
La disciplina fiscale delle operazioni che prevedono la separata costituzione dell’usufrutto e la cessione della nuda proprietà, a favore di soggetti distinti, solleva interrogativi rilevanti in merito alla loro qualificazione come cessione unitaria o come atti autonomi, ciascuno soggetto a regole tributarie proprie. Il tema è tornato al centro dell’attenzione dopo le modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio 2024 agli articoli 9 e 67, comma 1, lett. h), del TUIR, che hanno accentuato la distinzione tra atti costitutivi e dispositivi dei diritti reali di godimento. La tensione interpretativa si gioca tra un approccio “sostanzialistico”, volto a valorizzare l’unitarietà economica dell’operazione, e la tesi, oggi favorita dall’amministrazione finanziaria e da un consolidato indirizzo giurisprudenziale, che riconduce l’operazione a due atti distinti, con conseguenze rilevanti sul piano del trattamento fiscale e dell’imponibilità ai sensi dell’art. 67 TUIR.
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Leonarda D’Alonzo
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Il caso
Marito e moglie decidono di costituire, nello stesso momento ma con atti distinti, un usufrutto e una cessione della nuda proprietà su un immobile, a favore di soggetti diversi. Questa operazione, ai fini delle imposte dirette, equivale a una cessione immobiliare, dato che i coniugi, al termine, non conservano alcun diritto sul bene? Oppure si tratta di due negozi separati, ciascuno da tassare in modo autonomo?
L’Agenzia delle Entrate ha affrontato il tema nella Risposta a interpello n. 133/2025, offrendo un’occasione utile per riflettere sul regime fiscale dei negozi riguardanti diritti reali di godimento e sul concetto di collegamento negoziale.
Prima di esaminare il caso, è necessario ricostruire il quadro normativo attuale, anche alla luce delle novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2024 (Legge n. 213/2023).
Il contesto normativo precedente
L’articolo 9, comma 5, TUIR
Prima delle recenti modifiche, l’articolo 9 del TUIR – che regola la determinazione del reddito complessivo ai fini delle imposte sui redditi – stabiliva, al comma 5, un principio di equiparazione tra le cessioni a titolo oneroso e gli atti che importano la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento. Il testo recitava:
“Ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento e per i conferimenti in società.”
Di conseguenza, i redditi derivanti da tali atti ricadevano nell’ambito di applicazione dell’art. 67, comma 1, lett. b) TUIR.
La lettera b) dell’art. 67 TUIR
Questa norma include tra i redditi diversi:
“le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni […] nonché, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione.”
Il periodo di cinque anni, in caso di immobili ricevuti per donazione, decorreva dalla data di acquisto del bene da parte del donante.
La particolarità dell’usufrutto
Tuttavia, questa disciplina non si applicava all’usufrutto. Il diritto in questione trovava una sua autonoma collocazione all’interno della lett. h) dello stesso comma dell’art. 67 TUIR, che include tra i redditi diversi:
“i redditi derivanti dalla concessione in usufrutto […] di beni immobili […]”
Secondo l’Agenzia delle Entrate (Ris. n. 77/020 del 12.1.1993), il termine “concessione” andava inteso in senso atecnico, riferito a qualsiasi atto giuridico volto a trasferire a terzi la potenzialità reddituale dell’immobile. Rientravano quindi nell’ambito di applicazione della norma sia la cessione onerosa del diritto di usufrutto sia la sua costituzione onerosa.
La suddivisione dei regimi fiscali
In definitiva, il sistema previgente operava una netta distinzione:
-
l’art. 67, lett. h) si applicava alla costituzione e cessione del diritto di usufrutto;
-
l’art. 67, lett. b) si applicava alla costituzione e cessione di altri diritti reali, come il diritto di superficie, la proprietà superficiaria e l’enfiteusi.
Il contesto normativo attuale
La modifica all’articolo 9 TUIR
La recente riforma ha inciso, innanzitutto, sull’art. 9 del TUIR. Alla norma è stato aggiunto un inciso rilevante: l’equiparazione tra cessioni e atti di costituzione di diritti reali opera solo se non previsto diversamente.
“Ai fini delle imposte sui redditi, laddove non è previsto diversamente, le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento e per i conferimenti in società.”
Questa precisazione introduce una deroga potenziale al principio generale, aprendo la strada a un regime fiscale differenziato.
La riformulazione dell’art. 67, comma 1, lett. h) TUIR
Parallelamente, il legislatore ha riscritto anche l’art. 67, comma 1, lett. h) del TUIR. Oggi la norma non menziona solo la “concessione in usufrutto”, ma include anche la costituzione di altri diritti reali di godimento:
“h) i redditi derivanti dalla concessione in usufrutto, dalla costituzione degli altri diritti reali di godimento […] di beni immobili […]”
Secondo la relazione illustrativa alla Legge di Bilancio 2024, l’equiparazione tra cessione e costituzione vale solo per la cessione. Ne consegue una netta distinzione tra:
-
lett. h) → per la costituzione di diritti reali;
-
lett. b) → per la cessione di diritti reali.
Le implicazioni fiscali: due regimi diversi
Questa distinzione ha effetti rilevanti sulla tassazione.
Nel regime della lettera b) (cessione):
-
si configura una plusvalenza tassabile solo se l’atto interviene entro cinque anni dall’acquisto (o se l’immobile era nella disponibilità del cedente da meno di cinque anni);
-
la base imponibile è calcolata sottraendo al corrispettivo il costo di acquisto e le eventuali spese incrementative (art. 68 TUIR).
Nel regime della lettera h) (costituzione):
-
il corrispettivo ricevuto è tassato integralmente;
-
può essere dedotto solo quanto strettamente inerente alla produzione del reddito (art. 71 TUIR).
In pratica, l’imposizione prevista dalla lett. h) risulta potenzialmente più gravosa, poiché ammette un numero assai limitato di deduzioni.
Le criticità operative
Secondo il Consiglio Nazionale del Notariato, è difficile individuare quali siano le spese di produzione deducibili nei contratti di costituzione di diritti reali. Questo perché il rapporto giuridico è continuativo e non si esaurisce in un’unica prestazione. Solo in pochi casi – ad esempio, quando si può frazionare il costo di acquisto originario – è possibile calcolare qualcosa da portare in deduzione.
Il rischio, in sostanza, è che l’intero corrispettivo percepito venga considerato reddito imponibile, senza alcun abbattimento.
La conseguenza pratica
Alla luce dell’attuale quadro normativo, ogni atto a titolo oneroso che costituisca un diritto di usufrutto su un immobile genera reddito diverso, imponibile secondo l’art. 67, comma 1, lett. h) TUIR. Sempre. Senza eccezioni.
Cessione contestuale di nuda proprietà e usufrutto
Venendo ora al caso esposto in premessa, secondo il Consiglio Nazionale del Notariato[4], per individuare il corretto regime di tassazione in una simile operazione andrebbe valorizzato l’effetto economico della stessa, utilizzando un approccio “sostanziale”: poiché il soggetto disponente si spoglia completamente e definitivamente di ogni diritto sul bene, senza trattenere nulla per sé, gli effetti sono sostanzialmente equivalenti a quelli di una “cessione unitaria” della piena proprietà, ricadente pertanto nel regime delle plusvalenze immobiliari di cui alla lettera b) dell’art. 67 TUIR.
Di diverso avviso l’Agenzia delle Entrate (Risposta 133/2025), secondo la quale si è in presenza di due distinti negozi giuridici, autonomi sotto il profilo civilistico e, conseguentemente, autonomi anche sotto il profilo fiscale. L’Agenzia evidenzia come il diritto di usufrutto possa essere costituito solo allorquando il soggetto sia titolare della piena proprietà dell’immobile: solo a seguito di detta costituzione, il soggetto costituente potrà disporre per il trasferimento a terzi della nuda proprietà dell’immobile medesimo.
Prima viene costituito il diritto di usufrutto (classificabile come “nuovo“, non preesistente in capo all’acquirente), e solo successivamente si ha il trasferimento oneroso della nuda proprietà (un diritto “preesistente” che rimane in capo al proprietario dopo la costituzione dell’usufrutto, prima di essere ceduto). L’operazione complessivamente considerata comporta un effetto estintivo totale della posizione giuridica di partenza del soggetto cedente (piena proprietà), pur sempre ottenuto tramite due atti distinti.
L’amministrazione finanziaria giunge a tali conclusioni anche alla luce di due ordinanze della Corte di Cassazione, che trattano un’analoga operazione, seppur con riferimento ad ambiti impositivi diversi (n. 7154/2021 relativa ad imposte ipo-catastali e n. 11922/2021 relativa ad imposta di registro). In sostanza, ci si rifà alla nota distinzione tra negozio complesso, “contrassegnato da una causa unica” e collegamento negoziale, dove “distinti ed autonomi atti negoziali si riannodano ad una fattispecie complessa pluricausale, della quale ciascuno realizza una parte, ma pur sempre in base ad interessi immediati ed autonomamente identificabili” (cfr. Cassazione, n. 22476/2022, n. 25620/2022, n. 3056/2024 e 3466/2024).
Nell’imposizione indiretta l’atto complesso sconta un’unica tassazione, come se lo stesso contenesse la sola disposizione che dà luogo all’imposizione più onerosa, “in quanto le varie disposizioni sono rette da un’unica causa e, quindi, derivano necessariamente, per loro intrinseca natura, le une dalle altre”, viceversa le disposizioni che danno vita a un collegamento negoziale, “in quanto rette da cause distinte, sono invece soggette ciascuna ad autonoma tassazione, in quanto la pluralità delle cause dei singoli negozi, ancorché funzionalmente collegate dalla causa complessiva dell’operazione, essendo autonomamente identificabili, portano ad escludere l’operatività dell’art. 21 cit., comma 2” (Cassazione, n. 30983/2023)”. Lo stesso ragionamento varrebbe per le imposte dirette: poiché trasferimento di nuda proprietà e costituzione di usufrutto a soggetti diversi non implicano una connessione oggettiva tra le due operazioni, ma solo una connessione derivante dalla volontà delle parti, ciò comporta autonoma tassazione delle singole disposizioni negoziali.
Pertanto, per l’Agenzia, l’operazione si scinde in due eventi fiscalmente rilevanti:
- Costituzione onerosa dell’usufrutto: il corrispettivo percepito per la creazione di questo diritto costituisce reddito diverso ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera h) TUIR, e viene tassato secondo i criteri dell’articolo 71, comma 2, TUIR.
- Cessione della nuda proprietà: la plusvalenza derivante da questo trasferimento è soggetta al regime ordinario delle plusvalenze immobiliari ex articolo 67, comma 1, lettera b) TUIR, e articolo 68 TUIR, rilevando solo se la cessione avviene entro cinque anni dall’acquisto del bene (salve le esenzioni ordinarie).
Conclusioni
L’Agenzia delle Entrate, forte del nuovo quadro normativo e supportata da recenti pronunce della Cassazione sull’autonomia delle singole disposizioni negoziali, ribadisce che la contestuale cessione di nuda proprietà e usufrutto non può essere trattata fiscalmente come un’unica cessione di piena proprietà. Al contrario, essa configura la costituzione di un nuovo diritto (l’usufrutto) e la cessione di un diritto preesistente (la nuda proprietà), ciascuno soggetto al proprio autonomo inquadramento fiscale. Tale impostazione, pur coerente con la lettera delle nuove disposizioni e con i consolidati indirizzi in tema di collegamento negoziale, impone agli operatori e ai contribuenti stessi di valutare con estrema attenzione gli effetti fiscali derivanti da qualsiasi atto di disposizione di diritti reali.
Note
[1] Non per tutti i diritti reali di godimento è agevole distinguere tra “cessione” e “costituzione”: per i diritti di uso e abitazione vige un espresso divieto di cessione (art. 1024 c.c.), mentre per il diritto di servitù la sua struttura non permette un’autonoma cessione del diritto (art. 1027 c.c.).
[2] Tale bipartizione non è stata estesa alle imposte indirette, dove è ancora prevista l’“equiparazione” tra la cessione della piena proprietà e la costituzione dei diritti reali di godimento (es. Tariffa Parte 1 Articolo 1, DPR 26 aprile 1986 n 131).
[3] Consiglio Nazionale del Notariato, Studio 14-2024/T, Par. G3.
[4] Consiglio Nazionale del Notariato, Studio 14-2024/T, Par. B2.