La disciplina relativa alla comunione ordinaria è contenuta negli articolo 1100 e seguenti del codice civile. Si ha comunione quando la proprietà o altro diritto reale spettano a più persone, salvo che il titolo o la legge non dispongano diversamente.
La comunione ordinaria è strutturalmente caratterizzata dalla quota.[1] Nel nostro ordinamento, vige il concetto di comunione di tipo romano, caratterizzata da quote ideali di appartenenza individuale.[2] Si parla di quota ideale perchè quest’ultima non risulta riferita ad alcuna parte del bene o dei beni della comunione.
In tal senso, è possibile qualificare la comunione ordinaria quale forma di contitolarità rispetto al diritto di proprietà o altro diritto reale.[3]
É possibile distinguere diverse forme di comunione ordinaria: volontaria (costituita con un contratto con parte plurisoggettiva oppure unisoggettiva); forzosa (ad esempio, nel condominio di edifici); incidentale (costituita indipendentemente da una manifestazione di volontà dei partecipanti, ma che può essere sciolta liberamente).
La comunione ereditaria è dettata dalla volontà delle parti. Diversamente, si applicano le regole previste nel codice civile.
Per quanto riguarda l’amministrazione dei beni comuni, tutti i partecipanti hanno diritto di concorrere nell’amministrazione della cosa comune. Per gli atti di straordinaria amministrazione, è richiesta l’unanimità dei consensi dei partecipanti.
Una delle principali peculiarità della comunione ordinaria è la precarietà. Ai sensi dell’art. 1111 c.c., infatti, ciascun partecipante può domandare lo scioglimento della comunione. Sussiste, dunque, in capo ad ogni contitolare il diritto potestativo di domandare la divisione della comunione.
Questioni problematiche
Una delle questioni, affrontate recentemente dalla Cassazione a Sezioni Unite[4], ha ad oggetto il rapporto tra accessione e comunione ordinaria.
La fattispecie riguarda l’ipotesi di costruzione realizzata sul suolo comune, da parte di uno solo dei contitolari, senza il consenso degli altri.
Il contrasto giurisprudenziale si fonda sulla possibile applicazione dell’istituto dell’accessione.
L’orientamento tradizionale, infatti, risolveva la questione con il principio dell’accessione, con la conseguente acquisizione della costruzione nella comunione ordinaria, salvo diverso accordo scritto.
La tesi minoritaria, invece, interpretando restrittivamente l’art. 934 c.c., riteneva non operante l’accessione in quanto il costruttore ed il proprietario del fondo risultavano essere la stessa persona.[5]
La Corte risolve la questione aderendo al primo orientamento e smentendo l’orientamento minoritario, fondato sul presupposto dell’alterità tra costruttore e proprietario del suolo.
Gli argomenti posti a fondamento di tale decisione possono essere individuati nei seguenti.
Dal punto di vista letterale, l’art. 934 c.c. prescinde dall’individuare nel concreto la persona del costruttore e, di conseguenza, non presuppone l’alterità rispetto al proprietario del suolo.
A livello sistematico, invece, il legislatore ha previsto degli articoli specifici (art. 936 e 937 c.c.) per le opere realizzate da un soggetto terzo.
Lo stesso articolo 935 c.c. introduce un’ipotesi di accessione in cui il costruttore è anche proprietario del suolo.
Viene, infine, richiamata la disciplina della comunione legale. La giurisprudenza, infatti, in passato, aveva affrontata la questione di edificio costruito da entrambi i coniugi sul suolo di proprietà esclusiva di uno di essi.
Le Sezioni Unite erano intervenute per dirimere il contrasto giurisprudenziale, derivante dal comprendere l’ambito di operatività dell’istituto dell’accessione rispetto alla disciplina della comunione legale. Ai sensi dell’art. 177 n.1 c.c., tutti gli acquisti effettuati a titolo derivativo ed a titolo originario entrano in comunione.
La Cassazione, però, ritiene che nel caso di specie possa operare l’accessione. Di conseguenza, la costruzione realizzata sul suolo di proprietà di uno dei coniugi, in quanto acquistato prima del matrimonio, risulterà di proprietà esclusiva di quest’ultimo.[6]
In tale circostanza, dunque, la Corte di Cassazione aveva ritenuto applicabile l’accessione al caso in cui il comproprietario del terreno fosse anche il costruttore.
Assunto ciò, i comproprietari, che non hanno dato il consenso per la costruzione, potranno agire con ordinarie azione possessorie, oppure potranno agire in rivendicazione, ossia esercitando la rivendicazione della proprietà originaria del bene e, dunque, esercitando lo ius tollendi. Diritto che necessita di essere coniugato con il principio di tolleranza e buona fede: qualora il comproprietario costruttore abbia agito con il consenso e la consapevolezza e senza l’opposizione degli altri, allora non sarà possibile demolire la costruzione.
Ulteriore questione ha ad oggetto l’ipotesi di locazione stipulata da uno dei comproprietari senza il consenso degli altri.
Anche in tale circostanza, le Sezioni Unite[7] hanno composto il contrasto giurisprudenziale, caratterizzato da tre distinti orientamenti.
Alcuni ritenevano che il comproprietario di un immobile che stipula un contratto di locazione con un terzo opera alla stregua di un mandato senza rappresentanza. Ai sensi dell’art. 1705 comma 2 c.c., dunque, il comproprietario, che non ha stipulato il contratto di locazione, potrebbe rivolgersi al conduttore per ottenere il pagamento del canone di locazione.
Altra parte degli interpreti, invece, sulla scorta dell’operatività del principio di pari spettanza di poteri gestori sulla cosa comune di cui all’art. 1105 comma 2 c.c., ritenevano possibile per il singolo comproprietario stipulare separatamente il contratto di locazione. Ciò al fine di favorire la circolazione del bene.
Il terzo orientamento, accolto dalle Sezioni Unite, invece, riteneva che il comproprietario agisse quale gestore d’affari ex art. 2028 c.c.
Di conseguenza, il comproprietario agisce non nel proprio interesse, ma nell’interesse della cosa comune e, quindi, anche degli altri comproprietari. La locazione della cosa comune sorge, dunque, validamente, anche se gli altri comproprietari non hanno partecipato alla stipulazione del contratto.
Tale principio viene affermato anche nell’ipotesi in cui il contratto abbia ad oggetto non la locazione, ma il comodato del bene immobile.
La comunione ereditaria
La comunione ereditaria è costituita dall’intero compendio ereditario. Non sussiste una titolarità pro quota, avente ad oggetto i singoli beni della comunione, ma la contitolarità riguarda l’intero compendio dei beni che fanno parte dell’eredità.
Dimostrazione di ciò, si può rinvenire nell’art. 732 c.c.. Tale norma prevede il diritto di prelazione ereditaria e di riscatto, che assume rilevanza quando il coerede vuole alienare la quota relativa all’intero compendio ereditario e non il singolo bene.
Anche nella comunione ereditaria, i coeredi possono sempre domandare la divisione.
La comunione legale
Ai sensi dell’art. 159 c.c., il regime patrimoniale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione matrimoniale, è quello della comunione dei beni.
La comunione legale presenta talune caratteristiche peculiari: è derogabile e non obbligatoria; è dinamica (modifica il proprio oggetto con gli acquisti dei coniugi); è vincolata (il singolo coniuge può chiederne la divisione solo dopo il suo scioglimento); ha ambito oggettivo ristretto (sono esclusi i beni personali).
Formano immediatamente oggetto della comunione, ex art. 177 c.c.: gli acquisti compiuti dai coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali; i frutti dei beni di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione; i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi, se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati; le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.
Nella comunione legale, ciascun coniuge è da ritenere titolare per intero del singolo bene appartenente alla comunione.
Sul punto, è necessario compiere un distinguo rispetto al regime della comunione ordinaria.
Rispetto alla comunione ordinaria, infatti, nella comunione legale, non sussistono quote, ma ciascun coniuge deve ritenersi titolare del singolo bene appartenente alla comunione per intero, salvo le norme relative all’amministrazione dei beni.
Di conseguenza, sussiste una diversità logica strutturale tra comunione ordinaria e comunione legale.[8]
Benché nella comunione legale il coniuge acquisti la piena proprietà del bene, il legislatore ha previsto una specifica disciplina di amministrazione dei beni della comunione.[9]
Si ritiene, altresì, che possano essere oggetto della comunione legale, non trattandosi di comunione ordinaria, anche i diritti di credito.
Sulla scorta di quanto detto, sarebbe possibile ricostruire la comunione legale in termini di proprietà solidale.
Ciò determina taluni effetti pratici.
In primo luogo, dal punto di vista della garanzia patrimoniale, il patrimonio della comunione è destinato a sopperire ai bisogni della famiglia, ma non costituisce un patrimonio separato. Il dettato normativo dell’articolo 186 c.c. specifica che, in caso di obbligazioni gravanti sui beni della comunione, il creditore debba agire sui beni della comunione in via prioritaria, per poi soddisfarsi, in via sussidiaria, sui beni personali dei singoli coniugi. Nel caso, invece, di obbligazioni estranee alla comunione, il creditore dovrà rifarsi in primis sui beni personali e poi sui beni della comunione.
In secondo luogo, è la stessa disciplina degli acquisti ex art. 177 c.c. a prevedere che il bene acquistato da uno dei coniugi entri in comunione legale. Ciò significa che l’altro coniuge ne acquista la piena titolarità.
Nell’ambito processuale, infine, le Sezioni Unite hanno affermato che, nell’ipotesi di comunione legale, sussiste un caso di litisconsorzio necessario.
Ulteriore differenza strutturale rispetto alla comunione ordinaria è determinata dalla tendenziale stabilità della comunione legale.
Nella comunione legale, non sussiste il diritto potestativo di domandare lo scioglimento della stessa. E’ il legislatore a prevedere delle ipotesi tassative di scioglimento della comunione: dichiarazione di assenza o morte presunta di uno dei coniugi; annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio; separazione personale; separazione giudiziale dei beni; mutamento convenzionale del regime patrimoniale; fallimento di uno dei coniugi.
Soltanto laddove intervenga una delle predette cause, allora è possibile domandare lo scioglimento della comunione legale.
Nell’ipotesi in cui uno dei coniugi sia intenzionato a far cessare il regime di comunione legale per cattiva gestione del patrimonio da parte dell’altro coniuge, il legislatore ha previsto la possibilità di domandare la separazione giudiziale dei beni ai sensi dell’art. 193 c.c.
Questioni problematiche
Una delle questioni più rilevanti riguarda l’ipotesi di edificio costruito con il contributo di entrambi i coniugi sul suolo di proprietà esclusiva di uno di essi.
La problematica ha ad oggetto l’ambito di applicazione del regime della comunione legale.
Stando al dettato letterale dell’art. 177 n.1 c.c., tutti gli acquisti compiuti dai coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali, cadono in comunione.
Sul punto, acquisisce rilevanza richiamare l’istituto dell’accessione.[10]
Rispetto al caso concreto, si confrontano, dunque, due tesi.
Da un lato, coloro che ritengono applicabile la disciplina della comunione legale. L’articolo 177 n.1 c.c., infatti, farebbe riferimento ad acquisti effettuati dai coniugi, durante il regime di comunione legale, sia a titolo originario sia a titolo derivativo. A titolo esemplificativo, il bene acquistato per usucapione da uno dei coniugi risulta acquisito in favore anche dell’altro, sulla scorta della comunione legale. Allo stesso modo, l’edificio costruito da entrambi i coniugi, sul suolo di proprietà esclusiva, risulterebbe di proprietà di entrambi, in quanto acquisito durante il regime della comunione legale.
Taluni, invece, sostengono che debba applicarsi la disciplina dell’accessione. In particolare, precisano che se il suolo risulta essere stato acquistato dal coniuge precedentemente al matrimonio, allora anche la costruzione dovrebbe risultare di proprietà esclusiva del proprietario del suolo. La realizzazione della costruzione, infatti, rappresenterebbe un mero ampliamento dell’oggetto del diritto di proprietà.
Le Sezioni Unite[11] hanno risolto il contrasto aderendo alla seconda tesi. Nello specifico, hanno affermato che l’accessione non costituisce un modo di acquisto della proprietà di un bene diverso, ma un ampliamento del suolo in senso verticale. Di conseguenza, se il suolo apparteneva ad uno solo dei coniugi, in quanto acquistato prima del matrimonio, anche la costruzione resterà di proprietà esclusiva.
Tale decisione assume particolare rilevanza, in quanto la giurisprudenza sembrerebbe ritenere applicabile l’istituto dell’accessione anche nel caso di coincidenza tra proprietario del suolo e costruttore.
Ciò dedotto, è necessario comprendere quale garanzie sussistano in capo al coniuge che ha contributo alla realizzazione della costruzione.
Stando il fatto che quest’ultimo non acquisisce alcun diritto reale, in relazione all’edificio costruito sul suolo di proprietà esclusiva, l’unica tutela prevista per lo stesso è di carattere meramente obbligatorio.
Il coniuge che ha contribuito alla realizzazione dell’edificio acquisirà, infatti, un diritto di credito nei confronti dell’altro coniuge, volto ad ottenere il pagamento della manodopera. Principio che, in parte, potrebbe essere ricavato dal dettato letterale dell’art. 935 c.c., che prevede che il proprietario del suolo provveda al pagamento del materiale di terzi.
Ne risulta, dunque, l’onere in capo coniuge non proprietario del suolo di dimostrare che le somme di denaro ed i materiali utilizzati per la realizzazione del fabbricato siano di sua provenienza o provengano dalla comunione legale, non essendo presunta tale provenienza.
Diversamente, il coniuge non proprietario del suolo potrebbe divenire proprietario della costruzione nell’ipotesi in cui acquisisca tale diritto per usucapione.
[1] Con il termine quota si intende la misura della singola partecipazione e, dunque, il parametro di alcune delle facoltà del comproprietario.
[2] Si discute in dottrina se siano previste ipotesi di comunione di tipo germanistico o a mani riunite, ossia caratterizzate dalla mancanza di quota e dalla più accentuata forma collettiva della proprietà. A titolo esemplificativo, nel fondo patrimoniale.
[3] Una particolare forma di contitolarità è caratterizzata dal compossesso. In questo caso, la contitolarità ha ad oggetto non diritti, ma la situazione di fatto costituita dal posesso, ossia il compossesso. Di regola il compossesso si riscontra tra i comproprietari di un bene, ma può esercitarsi anche in assenza di un titolo, quando di fatto una pluralità di soggetti eserciti un potere congiunto sulla medesima cosa. In questo caso, l’usucapione del diritto determinerà una comunione in capo a tutti i compossessori.
[4] Cassazione, Sezioni Unite n. 3873 del 2018.
[5] Secondo questa interpretazione, l’art. 934 c.c. si riferisce alle sole ipotesi di costruzione od opere eseguite da terzi su terreno altrui. Per poter applicare tale articolo al caso di specie, il costruttore dovrebbe essere un soggetto terzo rispetto agli altri comproprietari. Se la costruzione è stata realizzata, infatti, da un comproprietario, si applica la disciplina speciale dalla comunione ereditaria. Con la conseguenza che la costruzione realizzata senza il consenso degli altri comproprietari risulti di proprietà esclusiva di quest’ultimo, salvo conseguenza risarcitorie nei confronti degli altri.
[6] La Corte precisa che la costruzione costituisce un mero ampliamento del diritto di proprietà. L’accessione, infatti, non costituisce un modo di acquisto della proprietà di un bene diverso, ma un ampliamento del suolo dal punto di vista verticale.
[7] Cassazione Sezioni Unite n. 11136 del 2012
[8] Il contratto, stipulato dal comproprietario, in relazione al bene oggetto della comunione per intero, è da ritenersi inefficace; diversamente, ciascun coniuge potrà disporre per intero del bene.
[9] E’ necessario distinguere tra amministrazione ordinaria e straordinaria: la prima può essere esercitata anche disgiuntamente da parte dei coniugi; la seconda, invece, deve essere esercitata congiuntamente. L’articolo 184 c.c. precisa, infatti, che per gli atti relativi a beni immobili e beni mobili registrati è necessario il consenso dell’altro coniuge. Laddove risulti mancante, l’atto potrà essere annullato.
[10] Ai sensi dell’art. 934 c.c., qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo quanto disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 c.c. e salvo che risulti diversamente dal titolo.
Nell’ipotesi in cui, ex art. 935 c.c., il proprietario abbia realizzato la costruzione o l’opera, utilizzando del materiale altrui, deve pagarne il valore, se la separazione non è stata richiesta dal proprietario dei materiali.
[11] Cassazione Sezioni Unite n. 651 del 1996