Confisca beni importati senza IVA: questione di legittimità costituzionale

Le Sezioni Unite civili hanno sollevato una questione di legittimità costituzionale sull’art. 70, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione agli artt. 3 Cost. e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, sull’annullamento della confisca dei beni introdotti in Italia senza dichiarazione e pagamento dell’IVA all’importazione.

Corte di Cassazione- Sez. Un.Civ.- Ord. Inter. n. 18284 del 04-07-2024

La questione

L’Agenzia delle Dogane aveva emesso un provvedimento di confisca riguardante un quadro di grande valore dell’artista Lucio Fontana. Il quadro era stato introdotto in Italia dalla Svizzera senza essere dichiarato e senza il pagamento dell’IVA al momento dell’importazione. Durante un controllo all’Aeroporto di Milano-Linate, il quadro è stato sequestrato e il proprietario rinviato a giudizio per evasione dell’IVA. Il processo penale si è concluso con l’assoluzione dell’imputato in quanto il reato di contrabbando semplice è stato depenalizzato con il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8. Nonostante ciò, l’autorità amministrativa ha proceduto con la confisca del quadro. Il ricorso contro la confisca è stato inizialmente rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, ma successivamente accolto dalla CTR della Lombardia, che ha stabilito l’inapplicabilità della confisca dopo la depenalizzazione del contrabbando semplice. Per questo, l’Agenzia delle dogane ha presentato ricorso per cassazione sicché la Sezione Tributaria, rilevando l’importanza della questione, ha rinviato il caso alle Sezioni Unite civili per valutare l’applicabilità della confisca in via amministrativa dopo la depenalizzazione.

Il motivo di ricorso

L’Agenzia delle dogane ha contestato la decisione della Commissione Tributaria Regionale  che aveva annullato la confisca del suddetto quadro. La CTR aveva sostenuto che l’art. 301 del T.U.  Leggi Doganali, regolante la confisca, fosse stato abrogato in seguito alla depenalizzazione del contrabbando semplice. Tuttavia, l’Agenzia ha criticato questa interpretazione, sostenendo l’applicabilità della confisca a seguito dell’evasione IVA.
La questione è stata quindi oggetto di rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per chiarire la legittimità della confisca post-depenalizzazione.
Va sottolineato che la posizione dell’Agenzia delle dogane ha sollevato degli interrogativi sulla coerenza e proporzionalità delle sanzioni doganali. La confisca obbligatoria, infatti, può apparire eccessiva e in contraddizione con l’intento deflattivo del legislatore sul sistema penale e amministrativo. Questa rigidità sanzionatoria può essere percepita come una mancanza di equilibrio tra la tutela degli interessi finanziari dell’Unione Europea e i diritti dei contribuenti.

Il contesto normativo

La depenalizzazione del contrabbando semplice, introdotta dal d.lgs. n. 8 del 2016  ha posto il quesito sull’applicabilità della confisca prevista dall’art. 301 TULD.  Da una parte, l’argomento letterale non ha implicato una cancellazione della confisca, dall’altra, l’intento di deflazionare il sistema penale non è sembrato estendersi a eliminare misure di sicurezza come la confisca doganale. Tale disposizione, infatti, è dirimente per garantire la regolarità delle importazioni e la percezione tempestiva dei tributi dovuti all’Unione Europea, distinguendosi dalle sanzioni amministrative con finalità punitiva previste dall’art. 20 della legge n. 689 del 1981.

Occorre tenere in considerazione che l’eliminazione della confisca per il contrabbando semplice creerebbe un’incoerenza normativa, lasciando un vuoto sanzionatorio nelle violazioni di media gravità, mentre mantenendola per le infrazioni lievi e quelle aggravate sicché tale squilibrio potrebbe comportare una violazione del  principio di proporzionalità delle sanzioni.

In generale, la misura dovrebbe considerarsi ancora applicabile.

La proporzionalità della confisca

La giurisprudenza ha stabilito chiaramente che l’IVA all’importazione non può essere assimilata ai dazi doganali, essendo parte integrante del sistema generale del tributo. Nonostante ciò, il rinvio all’art. 70 del d.P.R. n. 633 del 1972 ha comportato l’applicazione delle stesse procedure e sanzioni previste per i diritti di confine, creando una sovrapposizione normativa che è apparsa a molti problematica.

Per i giudici, da un punto di vista procedurale, l’IVA all’importazione deve essere versata al momento della dichiarazione in dogana, e il suo mancato pagamento può attivare le stesse sanzioni dei diritti di confine, inclusa la confisca obbligatoria prevista dall’art. 301 TULD.

La rigidità dell’impostazione è avvertita come una forzatura del principio di legalità e proporzionalità delle sanzioni sicché l’IVA all’importazione, pur distinta dai dazi, viene trattata con lo stesso rigore sanzionatorio, senza una chiara linea normativa declinata dal legislatore.

Il rischio è la compromissione del sistema sanzionatorio, andando oltre quanto necessario per garantire la tutela degli interessi finanziari UE e la regolarità delle operazioni doganali.

I giudici delle Sezioni Unite hanno osservato che la specificità dell’IVA come imposta armonizzata richiede un’attenta valutazione della congruità del regime sanzionatorio rispetto al principio di proporzionalità di matrice unionale.

Già la Corte costituzionale, nella sentenza n. 67 del 2022, aveva precisato che, in caso di conflitto tra norme interne e diritto UE direttamente applicabile, il giudice deve cercare un’interpretazione conforme al diritto unionale o, se necessario, disapplicare la norma interna.

Nel caso di specie, l’importazione di un bene dalla Svizzera in Italia è disciplinata dall’Accordo CEE-Svizzera del 19 dicembre 1972, che vieta misure fiscali discriminatorie tra i prodotti delle parti contraenti.

Il dubbio di legittimità costituzionale

In particolare, la Corte di giustizia aveva già evidenziato in alcune pronunce la sproporzione tra le sanzioni per l’IVA all’importazione e quelle per l’IVA interna. Tuttavia, un caso analogo riguardante l’Accordo CEE-Austria aveva escluso l’incompatibilità delle sanzioni nazionali più severe per l’IVA all’importazione, poiché l’accordo non mirava alla creazione di un mercato unico ma al consolidamento delle relazioni economiche.

Pertanto, per  i giudici delle Sezioni Unite  non sussistono i presupposti per un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia né per la disapplicazione della norma interna. Al più, il combinato disposto dell’art. 70 del d.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 282 e 301 TULD può sollevare dubbi di costituzionalità rispetto ai principi di proporzionalità e ragionevolezza sanciti dall’art. 3 Cost. e dall’art. 49 della Carta di Nizza.

Infatti, il trattamento sanzionatorio per il contrabbando doganale, giustificato dalla protezione di importanti interessi finanziari dello Stato, risulta eccessivo quando viene applicato all’IVA sull’importazione, soprattutto in assenza di violazioni relative ai dazi doganali. La confisca obbligatoria, non prevista per l’IVA interna in casi di rilevanza amministrativa, impone un cumulo sanzionatorio sproporzionato rispetto alla condotta del contribuente, che potrebbe aver già versato integralmente l’imposta evasa e le relative sanzioni amministrative.

La condotta in esame, punita solo in via amministrativa, mette in luce come la confisca doganale abbia una duplice funzione: prevenire la reiterazione dell’illecito sottraendo il bene al contravventore e garantire il rapido recupero del tributo dovuto.

Le sanzioni, incluse quelle pecuniarie e la confisca, risultano sproporzionate se non si considera il comportamento successivo del contribuente. La Corte costituzionale ha ribadito più volte l’importanza di mantenere un equilibrio tra la sanzione e la gravità dell’infrazione sicché  una misura fissa e automatica come la confisca non può oggettivamente tenere conto delle diverse circostanze dei casi.

Conclusioni

In definitiva, per i giudici delle Sezioni Unite Civili, l’art. 70 del d.P.R. n. 633 del 1972 non ammette un’interpretazione conforme ai principi costituzionali e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Pertanto, il combinato disposto con gli artt. 282 e 301 del TULD e l’Accordo CEE-Svizzera del 1972 solleva  dubbi di costituzionalità. Di conseguenza, i giudici hanno ritenuto necessario sospendere il giudizio e rinviare gli atti alla Corte costituzionale per valutare la legittimità di tali disposizioni alla luce del principio di proporzionalità e della ragionevolezza delle sanzioni.

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