Clausola risolutiva espressa, inadempimento e principio di buona fede contrattuale

Con la sentenza n. 23868 del 23 novembre 2015, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha chiarito che l’inadempimento del contraente, in presenza di clausola risolutiva espressa, deve essere comunque valutato alla stregua del principio della buona fede.

La Suprema Corte ha infatti evidenziato che, anche in presenza di clausola risolutiva espressa, i contraenti sono tenuti a rispettare il principio generale della buona fede ed il divieto di abuso del diritto, preservando l’uno gli interessi dell’altro. In particolare, il potere di risolvere di diritto il contratto avvalendosi della clausola risolutiva espressa è necessariamente governato dal principio di buona fede – direttiva fondamentale per valutare l’agire dei privati e come concretizzazione delle regole di azione per i contraenti in ogni fase del rapporto (precontrattuale, di conclusione e di esecuzione del contratto).

Il principio di buona fede si pone allora, nell’ambito della fattispecie dell’art. 1456 c.c., come “canone di valutazione sia dell’esistenza dell’inadempimento, sia del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risolvere il contratto, al fine di evitarne l’abuso ed impedendone l’esercizio ove contrario ad essa” (ad esempio escludendo i comportamenti puramente pretestuosi, che quindi non riceveranno tutela dall’ordinamento).

Ne consegue che, pure in presenza della clausola risolutiva espressa, per il contraente non inadempiente vige il precetto generale ex art. 1375 c.c.: egli dovrà dunque dapprima considerare la condotta di controparte in tale prospettiva collaborativa; sarà poi il giudice a dover valutare le condotte in concreto tenute da entrambe le parti del rapporto obbligatorio, allorché sia adito con la domanda volta alla pronuncia dichiarativa ex art. 1456 c.c. (cfr. Cass. 6 febbraio 2007, n. 2553). Ebbene, se da tale valutazione dovesse risultare che la condotta del debitore, pur realizzando sotto il profilo materiale il fatto contemplato dalla clausola risolutiva espressa, è conforme al principio della buona fede, secondo la Corte di legittimità dovrà escludersi la sussistenza dell’inadempimento tout court e, quindi, dei presupposti per dichiarare la risoluzione del contratto.

In altre parole, l’inadempimento all’obbligazione, contrattualmente previsto come integrativo del potere di provocare in via potestativa la risoluzione del contratto, deve essere effettivo, perché la previsione negoziale è da interpretare ed eseguire secondo buona fede. Il tema, quindi, attiene non al requisito soggettivo della colpa, ma a quello oggettivo della condotta inadempiente, che in concreto manca, laddove essa – secondo una lettura condotta alla stregua del canone della buona fede – “risulti in concreto inidonea ad integrare la fattispecie convenzionale, onde implausibile, secondo il medesimo canone, risulti l’esercizio del diritto di risoluzione da parte dell’altro contraente“.

Leggi la sentenza integrale: Corte di Cassazione, sez. I civile, sentenza n. 23868 del 23 novembre 2015 

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