La collazione e la dispensa dalla collazione. La giurisprudenza

in Giuricivile, 2018, 10 (ISSN 2532-201X)

La collazione (disciplinata dall’art. 737 c.c.) è, l’istituto in virtù del quale, il coniuge ed i discendenti del de cuius, sono tenuti a “restituire” alla massa ereditaria i beni ricevuti in donazione dal dante causa, durante la vita di quest’ultimo. L’istituto riposa, in buona sostanza, sulla presunzione che, quanto donato in vita “direttamente o indirettamente” dal de cuius al proprio coniuge ed ai suoi discendenti (ed ai discendenti di questi ultimi) altro non sia, che un anticipo di eredità.

Le forme per effettuare la collazione sono due, ovvero:

  • a) il conferimento per imputazione che consiste nel consegnare alla massa ereditaria il controvalore del bene ricevuto;
  • b) il conferimento in natura che, si sostanzia nel “traslare” alla massa il bene immobile stesso.

Per i beni immobili la collazione si potrà fare a scelta del donatario, sia in natura che per imputazione. In questo ultimo caso bisognerà stimare il valore che l’immobile ha al momento dell’apertura della successione.

Per i beni mobili, la collazione potrà effettuarsi solo per imputazione ex art. 750 c.c. e con riferimento al valore nominale, con calcolo degli interessi a partire dall’apertura della successione (sul punto Cass. Civ. II sez. 12919/2012 e precedentemente Cass. Civ. II sez. n. 11873/1993). Trattandosi, infatti, in questo caso di un’obbligazione pecuniaria, soggiacerà al principio nominalistico ex art. 1227 c.c. Laddove il donatario non si avvalga della facoltà di conferire il denaro, opera il meccanismo della imputazione fittizia mediante il prelevamento, ad opera dei restanti coeredi di un valore corrispondente alla somma ricevuta dal donatario con la precedente donazione.

Il valore della massa ereditaria, su cui calcolare quota disponibile e quota riservata, si determina mediante la formazione della massa dei beni relitti (con determinazione del loro valore al momento dell’apertura della successione), detraendo eventuali debiti, e procedendo poi alla riunione fittizia tra attivo netto e donatum (mediante la collazione), calcolando così la quota disponibile e la quota indisponibile. L’obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione, salva l’espressa dispensa da parte del de cuius nei limiti in cui sia valida ed i beni donati devono essere conferiti indipendentemente da una espressa domanda dei condividenti, essendo sufficiente a tal fine la domanda di divisione e la menzione in essa dell’esistenza di specifici beni, facenti parte dell’asse ereditario da ricostruire, oggetto di pregressa donazione.

È quanto si legge nella sentenza n. 22097/2015 della II Sezione Civile della Suprema Corte, che recita testualmente: “la collazione, in presenza di donazioni fatte in vita dal “de cuius”, è uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere al fine di assicurare l’equilibrio tra i vari condividenti, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote da determinarsi, in relazione alla misura del diritto di ciascun condividente, sulla base della sommatoria del “relictum” e del “donatum” al momento dell’apertura della successione, e quindi finalizzato a garantire a ciascuno degli eredi la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla propria quota”. (1)

Dibattuta tanto in dottrina che in giurisprudenza la questione se la collazione operi anche nel momento in cui all’apertura della successione non sussistano beni relitti. La recente sentenza della II sezione civile della Corte di Cassazione n. 13660 del 30/05/2017 ha chiarito, che la collazione postula proprio l’esistenza di una comunione ereditaria e dunque di un asse da dividere con la conseguenza che, laddove non sussista un relictum, giacché in vita il de cuius abbia effettuato donazioni e legati, non opererà la collazione.

La dispensa dalla collazione

Una fattispecie particolarmente interessante riguardante la collazione, è la dispensa da essa che può porre in essere il dante causa.

Ed invero, il de cuius può dispensare dall’obbligo della collazione il donatario, consentendo a quest’ultimo, di trattenere la liberalità senza doverla conferire o imputare alla massa ereditaria.

Tale dispensa come è stato chiarito in giurisprudenza può, essere contenuta tanto nell’atto di donazione medesimo, quanto nel testamento, nonché in un successivo atto “inter vivos” che abbia la forma della donazione. Tale tesi, trova conforto nella sentenza n. 22097 del 29/10/2015 della seconda sezione civile.

La dispensa dalla collazione, esonera dunque il donatario, a restituire il bene ricevuto con donazione. Essa però, produce effetti solo per la disponibile, vale a dire che, laddove ci sia lesione di legittima, certamente l’erede leso potrà agire con azione di riduzione.

Ed invero, come ha avuto modo di chiarire di recente la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13660/2017, la dispensa dalla collazione, incontra il limite invalicabile della disponibile, nel senso che, laddove ci sia una lesione di legittima, certamente il legittimario leso dalla donazione eccedente la disponibile, potrà certamente agire in riduzione, nei confronti del donatario dispensato dalla collazione. Ed infatti, la richiamata sentenza ha spiegato come i due istituti della collazione (ex art. 737 c.c.) e della riunione fittizia del relictum al donatum ai fini della determinazione della disponibile, non siano assolutamente tra loro incompatibili. Con la conseguenza che laddove ci sia stata una lesione di legittima, certamente il donatario potrà agire in riduzione.

Si legge nella sentenza: “E’ soggetta a riduzione, secondo i criteri indicati negli artt. 555 e 559 c.c., la donazione fatta ad un legittimario dal defunto a valere in conto legittima e per l’eventuale esubero sulla disponibile, con dispensa da collazione, non implicando tale clausola una volontà del de cuius diretta ad attribuire alla stessa liberalità un effetto preminente rispetto alle altre in caso di esercizio dell’azione di reintegrazione da parte degli altri legittimari lesi, secondo quanto invece stabilito per le disposizioni testamentarie dall’art. 558 c.c., comma 2, e rimanendo, pertanto, il medesimo donatario esposto alla riduzione per l’eccedenza rispetto alla sua porzione legittima”. (2)

In effetti, l’azione di riduzione contro il coerede donatario, coniuge o discendente del de cuius, per essere esercitata, presupporrà proprio che questi sia stato dispensato dalla collazione, giacché, in caso contrario, il solo meccanismo della collazione sarebbe sufficiente per far conseguire ad ogni coerede la porzione di eredità spettantegli per legge.

Ovviamente, l’erede che assuma lesa la propria quota di legittima o “riservata” dovrà necessariamente agire in riduzione, che rappresenta una azione autonoma e distinta dalla domanda di divisione come si legge chiaramente e perfettamente nella sentenza n. 22097/2015  Cass. Civ. Sez. II, trattandosi di due azioni autonome, tanto con riguardo al petitum, quanto la causa petendi.


  • (1) II SEZ. CIV. sentenza n. 22097/2015
  • (2) II SEZ. CIV. sentenza n. 13660/2017

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