
L’ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, n. 31897 del 7 dicembre 2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), si configura come un punto di riferimento nell’esegesi della disciplina del conflitto di interessi e del dovere di astensione (art. 6-bis L. n. 241/1990; art. 7 D.P.R. n. 62/2013) applicabile ai dipendenti pubblici, in specie quelli incardinati nell’Agenzia delle Entrate. Il decisum si orienta verso una necessaria contestualizzazione temporale della fattispecie di conflitto, escludendo la rilevanza disciplinare di rapporti professionali risalenti, non più sussistenti, e in linea con il range triennale fissato dalla normativa di settore. L’aspetto di maggiore interesse processuale è rappresentato, inoltre, dalla statuizione di responsabilità aggravata (art. 96, commi 3 e 4, c.p.c.) a carico dell’Amministrazione ricorrente.
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Il caso
Il contenzioso verteva sull’impugnazione della sanzione disciplinare del rimprovero verbale irrogata dall’Agenzia delle Entrate a un proprio funzionario. L’addebito era stato mosso per aver il dipendente partecipato a una verifica fiscale su un contribuente con il quale aveva intrattenuto un rapporto di collaborazione professionale risalente a circa quindici anni prima e di limitata durata. Secondo l’Amministrazione, tale condotta configurava la violazione degli obblighi di segnalazione e astensione, ponendo il dipendente in una posizione che avrebbe potuto, anche solo astrattamente, compromettere l’imparzialità dell’azione amministrativa.
La Corte d’Appello di Genova, riformando la pronuncia di prime cure, aveva statuito l’illegittimità della sanzione. Il giudice del merito aveva valorizzato l’interpretazione teleologica del Codice di comportamento dei dipendenti dell’Agenzia delle Entrate (del 15.9.2015), il quale, in attuazione del D.P.R. n. 62/2013, circoscrive la rilevanza dei rapporti di collaborazione a quelli intercorsi negli ultimi tre anni. In virtù della risalenza del rapporto contestato, la Corte territoriale aveva escluso la condizione di attualità dell’interesse personale, ritenendo non integrata la responsabilità disciplinare.
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La decisione della Corte
L’Agenzia delle Entrate ha affidato il ricorso alla Suprema Corte all’asserita violazione di legge, sostenendo che l’obbligo di astensione sussiste ogni qual volta si ravvisi un conflitto di interessi anche solo potenziale, in ossequio ai precetti di cui all’art. 97 Cost. e alla normativa anticorruption.
La Cassazione, tuttavia, ha rigettato il gravame, confermando l’orientamento della Corte d’Appello. Il Collegio ha riconosciuto che il giudice del merito ha correttamente interpretato il nucleo precettivo della normativa, cogliendo la complementarietà tra la potenzialità e l’attualità del conflitto. La motivazione si incentra sulla piena coerenza tra l’art. 6 del Codice di comportamento interno dell’Agenzia e l’art. 7 del D.P.R. n. 62/2013. In particolare, l’art. 7, comma 3, del Codice Generale prevede l’astensione dall’intrattenere rapporti economici o di affari «con i contribuenti con i quali ha contatti per ragioni di lavoro».
La Cassazione ha esplicitato che tale locuzione «non consente di attrarre nella previsione della norma rapporti risalenti ad epoca passata». Di conseguenza, la previsione agenziale che limita la rilevanza ai rapporti intercorsi negli ultimi tre anni , lungi dal configurare un contrasto normativo, esprime un criterio di ragionevolezza e attualità dell’interesse. Il rapporto ultra-decennale e di breve durata è stato, dunque, ritenuto estraneo alla fattispecie censurata. È stato, inoltre, rilevato che la violazione dell’obbligo di segnalazione, inizialmente contestata, non era stata assunta dall’organo disciplinare come motivazione del provvedimento sanzionatorio. Il ricorso principale è stato, pertanto, rigettato, con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
L’applicazione delle sanzioni per abuso del processo (Ex Art. 96, commi 3 e 4, c.p.c.)
Un profilo di notevole impatto della decisione risiede nell’applicazione della sanzione per responsabilità aggravata a carico dell’Agenzia delle Entrate. La Corte ha preso atto che l’Amministrazione aveva proposto istanza di decisione nonostante la proposta di definizione accelerata formulata ex art. 380-bis c.p.c. avesse ritenuto il ricorso manifestamente infondato.
La Cassazione, richiamando l’orientamento consolidato delle Sezioni Unite (cfr. inter alia Cass. S.U. n. 27195/2023 ), ha ribadito che il mancato adeguamento alla delibazione del Consigliere delegato che trovi conferma nella decisione finale costituisce, in linea generale, indice di abuso del processo, sanzionabile ai sensi dell’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c.. Non ravvisando «ragioni idonee a giustificare il comportamento processuale della parte» , e non avendo l’Agenzia prospettato argomenti nuovi o differenti rispetto a quelli già esaminati , il Collegio ha disposto la condanna della ricorrente, applicabile anche alle Amministrazioni Pubbliche, al pagamento:
- Di € 2.000,00in favore del controricorrente (art. 96, comma 3, c.p.c.).
- Di € 1.000,00in favore della Cassa delle Ammende (art. 96, comma 4, c.p.c.).
Conclusioni
L’ordinanza n. 31897/2025 fissa parametri precisi: la rilevanza disciplinare della violazione del dovere di astensione non può prescindere da una valutazione di attualità dell’interesse in conflitto, evitando di estendere sine die l’obbligo di cautela a rapporti professionali ormai quiescenti e privi di un nesso causale sufficiente con l’attività svolta. La Cassazione ha, in sostanza, fornito un’interpretazione sistemica che armonizza il dovere di imparzialità con il principio di tipicità dell’illecito disciplinare, impedendo l’applicazione sanzionatoria per rapporti storici già estranei ai limiti temporali stabiliti dai Codici di comportamento. Il monito in tema di responsabilità aggravata, inoltre, rinforza l’imperativo di una gestione razionale e leale del contenzioso da parte della Pubblica Amministrazione.












