
La Corte di Cassazione (Sez. II Civile, Ordinanza n. 31548 del 03 dicembre 2025) ribadisce l’applicabilità del D.M. n. 55/2014 (nella versione aggiornata dal D.M. n. 37/2018) anche per le prestazioni iniziate sotto la vigenza della normativa precedente bensì non ancora concluse. Il Collegio conferma la legittimità della liquidazione effettuata dal giudice di merito tra i valori minimi e massimi senza necessità di motivazione specifica, salvo lo scostamento da tale “forcella”. Il collegio, nella stessa occasione, esamina anche il principio dell’effettivo svolgimento dell’attività in presenza di una pluralità di difensori, l’esclusione della fase introduttiva in ipotesi di subentro e la natura facoltativa (nel regime ratione temporis applicabile) della maggiorazione per la difesa contro una pluralità di parti.
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Formulario commentato del nuovo processo civile
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Lucilla Nigro
Autrice di formulari giuridici, unitamente al padre avv. Benito Nigro, dall’anno 1990. Avvocato cassazionista, Mediatore civile e Giudice ausiliario presso la Corte di Appello di Napoli, sino al dicembre 2022.
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Contesto processuale
Veniva interposto ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale, depositata nel gennaio 2020, con la quale era stata accolta opposizione a un decreto ingiuntivo e revocato il provvedimento monitorio emesso in favore di un avvocato per compensi professionali non versati, ritenendo il credito già soddisfatto.
L’avvocato ricorrente, nel giudizio di legittimità, ha lamentato, tra gli altri motivi, la violazione e falsa applicazione di norme processuali nonché del D.M. n. 55/2014, contestando in sostanza:
- la liquidazione dei compensi al di sotto dei minimi tariffari,
- l’erronea imputazione al ricorrente di una somma versata dalla cliente a un altro difensore (ritenuto domiciliatario),
- l’esclusione della fase introduttiva del giudizio,
- e il mancato riconoscimento dell’aumento per la difesa contro una pluralità di parti. La causa principale patrocinata dal ricorrente aveva un valore rilevante, pari a € 971.180,72, e riguardava un risarcimento danni da sinistro stradale.
Disciplina applicabile e discrezionalità della liquidazione
In via preliminare, la Corte di cassazione ha ribadito che i parametri del D.M. n. 55/2014, come modificati dal D.M. n. 37/2018, si applicano ogni volta che la liquidazione giudiziale interviene dopo la loro entrata in vigore. Ciò vale anche se l’attività professionale è iniziata prima, purché non sia stata ancora completata. Poiché il giudizio si è concluso nel 2019, trova applicazione la tariffa successiva al 2018.
La Suprema Corte ha inoltre ricordato che il giudice gode di un ampio margine di discrezionalità nella liquidazione, purché rimanga entro i minimi e i massimi previsti dai parametri. Tale scelta non è sindacabile in sede di legittimità. La motivazione diventa necessaria soltanto quando il giudice intende discostarsi da questo intervallo, aumentando o riducendo gli importi oltre la “forcella” tariffaria.
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Il limite della riduzione dei valori medi
In ogni caso, salvo accordo specifico, non è possibile ridurre più del 50% i valori medi delle tabelle, come stabilito dal D.M. n. 37/2018. Resta fermo anche il limite del decoro professionale previsto dall’art. 2233, comma 2, c.c., che impedisce una riduzione dei valori minimi al di sotto di una soglia ragionevole.
Nel caso concreto, i giudici di merito avevano riconosciuto al ricorrente solo la fase di trattazione/istruttoria, escludendo le fasi introduttiva e decisionale. Avevano quindi quantificato il dovuto in € 17.278,00, ritenendo la somma già coperta dai pagamenti complessivi effettuati dalla cliente (€ 23.993,44).
La Cassazione ha giudicato infondate le doglianze. Ha calcolato che la tariffa media per la fase di studio (€ 4.607,00) e per quella di trattazione/istruttoria (€ 13.534,00), nello scaglione applicabile, ammontava a € 18.141,00. Da questo importo andava detratta la somma spettante al domiciliatario (€ 3.628,20), pari al 20% delle due fasi secondo l’art. 8, comma 2, del D.M. n. 55/2014. Il compenso finale dovuto al ricorrente era dunque di € 14.512,80, perfettamente coerente con quanto egli aveva già ricevuto (€ 15.100,00 al netto degli accessori) e non inferiore ai minimi tariffari.
Pluralità di difensori, principio dell’effettivo svolgimento
Altro punto centrale della controversia era l’attribuzione della fase introduttiva del giudizio e la gestione dei pagamenti a un altro legale. La Corte ha risolto la questione ribadendo il principio secondo cui, in presenza di più difensori, ciascuno ha diritto all’onorario nei confronti del cliente soltanto in base all’opera effettivamente prestata e dimostrata. In dettaglio:
- esclusione della fase introduttiva: i giudici di merito hanno correttamente escluso dalla liquidazione del ricorrente la fase introduttiva del giudizio, in quanto essa era stata curata dal primo difensore. Il ricorrente era subentrato al primo difensore fin dalla prima udienza, in una fase successiva all’instaurazione del giudizio. Qualsiasi aggiunta o attività svolta con la comparsa di costituzione del nuovo difensore (come l’introduzione di nuove voci di danno) non rileva per la fase introduttiva ormai superata, rientrando, invece, nelle fasi di studio e trattazione;
- compenso al domiciliatario/sostituto: la Cassazione ha ricondotto l’attività del secondo avvocato, pagato direttamente dalla cliente, a quella del domiciliatario, anche se la cliente l’aveva autonomamente nominata. Ai sensi dell’art. 8, comma 2, D.M. n. 55/2014, al domiciliatario spetta un compenso non inferiore al 20% dell’importo previsto dai parametri per le fasi seguite. La Corte ha stabilito che la somma pagata dalla cliente al secondo legale (€ 4.150,00) era coerente e di poco superiore al 20% delle fasi di studio e trattazione/istruttoria spettanti al domiciliatario (€ 3.628,20). La qualificazione formale del secondo legale (sostituto d’udienza o domiciliatario) non ha avuto rilievo decisivo, poiché l’elemento dirimente era che il relativo costo era stato accollato dalla cliente e non incideva sul calcolo del compenso dovuto all’avvocato ricorrente.
Pluralità di parti e aumento tariffario
La Corte ha rigettato la censura relativa al mancato riconoscimento dell’aumento per la difesa contro una pluralità di parti (tre controparti: Compagnia di Assicurazioni, conducente e proprietario).
Il Collegio ha chiarito che, nella formulazione del D.M. n. 55/2014 ratione temporis applicabile (ossia prima del D.M. n. 147/2022, che ha reso l’aumento obbligatorio per le prestazioni completate dopo il 23 ottobre 2023), l’aumento per l’assistenza nei confronti di più controparti, ai sensi dell’art. 4, comma 2, era una mera facoltà discrezionale del giudice, benché non arbitraria e soggetta a motivazione.
Nel merito, i giudici avevano motivato il diniego della maggiorazione basandosi sull’assenza di attività difensiva svolta dal ricorrente nei confronti del conducente e del proprietario, sulla loro mancata costituzione in giudizio, e sulla materia di causa (risarcimento danni per sinistro stradale con danni già conclamati). Motivazione siffatta è stata ritenuta idonea ad assolvere l’onere imposto dalla norma, rendendo la censura di merito, per l’effetto inammissibile in sede di legittimità.
Come liquidare i compensi
La pronuncia in disamina, pur rigettando il ricorso, fornisce un quadro per la liquidazione dei compensi professionali, in specie nei contesti di pluralità di difensori e nelle cause di elevato valore.
Il principio dell’effettivo svolgimento dell’attività professionale resta il criterio guida, con l’ulteriore specificazione che il compenso per l’avvocato (non domiciliatario) va calcolato sulla base delle fasi processuali da lui effettivamente curate, con esclusione, ad esempio, della fase introduttiva curata da un ulteriore legale.
La Cassazione ha ribadito la sostanziale correttezza della liquidazione dei compensi quando essa si mantenga all’interno della “forcella” tariffaria, e ha fornito dettagli sul calcolo del compenso per il domiciliatario (minimo 20% per le fasi seguite), confermando l’infondatezza di liquidazioni al di sotto dei valori minimi nell’ipotesi esaminata.
In definitiva, la Corte ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore della controricorrente, liquidate in € 3.400,00 per compensi, oltre a spese forfettarie e accessori di legge.










