossi
Avvocato in Novara;
Alessandra Sartori
Università degli studi di Milano;
Claudio Serra
Avvocato in Torino.

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Il contesto normativo e la questione sollevata

La questione di legittimità costituzionale nasce nel corso di un giudizio antidiscriminatorio promosso da Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI+ – contro l’INPS, a seguito dell’impossibilità tecnica di accesso al congedo obbligatorio di paternità da parte della madre intenzionale in una coppia omogenitoriale. La Corte d’appello di Brescia, investita della causa, ha sollevato dubbi di costituzionalità sull’art. 27-bis del d.lgs. 151/2001, introdotto dal d.lgs. 105/2022 in attuazione della direttiva UE 2019/1158, nella parte in cui riconosce il diritto al congedo solo al “padre lavoratore”.

Secondo il giudice rimettente, la norma viola l’art. 3 Cost. (principio di eguaglianza) e l’art. 117, co. 1, Cost., in relazione all’art. 4 della direttiva UE sopra richiamata, che impone agli Stati di garantire il congedo anche al “secondo genitore equivalente” laddove riconosciuto nell’ordinamento interno.

La posizione dell’INPS e del Governo

L’INPS e l’Avvocatura dello Stato hanno eccepito l’inammissibilità delle questioni, sostenendo che l’iscrizione nei registri dello stato civile non può di per sé determinare il sorgere di diritti previdenziali, in mancanza di una previsione legislativa esplicita. Secondo le difese, l’attribuzione dei diritti derivanti dalla genitorialità deve passare attraverso il procedimento giurisdizionale di adozione in casi particolari. L’estensione del congedo alla madre intenzionale comporterebbe – a loro dire – una forzatura del principio di tipicità delle prestazioni previdenziali, nonché una sostituzione del legislatore da parte del giudice.

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La ricostruzione della Corte: centralità della responsabilità genitoriale

La Corte Costituzionale rigetta le eccezioni preliminari, chiarendo che il giudice rimettente ha circoscritto correttamente l’ambito oggettivo della questione alla madre intenzionale in coppia omogenitoriale con madre biologica, regolarmente registrate come genitori. Ciò che rileva, secondo la Corte, è il riconoscimento giuridico della genitorialità nei registri dello stato civile e, più ancora, la condivisione effettiva del progetto di genitorialità, anche attraverso l’assunzione volontaria di responsabilità verso il minore.

Il vincolo genitoriale, afferma la Corte, non è determinato esclusivamente dalla biologia, ma dalla capacità e volontà di cura, responsabilità e presenza affettiva. Di conseguenza, negare il congedo di paternità obbligatorio alla madre intenzionale, quando già riconosciuta dallo stato civile, costituisce una lesione irragionevole del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e dell’interesse del minore (artt. 30 e 31 Cost.).

Il principio affermato: parità tra i genitori nei doveri di cura

La Corte individua nella funzione del congedo – stabilire precocemente un legame tra genitore e figlio e promuovere l’equilibrio vita-lavoro – una ragione che deve valere a prescindere dal sesso e dall’orientamento dei genitori. Il trattamento riservato alla madre intenzionale, rispetto al padre lavoratore in coppia eterosessuale, è dunque manifestamente irragionevole. La sentenza afferma che le coppie omogenitoriali femminili devono poter identificare, accanto alla madre biologica, una figura genitoriale funzionalmente equivalente a quella paterna prevista per legge, anche nei casi di adozione non legittimante.

Pertanto, la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui non riconosce il congedo alla madre intenzionale lavoratrice, già risultante come genitore nei registri dello stato civile.

Implicazioni sistematiche della decisione

La sentenza n. 115/2025 rappresenta un passaggio di grande rilievo nel processo di adeguamento dell’ordinamento italiano ai princìpi di effettiva parità genitoriale e non discriminazione, anche alla luce del diritto dell’Unione. Senza invadere il campo delle scelte legislative, la Corte riafferma con forza che i diritti previdenziali legati alla genitorialità non possono essere negati a figure che, pur non biologiche, siano già pienamente titolari di doveri di cura e riconosciute come genitori dallo Stato.

L’intervento della Corte è coerente con l’evoluzione del diritto vivente, che riconosce la centralità dell’interesse del minore e la necessità che esso prevalga sulle rigidità normative ancora legate a modelli familiari eteronormativi. Si tratta di una pronuncia che non solo sana una discriminazione di fatto, ma rilancia con decisione l’impegno a garantire tutele e diritti in funzione del concreto esercizio della genitorialità, favorendo una giustizia costituzionale autenticamente inclusiva.

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