Confini della proprietà condominiale e alterazione del decoro architettonico

La Seconda Sezione Civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 17038 del 25 giugno 2025 (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione), tratta due questioni centrali in materia condominiale: l’individuazione della proprietà di un marciapiede adiacente a un fabbricato e l’alterazione del decoro architettonico causata da opere realizzate da un condomino. La pronuncia risulta di rilevante interesse per gli spunti ermenutici in merito all’applicazione dell’art. 1117 c.c. sulla presunzione di condominialità e ai limiti dell’intervento del singolo condomino sulle parti comuni, con particolare riferimento all’installazione di manufatti. 

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Manuale di sopravvivenza in condominio

Manuale di sopravvivenza in condominio

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Questa pratica guida, che nasce dalla lunga esperienza in trincea nel mondo del condominio dell’Autore, non solo come avvocato, ma anche come giornalista, è scritta in modo chiaro e comprensibile a tutti, professionisti e non, amministratori e condòmini, per fornire la chiave per risolvere i problemi più ricorrenti.

Luca Santarelli
Avvocato cassazionista, giornalista pubblicista, politico e appassionato d’arte. Da sempre cultore del diritto condominiale che ritiene materia da studiare non solo sotto il punto di vista giuridico. Già autore di monografie, dal 2001 firma rubriche nel quotidiano la Nazione del gruppo QN e dal 2022 tiene rubriche radiofoniche per Radio Toscana. Relatore a numerosi convegni nel territorio nazionale, isole comprese.

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Il caso

Un condomino, proprietario di un’unità immobiliare all’interno di un fabbricato condominiale, ha citato in giudizio il titolare di un bar situato nello stesso edificio. Ha contestato la realizzazione, da parte del convenuto, di opere su un’area condominiale: un marciapiede posto tra il fabbricato e la strada comunale. Le opere includevano un gazebo, una tenda motorizzata con struttura metallica ancorata, e due travi orizzontali in legno a sostegno di tende avvolgibili e fioriere. Secondo l’attore, questi manufatti ostruivano quasi totalmente lo spazio sottostante e impedivano ai condomini di usufruire liberamente dell’area, compromettendo il passaggio, la sosta e il decoro architettonico dell’edificio.

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha accolto la domanda. Ha ordinato la rimozione dei manufatti e il ripristino dello stato dei luoghi. La Corte d’Appello di Napoli ha confermato la decisione. Ha ritenuto che le opere riducessero l’utilizzo delle parti comuni e alterassero il decoro architettonico, anche in assenza di particolare pregio estetico. La nuova struttura, installata nel 2010, differiva per caratteristiche e impatto dalla precedente tenda del 1987, che non risultava lesiva. La Corte ha inoltre ribadito la natura condominiale del marciapiede, evidenziando che il convenuto lo aveva ammesso in primo grado e che, ai sensi dell’art. 1117 c.c., vige una presunzione di condominialità, superabile solo con titolo scritto.

Il ricorso in Cassazione

La parte soccombente ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a un unico motivo articolato in più censure. Ha denunciato la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1122, 1102, 1117 e 1350 c.c., in relazione a disposizioni costituzionali e processuali. Ha contestato l’alterazione del decoro architettonico e criticato l’adesione, secondo lui acritica, della Corte d’Appello alle conclusioni del CTU. Ha lamentato anche il mancato accoglimento della richiesta di rinnovo della consulenza. Secondo il ricorrente, la sentenza era viziata da ultrapetizione, poiché aveva esteso il giudizio alla riduzione delle utilità condominiali, nonostante la domanda iniziale si limitasse alla rimozione della tenda.

Il ricorrente ha inoltre sostenuto che la tenda contestata riutilizzava gli stessi ancoraggi di quella del 1987, installata all’avvio dell’attività commerciale. In una seconda censura, ha negato la corretta individuazione della proprietà condominiale del marciapiede. A suo dire, mancavano i requisiti previsti dalla legge, tra cui la partecipazione di tutti i condomini e la prova scritta richiesta dall’art. 1350 c.c. per il trasferimento di beni immobili. Ha infine contestato che l’ammissione del carattere condominiale dell’area, attribuita al convenuto, fosse stata realmente resa nei termini affermati dalla Corte.

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Inammissibilità del ricorso per motivi processuali e valutazioni di merito

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso sotto diversi profili. Anzitutto ha rigettato la censura formulata ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., relativa all’omesso esame di un fatto decisivo, poiché il caso rientra nell’ipotesi di “doppia conforme”. Le decisioni di primo e secondo grado si sono basate sugli stessi presupposti in fatto e in diritto, precludendo così un riesame in sede di legittimità. La Corte ha chiarito che, nonostante l’abrogazione dell’art. 348-ter c.p.c. ad opera del d.lgs. n. 149/2022, la nuova formulazione dell’art. 360, comma 4, c.p.c., applicabile al ricorso notificato il 25 marzo 2024, mantiene il principio preclusivo della doppia conforme, rendendo ancora applicabile la giurisprudenza consolidata in materia.

Anche le doglianze proposte ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., per violazione di legge, sono state ritenute inammissibili. La Corte ha ribadito che tale vizio riguarda solo l’errata ricognizione della norma giuridica astratta, e non la ricostruzione del fatto o l’interpretazione delle prove, che rientrano nella discrezionalità del giudice di merito. Le critiche del ricorrente, invece, si concentravano sulla valutazione del materiale istruttorio, estranea al controllo di legittimità. A supporto, la Cassazione ha evidenziato che il giudice d’appello non si era limitato a recepire il parere del CTU, ma aveva motivato con riferimento all’istruttoria svolta e alla documentazione fotografica, che dimostravano l’ostacolo al libero utilizzo del marciapiede da parte dei condomini.

Contestazioni infondate su ultrapetizione e proprietà del marciapiede

La Suprema Corte ha inoltre respinto la censura di ultrapetizione, osservando che la Corte d’Appello si era limitata a valutare la riduzione delle utilità derivanti dalla cosa comune, in aderenza alla domanda attorea, che già faceva espresso riferimento alla limitazione dell’uso dell’area condominiale. Non vi è stata, pertanto, alcuna pronuncia eccedente il petitum.

Quanto alla titolarità del marciapiede, la Cassazione ha dichiarato inammissibile la censura, rilevando che essa mirava a ottenere un nuovo giudizio di merito. La Corte territoriale aveva fondato la presunzione di condominialità ex art. 1117 c.c. su due circostanze decisive: da un lato, l’assenza di prova della proprietà comunale; dall’altro, la mancata contestazione del convenuto in primo grado, che aveva implicitamente riconosciuto la natura condominiale dell’area. La Cassazione ha ribadito che l’art. 1117 c.c. non configura una presunzione meramente formale, ma si fonda sulla funzionalità del bene all’uso comune, dispensando il condominio dalla prova del diritto di proprietà e imponendo al singolo l’onere di dimostrare il contrario.

In conclusione, la Corte ha rigettato il ricorso e ha condannato la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali. Ha inoltre applicato l’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., condannando il ricorrente al versamento di una somma ulteriore per responsabilità aggravata, in quanto il procedimento rientrava nella procedura accelerata per l’inammissibilità del ricorso.

Conclusioni

L’ordinanza in commento offre un’importante conferma dei principi che regolano le controversie condominiali in tema di uso delle parti comuni e di alterazione del decoro architettonico. La Cassazione ribadisce con chiarezza i limiti del sindacato di legittimità, sottolineando come il riesame del merito e dell’apprezzamento delle prove sia precluso in presenza di una “doppia conforme” e quando le censure si traducano in una richiesta di nuova valutazione dei fatti.

La pronuncia enfatizza la natura “qualificata” della presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 c.c., la quale, per beni come il marciapiede necessari all’uso comune, dispensa il condominio dalla prova della titolarità e impone al singolo condomino l’onere di dimostrare un titolo contrario. Questo principio è fondamentale per la stabilità dei rapporti condominiali e per la tutela dell’uso collettivo delle parti comuni.

Il provvedimento conferma l’ampia portata del concetto di alterazione del decoro architettonico, non circoscritta alla modifica delle linee originali del fabbricato, ma accresciuta a qualsiasi opera che si rifletta negativamente sull’armonico aspetto dello stabile. Tale questione è particolarmente rilevante in un contesto urbano, dove l’installazione di manufatti esterni può compromettere l’estetica complessiva dell’edificio. L’ordinanza sottolinea, inoltre, come anche la “stabilità” e la “perimetrazione” di un’area attraverso strutture, seppure non in muratura, possano configurare un’occupazione stabile e una limitazione dell’uso della cosa comune.

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