Condotte violente e abbandono del tetto coniugale: onere della prova per l’addebito della separazione

La dichiarazione di addebito della separazione richiede la prova che la crisi coniugale irreversibile sia causalmente riconducibile alla condotta volontaria e consapevole di uno o di entrambi i coniugi, in violazione dei doveri matrimoniali, e che sussista un nesso eziologico tra tale condotta e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza.

La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8366/2025, del 30 marzo (qui trovi il testo integrale dell’ordinanza), è tornata a pronunciarsi in materia di onere della prova per l’addebito. La ricorrente aveva chiesto la separazione con addebito a carico del marito violento che aveva abbandonato il tetto coniugale.  

Consiglio: per un approfondimento su questi temi, ti segnaliamo il volume “I nuovi procedimenti di famiglia”, aggiornato alle ultime novità normative e giurisprudenziali.

Il caso in esame

La controversia ha origine dal ricorso per la separazione personale con addebito presentato da un marito nei confronti della moglie. Quest’ultima, nel costituirsi, si associava alla richiesta di separazione deducendo, tuttavia, la sussistenza di comportamenti violenti da parte dell’uomo, tali da rendere estremamente invivibile il rapporto coniugale ed alterare la qualità e le abitudini di vita della resistente. La donna chiedeva, quindi, l’addebito della separazione a carico del marito.

Il Tribunale pronunciava la separazione, declinava entrambe le richieste di addebito e stabiliva l’importo dell’assegno di mantenimento.

La Corte d’Appello rigettava il gravame con cui la moglie chiedeva l’addebito al marito della separazione e un incremento dell’assegno di mantenimento. La donna, avverso tale sentenza, presentava ricorso in Cassazione.

I nuovi procedimenti di famiglia

I nuovi procedimenti di famiglia

L’opera, dal taglio agile ed operativo, si propone di offrire al professionista una guida ragionata per gestire le fasi cruciali del contenzioso familiare, così come novellato dalla cd. “Riforma Cartabia”, concentrandosi su quattro temi nodali: atti introduttivi, prima udienza, fase istruttoria, cumulo delle domande di separazione e divorzio. L’obiettivo è quello di fornire agli operatori del diritto una “bussola giuridica e processuale” per orientarsi tra le novità legislative e i risvolti applicativi, senza trascurare gli orientamenti giurisprudenziali. Il volume, aggiornato al D.Lgs. 164/2024, che apporta alcuni correttivi alla Riforma Cartabia, può contare su un approccio sistematico, concreto e innovativo, grazie all’apporto delle Autrici, avvocate e magistrate, le quali hanno partecipato alla redazione della Guida in una sorta di dialogo interdisciplinare, individuando gli argomenti processuali e sostanziali salienti nella materia, permettendo, altresì, di mettere a fuoco anche eventuali orientamenti e prassi virtuose.

Ida Grimaldi,
Avvocato cassazionista, esperta in materia di diritto di famiglia e tutela dei minori, lavoro e discriminazioni di genere. È docente e relatrice in numerosi convegni nazionali, dibattiti e corsi di formazione. Autrice e curatrice di diverse opere in materia di diritto di famiglia e minorile, lavoro e pari opportunità, scrive per numerose riviste giuridiche ed è componente del Comitato Scientifico della rivista “La Previdenza Forense”, quadrimestrale della Cassa di Assistenza e Previdenza Forense.

Leggi descrizione
Ida Grimaldi, 2025, Maggioli Editore
24.00 € 22.80 €

Domanda di addebito e onere della prova

La ricorrente, con il primo motivo di ricorso, censurava la decisione d’appello in relazione al rigetto della domanda di addebito per l’abbandono del tetto coniugale da parte del marito.

La Suprema Corte, in primo luogo, ha osservato che, secondo i consolidati principi di legittimità, la dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, e che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità della ulteriore convivenza.

Il coniuge che richiede l’addebito ha l’onere di provare sia che la contrarietà della condotta dell’altro ai doveri coniugali, sia che tali comportamenti abbiano causato il fallimento della convivenza.

Potrebbe interessarti anche:

L’allontanamento dal domicilio familiare

La Corte di Cassazione ha, poi, precisato che il volontario allontanamento dal domicilio familiare da parte di uno dei coniugi, se attuato senza il consenso dell’altro, costituisce violazione del dovere matrimoniale di convivenza ed è conseguentemente di per sé sufficiente a giustificare l’addebito della separazione personale in quanto porta all’impossibilità della convivenza.

Il giudice, in questi casi, pronuncia la separazione con addebito a carico del coniuge che si è allontanato, almeno che, quest’ultimo non dimostri, alternativamente, che:

  • una giusta causa abbia determinato l’abbandono del tetto coniugale ex art. 146 c.c.;
  • l’abbandono sia dovuto al comportamento dell’altro coniuge;
  • l’allontanamento sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto.

Costituisce una “giusta causa”, la presenza di situazioni di fatto di per sé incompatibili con la protrazione della convivenza, ossia tali da non rendere esigibile la pretesa di coabitare (Cass. n. 4540/2011).

Condotta violativa dei doveri coniugali e tolleranza dell’altro coniuge

La Suprema Corte ha evidenziato che, ai fini dell’esclusione del nesso causale tra la condotta violativa degli obblighi derivanti dal matrimonio e l’impossibilità della prosecuzione della convivenza, non assume rilievo la tolleranza dell’altro coniuge, non essendo configurabile un’esimente oggettiva, che faccia venire meno l’illiceità del comportamento, né una rinuncia tacita all’adempimento dei doveri coniugali, aventi carattere indisponibile.

La sopportazione delle condotte altrui, rappresentate come causa di addebito, può essere presa in considerazione, unitamente ad altri elementi, solo quale indice rivelatore del fatto che l’affectio coniugalis era già venuta meno da tempo.

Applicazione dei principi al caso di specie

La Corte d’Appello aveva erroneamente ritenuto che incombesse sulla moglie l’onere di provare che l’allontanamento del marito era stato causa della crisi coniugale. In relazione all’abbandono della casa coniugale, è colui che ha posto in essere la condotta violativa degli obblighi matrimoniali a dover provare la giusta causa e/o la preesistenza di una intollerabilità della convivenza.

I giudici di secondo grado, inoltre, avevano attribuito rilevanza ai rapporti intrattenuti dai coniugi dopo l’abbandono del tetto coniugale. La Corte d’Appello, in particolare, aveva ravvisato, in tali circostanze, una sorta di tolleranza della ricorrente rispetto alle condotte violative dei doveri coniugali poste in essere dal marito.

La Cassazione, a tal proposito, ha ribadito che la tolleranza dell’altro coniuge non rappresenta un’esimente oggettiva della responsabilità per addebito. La Corte d’Appello aveva ritenuto la tolleranza espressione di una sostanziale cessazione dell’affectio coniugalis: questa affermazione, tuttavia, era priva di riscontri fattuali nel caso di specie.

Violenze fisiche e morali ai danni dell’altro coniuge

La ricorrente impugnava la sentenza di secondo grado anche in ordine all’omessa ammissione delle prove ritualmente richieste.

La Corte d’Appello, dopo aver affermato che la ricorrente avrebbe dovuto circostanziare la domanda di addebito per motivi diversi dall’abbandono del tetto coniugale, aveva disatteso tutte le sue richieste istruttorie. Tali istanze erano finalizzate a provare le violenze fisiche e morali subite dalla donna durante la convivenza matrimoniale, condotte che avrebbero rappresentato un’ulteriore causa di addebito a carico del marito.

La Cassazione ha evidenziato come i giudici d’appello non avessero motivato il rigetto delle richieste istruttorie e ha osservato che:

“Le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità al loro autore; ne consegue che il loro accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei”. 

La determinazione dell’assegno di separazione

La censura della ricorrente aveva ad oggetto anche la statuizione con cui la Corte d’Appello aveva ritenuto che, ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento, il criterio dell’alto tenore di vita tenuto dai coniugi durante il matrimonio dovesse essere temperato dalla potenziale capacità di guadagno della ricorrente.

La Suprema Corte ha ricordato come la determinazione dell’assegno di separazione non è soggetta alle regole dell’assegno divorzile impropriamente seguite dai giudici di merito.

Il diritto a ricevere un assegno di mantenimento ex art. 156 c.c., da parte del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, è fondato sulla persistenza del dovere di assistenza materiale e morale e non ha, a differenza dell’assegno di divorzio, componenti compensative, sicché, nel valutare se il richiedente è effettivamente privo di adeguati redditi propri, deve tenersi conto anche della sua concreta e attuale capacità lavorativa (Cass. n. 234/2025).

La quantificazione dell’assegno di mantenimento spettante al coniuge, cui non sia addebitabile la separazione, deve tener conto, inoltre, quale indispensabile parametro di riferimento, del tenore di vita goduto dalla coppia durante la convivenza, da accertarsi non solo in base ai redditi emergenti dalla documentazione fiscale prodotta, ma anche ad altri elementi apprezzabili in termini economici, quali la disponibilità di un consistente patrimonio, immobiliare o mobiliare; lo stile di vita particolarmente agiato e lussuoso; la percezione di redditi occultati al fisco (Cass. n. 32349/2024).

La decisione della Corte: conclusioni

La Corte ha cassato la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e ha rinviato la causa alla Corte di appello, in diversa composizione, per il riesame e la statuizione sulle spese.

L’ordinanza n. 8366/2025 della Cassazione ribadisce i consolidati principi in materia di addebito della separazione, chiarendo la corretta distribuzione dell’onere della prova, anche in caso di allontanamento volontario dalla casa familiare.

Di particolare rilievo è l’affermazione secondo cui le reiterate violenze fisiche e morali costituiscono di per sé una causa di intollerabilità della convivenza e, in quanto gravi violazioni dei doveri coniugali, legittimano l’addebito senza alcuna comparazione con la condotta dell’altro coniuge.

La decisione offre, inoltre, una precisazione utile in tema di assegno di separazione, riportando l’attenzione sul tenore di vita effettivo della coppia e sulla distinzione rispetto ai criteri propri dell’assegno divorzile.

Una pronuncia che rafforza la tutela delle vittime di condotte lesive e contribuisce alla chiarezza applicativa dei principi dell’ordinamento in materia familiare.

SCRIVI IL TUO COMMENTO

Scrivi il tuo commento!
Per favore, inserisci qui il tuo nome

uno × 2 =

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.